C'è un gruppo musicale, nato dalle mie parti, che all'inizio rivisitava canzoni di De Andrè, poi è cresciuto e ha creato dei capolavori della canzone italiana. Loro si chiamano Mercanti di liquori e quando ho iniziato "La seduzione dell'altrove" di Dacia Maraini, mi è subito venuta in mente una loro canzone: "Il viaggiatore" (qui il video).
Il ritornello recita così: «il viaggiatore viaggia solo e non lo fa per tornare contento, lui viaggia perché di mestiere ha scelto il mestiere di vento».
Questa frase raccoglie lo spirito con cui la Maraini affronta questo testo. Scordatevi la Dacia Maraini di "Voci" e toglietevi dalla testa di leggere un testo come "Colomba".
Qui l'autrice è carne della sua stessa prosa, è protagonista e narratrice nello stesso istante.
Non avvicinatevi a queste pagine se non volete essere travolti da una voglia irresistibile di partire per qualunque posto. La bravura della scrittrice italiana qui si rivela nella forma più umana e contingente: il documentario. Tutto il libro non è altro che una raccolta di memorie e di riflessioni sui vari viaggi dell'autrice, fatti in tutti gli anni di cui ha memoria. Pochi sanno che Dacia Maraini passò la sua infanzia in Giappone, in fuga con la famiglia da un fascismo che li perseguitò persino nel paese del Sol Levante, quando strinsero alleanza con i nazisti. Partendo da questi primi anni della ragione, Dacia, descrive la sua idea di Altrove, dell'Altro: e mi fa sorridere l'idea che un'italiana possa sognare la sua terra natìa come una qualsiasi esotica terra selvaggia di salgariana memoria.
Eppure il nervo scoperto dell'Altrove, la Maraini lo colpisce perfettamente: il viaggio come conoscenza, come rapporto con se stessi di lotta e di dubbi, come confronto di abitudini e scontro di certezze.
Il mio parere è che quando si è in terra straniera, da soli, si è veramente se stessi e Dacia Maraini qui si racconta attraverso le usanze, gli sguardi e i particolari colti da un occhio poetico come il suo.
È come guardare le foto di una vacanza di un'amica, ma senza sorrisi finti, pose trite e ritrite, senza la falsità del turista.
Una testimonianza incredibile riportata sul libro è quella di un viaggio africano della scrittrice, assieme a Pasolini e Moravia, per un documentario sulla caccia agli ippopotami. Questo racconto mi ha lasciato un senso di angoscia e allo stesso tempo di completezza. Descrivendo un mondo decadente, vinto dal consumismo e dal denaro, non può che darci l'input per un'analisi di ciò che ci circonda. Mi fa l'effetto di un remake di un film che ho già visto: gli attori sono nuovi, le scenografie più belle, ma so già come andrà a finire.
Un libro consigliabile a tutti?
No.
Un libro da passare, mano nella mano, a un certo tipo di persona che sa leggere fra le righe, un lettore allenato che non si ferma alla fotografia che la Maraini ci propone, ma indaga dentro di sé sul subbuglio che le parole hanno portato.
Sono pagine che andrebbero lette su un treno, non sono pagine immobili che lasciano dietro di loro solo qualche colpo di scena o qualche bacio tra amanti. Qui l'unico amore che troverete è quello per il viaggio.
In queste righe, che Dacia Maraini ha scritto e raccolto, ritrovo uno spirito sopito da qualche guerra, da episodi di violenza o da un politico corrotto: l'orgoglio di essere un cittadino del mondo.