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La Serra: Harold Pinter e la Tragica Farsa del Potere

Creato il 09 marzo 2015 da Dietrolequinte @DlqMagazine
La Serra: Harold Pinter e la Tragica Farsa del Potere

Roote: "Gibbs..."

Gibbs: "Sì, signore?"

Roote: "Dimmi..."

Gibbs: "Sì, signore?"

Roote: "Come sta il 6457?"

Gibbs: "Il 6457, signore?"

Roote: "Sì."

Gibbs: "È morto, signore."

Con queste battute inizia La serra, commedia di Harold Pinter recentemente portata in scena al Teatro Metastasio di Prato con la regia di Marco Plini.

Pinter scrisse questo dramma nel 1958. Uno tra i suoi componimenti giovanili, si potrebbe pensare. E invece no: l'opera fu tenuta nel cassetto per più di 20 anni, fino al 1980, quando finalmente, dopo averla ripresa e modificata, egli stesso la mise in scena all'Hampstead Theatre di Londra.

Testo non tra i più noti dell'autore (rispetto ad altri come, ad esempio, Il ritorno a casa che sarà rappresentato tra qualche giorno sempre al Metastasio), è forse uno tra i più duri della sua drammaturgia. Non soltanto per l'argomento, ma anche per la sua costruzione e per le espressioni utilizzate: fin dall'inizio c'è un susseguirsi rapidissimo di battute taglienti e sincopate, di numeri usati al posto di nomi per designare i pazienti. La serra ha un linguaggio non scevro da umorismo, seppur calato in una situazione e in un'ambientazione drammatica: è una tragicommedia il cui testo è costituito da sketch (i cui nessi logici sono spesso ermetici), ma che contiene al proprio interno tutti i grandi temi (anche politici) cari all'autore, quali l'oppressione, il pericolo indefinito e la minaccia senza volto che incombono sul luogo ristretto dove si muovono i protagonisti.

Argomento principale della messinscena di Plini è, nello specifico, il potere, che ci controlla e ci sovrasta. Teatro dell'azione un ospedale psichiatrico, dall'atmosfera claustrofobica e un po' kafkiana, resa ancora più palese dalla scenografia di Claudia Calvaresi, in cui troneggia un cubo trasparente, a metà tra una serra e un acquario, che rappresenta l'ufficio del direttore.

Un'azione che in verità è piuttosto scarna: è il giorno di Natale e la "tranquilla" routine dell'istituto viene spezzata da una morte e da un parto fra i pazienti. Il resto è affidato tutto ai serrati dialoghi tra i personaggi.

Il potere, quindi, sovrasta e domina, si vede e non si vede (opportune tende alla veneziana vengono chiuse quando la scena deve lasciare il posto ad altri personaggi). Dall'alto la grottesca figura di Roote impartisce gli ordini (Mauro Malinverno è eccezionale nel rendere il personaggio una caricatura, un Adolf Hitler in giacca e cravatta), coadiuvato dal freddo assistente Gibbs (impersonato da un altrettanto ottimo Luca Mammoli), dirigendo l'istituto con metodi brutali spesso tutt'uno con gli abusi.


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