Secondo la propaganda fascista, si poteva servire la patria anche montando di guardia a un bidone di benzina. Occorre aggiornare la metafora: è possibile rendersi utili pure se il bidone è un partito politico, purché se ne accetti la nomina a segretario.Se da un lato la decisione di affidare il Pdl alle cure di Angelino Alfano va nella direzione di un ricambio generazionale e di un fisiologico svecchiamento della politica, non può che lasciare perplessi il metodo dell’investitura medievale scelto per consentire al partito del predellino di sopravvivere al dopo-Berlusconi. L’imperatore ha scelto il delfino, a ulteriore riprova, per chi ancora nutrisse qualche dubbio, del concetto berlusconiano di democrazia. Un’operazione di maquillage e poco altro. Perché non si capisce il senso di una figura che va a sovrapporsi ai tre coordinatori (Verdini, La Russa, Bondi) già esistenti, che conserveranno le rispettive poltrone. Provocando – non è difficile prevederlo – ulteriori tensioni in una situazione già caratterizzata da costante fibrillazione. Ma soprattutto perché bisognerebbe spiegare cosa mai potrà significare “assumere i pieni poteri” in un partito in cui a comandare è notoriamente un altro (Berlusconi). Non è un caso che nel Pdl la figura del segretario non sia neanche contemplata, per cui prima di procedere alla sua elezione (sic) il Consiglio nazionale dovrà approvare la modifica delle norme statutarie.Qualcuno intuisce una sorta di exit strategy del premier, il famoso passo indietro. Ma nonostante i tentativi in zona Cesarini, il Pdl non sembra in grado di sfuggire alla logica dell’uomo solo al comando che – come si è visto anche di recente – non è in grado di risolvere alcunché. In ogni caso, dietro potrà esserci la terra ferma o il baratro. L’esito della verifica non è affatto scontato.Per quanto il Pdl sia un partito fortemente carismatico, al suo interno è infatti possibile cogliere sensibilità e accenti diversi. C’è chi, come Formigoni, smania per giocare da protagonista la partita della successione a Berlusconi; chi, come La Russa, teme le insidie del futuro e una probabile deminutio capitis; chi, come Alessandra Mussolini, contesta il metodo dell’investitura: “non si può nominare un segretario politico in una nottata di convivialità, senza aver convocato l’ufficio di presidenza e senza un congresso”. Il segretario in pectore si è affrettato a dichiarare che “si devono aprire le finestre per fare entrare un po’ di aria fresca”. Ancor più radicale Claudio Scajola: “buttiamo via nome e simbolo e facciamo qualcosa di nuovo”. Magari ricorrendo al sistema delle primarie, quanto di più lontano possa esistere dalla mentalità aziendalista del presidente del consiglio, che infatti non ha aspettato molto per avvisare i naviganti sui rischi di un metodo non controllabile al cento per cento. Fare la fine del Pd, costretto a subire i Vendola e i Pisapia di turno, sarebbe davvero troppo.Ecco perché questa svolta non appare convincente. C’è sempre il timore di trovarsi di fronte a uno spot pubblicitario. Il solito ammiccamento a favore di telecamera.
Secondo la propaganda fascista, si poteva servire la patria anche montando di guardia a un bidone di benzina. Occorre aggiornare la metafora: è possibile rendersi utili pure se il bidone è un partito politico, purché se ne accetti la nomina a segretario.Se da un lato la decisione di affidare il Pdl alle cure di Angelino Alfano va nella direzione di un ricambio generazionale e di un fisiologico svecchiamento della politica, non può che lasciare perplessi il metodo dell’investitura medievale scelto per consentire al partito del predellino di sopravvivere al dopo-Berlusconi. L’imperatore ha scelto il delfino, a ulteriore riprova, per chi ancora nutrisse qualche dubbio, del concetto berlusconiano di democrazia. Un’operazione di maquillage e poco altro. Perché non si capisce il senso di una figura che va a sovrapporsi ai tre coordinatori (Verdini, La Russa, Bondi) già esistenti, che conserveranno le rispettive poltrone. Provocando – non è difficile prevederlo – ulteriori tensioni in una situazione già caratterizzata da costante fibrillazione. Ma soprattutto perché bisognerebbe spiegare cosa mai potrà significare “assumere i pieni poteri” in un partito in cui a comandare è notoriamente un altro (Berlusconi). Non è un caso che nel Pdl la figura del segretario non sia neanche contemplata, per cui prima di procedere alla sua elezione (sic) il Consiglio nazionale dovrà approvare la modifica delle norme statutarie.Qualcuno intuisce una sorta di exit strategy del premier, il famoso passo indietro. Ma nonostante i tentativi in zona Cesarini, il Pdl non sembra in grado di sfuggire alla logica dell’uomo solo al comando che – come si è visto anche di recente – non è in grado di risolvere alcunché. In ogni caso, dietro potrà esserci la terra ferma o il baratro. L’esito della verifica non è affatto scontato.Per quanto il Pdl sia un partito fortemente carismatico, al suo interno è infatti possibile cogliere sensibilità e accenti diversi. C’è chi, come Formigoni, smania per giocare da protagonista la partita della successione a Berlusconi; chi, come La Russa, teme le insidie del futuro e una probabile deminutio capitis; chi, come Alessandra Mussolini, contesta il metodo dell’investitura: “non si può nominare un segretario politico in una nottata di convivialità, senza aver convocato l’ufficio di presidenza e senza un congresso”. Il segretario in pectore si è affrettato a dichiarare che “si devono aprire le finestre per fare entrare un po’ di aria fresca”. Ancor più radicale Claudio Scajola: “buttiamo via nome e simbolo e facciamo qualcosa di nuovo”. Magari ricorrendo al sistema delle primarie, quanto di più lontano possa esistere dalla mentalità aziendalista del presidente del consiglio, che infatti non ha aspettato molto per avvisare i naviganti sui rischi di un metodo non controllabile al cento per cento. Fare la fine del Pd, costretto a subire i Vendola e i Pisapia di turno, sarebbe davvero troppo.Ecco perché questa svolta non appare convincente. C’è sempre il timore di trovarsi di fronte a uno spot pubblicitario. Il solito ammiccamento a favore di telecamera.
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