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La “scuderia” di Pippo Civati

Creato il 20 febbraio 2014 da Lundici @lundici_it
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Viaggio nel mondo del PD contro

È una Bologna molto soleggiata quella che accoglie il popolo di Civati all’indomani del voto di fiducia sul Renzi I. Il luogo scelto per l’evento è la “Scuderia”, storico locale in Piazza Verdi, il cuore della Bologna universitaria e della Bologna antagonista. Qui Pippo Civati ha dato appuntamento ai suoi per discutere della fiducia richiesta dal sindaco/segretario/premier Matteo Renzi al suo Governo: che fare, darla con riserva oppure rifiutarla ed uscire dal partito? Travestito da civatiano, arrivo di buon ora e mi metto anch’io in fila. Non

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si capisce bene se e come faranno entrare: prima i delegati regionali della mozione Civati, dice qualcuno, anzi no, prima gli iscritti su internet, ci dice un uomo che ha tutta l’aria di essere un buttafuori, anche se il clima che si cerca di mantenere è di assoluta calma. A dare un tocco di professionalità all’evento ci pensa Alessandro Sortino di “Presa Diretta”, che si mette ad intervistare un po’ tutti tranne me. Finalmente riesco ad entrare, perché confesso di essere iscritto alla piattaforma internettiana di Civati. Che poi è vero, solo che non sono mai andato agli incontri…

Già alle ore 10 la Scuderia è piena di persone, molti sono i giovani, tante le barbe accuratamente incolte. Mi avvio spedito verso il palco e con destrezza riesco a beccare una sedia libera in quarta fila. In pochi minuti tutti i posti si riempiranno e verranno accesi degli schermi per permettere a chi è in fondo alla sala di seguire l’evento. L’incontro verrà trasmesso in streaming, ci viene detto: cinque minuti a testa per intervenire, tutto molto semplice, tutto molto democratico. A guardarsi intorno sembra di assistere più ad un’assemblea universitaria che all’incontro di una minoranza di sinistra di un partito che dovrebbe essere a sinistra ma che va in tutt’altra direzione. Con lo sguardo becco una mia amica, la G., civatina (o civatiana?) della prima ora. Soliti saluti di rito, poi mi punta l’indice e mi interroga: “Hai mica votato Renzi alle primarie?”. No, io non ho proprio votato, confesso, ero all’estero. “Meglio così”, sorride. Che ero all’estero o che non ho votato alle primarie? Mah. Per lei Civati si asterrà, non deve assolutamente uscire dal partito, altrimenti il PD rischia di fare la fine di Rifondazione. Una signora accanto a noi sorride, bei ricordi Rifondazione Comunista.

Finalmente con un po’ di ritardo arriva anche Civati, il tanto atteso Pippo Civati. L’assemblea si alza in piedi, applaude, lo fa passare, l’accoglienza è sobria ma importante. Lui prende il microfono e sentenzia: “Mi raccomando, siate meno entusiasti col Governo Renzi”. Perché è tutta qui la cifra del dibattito: su Renzi l’assemblea ha già deciso, ed è un no convinto. Ma i parlamentari, cosa dovrebbero votare alla fiducia?

Cominciano gli interventi, dei sostenitori, dei parlamentari, dei nuovi arrivati nell’area civatiana.

Domenico sentenzia: “Perché dovremmo dire si al Governo Renzi se eravamo contrari anche a quello Letta?”. Applausi.

Mirko Tutino, assessore provinciale alla Pianificazione, sottolinea con malignità che chi ha affossato Prodi ha poi voluto Renzi al potere per poterlo bruciare. La prima ragazza a parlare, Caterina, è molto emozionata. Fa parte dei giovani trentenni, legge ma si sente che qualcosa le brucia dentro. È inorridita dalla parola epurazione, quindi per lei sì alla fiducia e restiamo dentro al partito, per favore.

Poi, alle 11:15, prende la parola Filippo Taddei, responsabile economico del PD, braccio forte di Renzi, l’unico rappresentante della segreteria nazionale che parlerà quest’oggi. Ho incontrato Taddei qualche mese fa durante un seminario su Economia e Cultura, e

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mi aveva dato l’impressione di essere una persona sveglia, in gamba, cool, un uomo del fare come piace tanto a Renzi. Quello che prende la parola oggi è un uomo decisamente più stanco, con la barba a metà ma non credo per scelta, meno spavaldo. La platea rumoreggia, Civati invita alla calma e sopratutto niente fischi, “non come hanno fatto con me in direzione generale”. Taddei parla da uomo di partito, ricordando che una mozione (quella dell’avvicendamento) è stata comunque votata, e che bisogna tenerne conto. Non è molto sicuro di sé, Taddei, ed arriva a chiedere a Civati di votarla, questa fiducia, perché a nessuno dei due, né a Civati né al PD, conviene la mancanza dell’altro. Sbaglio o il tutto suona molto come un richiamo alle parole del segretario (o si vota la fiducia o si va fuori dal partito)?

Riprende la parola il popolo di Civati, e Marco sottolinea come Renzi sia l’uomo del demerito (con demerito di Bersani ha vinto le primarie, con demerito di Letta si è preso il governo e per demerito farà cadere pure questo Renzi I), mentre un altro Mirko confessa candidamente di aver cambiato idea almeno cinque volte dall’inizio del dibattito. Poi infiamma la platea quando afferma che dal partito se ne devono andare loro, i renziani, o comunque chi ha voluto questo ennesimo governo delle larghe intese.

Civati ascolta tutti con interesse, prende appunti, qualcuno lo paragona a Berlinguer e lui sgrana gli occhi e fa segno che no, non gli sembra il caso. C’è chi cita Arisa, la fresca vincitrice di Sanremo, e la sua “Controvento”, e lui chiede per favore di non citare Arisa, “che già ci accusano di essere hipster, sennò poi chissà che dicono”.

Sul palco sale Francesco, “prezioso collaboratore”, e snocciola i risultati del sondaggio lanciato sul sito di Civati: fiducia si o fiducia no? Hanno votato 20340 persone, 15744 avevano già votato alle primarie. Il risultato non è netto, in pieno stile Civati: il 10% è per l’astensione, il 38,47% per il no, il 24,45% per il si con riserva mentre il 25,67% è per il si incondizionato. Totale favorevoli alla fiducia: 50,11%, non proprio un plebiscito.

C’è un momento di amarcord quando sale a parlare Marco Perego, assessore del Comune di Arcore e padre politico di Pippo Civati, con lui fin dal 2000, fin dalle prime esperienze con l’Ulivo sempre sconfitto in Lombardia.

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Già, perché è proprio l’Ulivo di Romano Prodi il convitato di pietra di questa assemblea. C’è una bandiera in sala dell’alleanza che fu, e Civati orgoglioso la stende sul tavolo per ricordare a tutti che da lì si è partiti e lì si intende ritornare.

È il momento dell’intervento del più giovane iscritto a parlare, Marco. Emozionatissimo e commosso, predica l’unità di chi si trova in questa sala, e ricorda tutto ciò che non si potrà fare in questo governo a causa della strana maggioranza su cui si regge (che in pratica è il 90% del programma con il quale il PD si è presentato alle elezioni alleato con SEL). Marco sarà uno dei pochi a ricordare che “non siamo qui solo per dibattere un voto di fiducia, ma per cercare una piattaforma comune di valori e di intenti sulla quale ricostruire la sinistra europea”. A sorpresa, chiede di votare no e di uscire dal PD, beata gioventù.

Già alle 12:15 le agenzie di stampa battono che Civati ha deciso per il si, ma non tutti in sala sembrano saperlo.

Si aspetta con gran trepidazione l’intervento di Walter Tocci, senatore PD. Sarà un intervento old style, molto sobrio, molto politico ma anche molto incisivo. Secondo Tocci la nascita del Renzi I avrebbe sovvertito il senso originario delle primarie, dove gli elettori si erano espressi per un segretario che facesse il segretario e non per un monarca che potesse smontare tutto a suo piacimento. Ricorda che solo i civatiani si sono opposti in direzione nazionale contro il documento del segretario (al contrario dei cuperliani) e ricorda che sarebbe bene, per un partito di centrosinistra come (dovrebbe essere) il PD trattare con le altre forze di sinistra, non con la destra.

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Finalmente poco dopo le 14, dopo quattro ore di interventi accesi ed appassionati, interviene anche lui, Pippo Civati. Completo grigio, cravatta marroncina, barba rossiccia lunga ma non troppo, fa notare subito che tanto entusiasmo gli ricorda la Leopolda I, l’evento creato nel 2010 con Matteo Renzi nel segno della rottamazione. Si presenta come l’unico coerente con se stesso, al contrario degli altri che hanno detto e poi fatto di tutto e di più. Scalda il suo pubblico (“i Governi li devono scegliere gli elettori!”) ma poi fredda subito gli entusiasmi (“Mettetevi al mio posto, come faccio a votare no se poi ci sbattono fuori…”, e qui coglie l’allusione della mattina di Taddei), insomma si muove come sempre tra l’appartenenza al PD, fuori discussione, ed il bisogno di superare il PD stando nel PD, di non essere più ombelicali (“oggi si è parlato troppo di noi e poco di quello c’è fuori”, sferza la platea), il bisogno di saper leggere il disagio come opportunità. Finalmente cita la lista Tsipras, dicendo che sarebbe bene avviare un dialogo, e rivolge un pensiero a Fabrizio Barca, ex ministro del Governo Monti ed intellettualmente molto legato a Civati.

Rimane anche spazio per parlare del M5S, e di come la loro protesta si stia trasformando in proposta erodendo sempre più consensi al PD. Alla fine Civati lancia l’idea di una Scuderia 1.0 da svolgersi a Bologna, un parallelo con la famosa Leopolda dalla quale lo stesso Civati è stato rottamato.

L’impressione che se ricava da questo raduno improvvisato è che il popolo di Civati sia già molto più avanti del suo leader in quanto a consapevolezza e direzione. Civati è un leader atipico, quasi controvoglia: con questo atteggiamento sobrio, le battute di spirito, la

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sincerità anche nel trasmettere gli stati d’animo istituzionali, è una figura nuova nel panorama politico italiano, dove i leader dei tre maggiori partiti (Renzi, Berlusconi e Grillo) sono figli del populismo televisivo o internettiano. Civati rispedisce al mittente la figura di uomo di sinistra triste senza abbracciare la  forma smaccatamente d’apparenza come fa il suo segretario Matteo Renzi. E’ un uomo sobrio ma con simpatia, potremmo quasi dire. Forse oggi il suo popolo si aspettava di trovarsi davanti un leader coraggioso, un Matteo Renzi che mantenesse però le promesse con onore e senso di giustizia. Pippo Civati non è Matteo Renzi, ma non è neanche Enrico Berlinguer, al quale lo accomuna la pacatezza ma lo divide la mancanza di una convinzione profonda nelle proprio idee tanto da gettare il cuore oltre l’ostacolo. Il cuore c’è, la mente pure, ma sembra che i tempi non siano ancora propizi per gli strappi rumorosi. Civati questo lo sa, e forse lo sente pure, e si dondola sul filo degli insuccessi altrui per raccoglierne i frutti personali ed elettorali.


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