Mi prendo la Libertà di citare un po' a capocchia Giorgio Gaber mentre osservo l'incedere a grandi falcate della Serenità come soggetto protagonista degli auspici scambiati per queste feste.La vecchia, classica, augurata felicità da qualche anno segna il passo e - con un colpo a sorpresa che ricorda quello sui cognomi italiani, quando c'informarono del sorpasso dei Russo sui Rossi - viene surclassata dalla Serenità, appunto.
Come piace augurare la Serenità (spesso anche la pace), e come piace inserirla tra i desiderata per il nuovo anno. Eh, no! Troppo facile.
Chi domanda per sé la Serenità tipicamente fonda la richiesta su una serie di postille scritte in piccolo che qualunque avvocato potrebbe indicarvi come causa di non applicabilità, se non addirittura di nullità, del contratto stesso. Come una letterina a Babbo Natale in cui il bambino chiedesse "tutti i giochi che vorrei" la richiesta della Serenità è una malcelata summa di benefici personali tipo: tre settimane alle Maldive, tanta salute per me e i miei familiari, una bella vincita a qualche lotteria, una promozione a lavoro, tanti nuovi amici e un tot di buon sesso.
Suona quindi come una presa in giro per l'Esauditore dei desideri sia esso Santa Claus, un qualche Dio, Giove Pluvio o l'anima santa del vostro trisnonno beato.
Devo dire... tutta 'sta Serenità augurata o pretesa suona proprio male. La partecipazione, al fin della fiera, manca.
È un troppo pieno che ha la stessa utilità di un vuoto abissale, come una mail troppo lunga e fatalmente illeggibile. Fossi io l'Esauditore, sarebbero le prime richieste cestinate.





