“La casualità si presenta di fatto come un’entità fondamentale per la generazione della vita, capace di mettere in questione diverse affermazioni sull’ordine funzionale al di là del caos. In un certo senso si può dire che le cose evolvono e si adattano all’ambiente attraverso iniezioni di bit di rumore casuale, altrimenti restano intrappolate nella monotonia della matematica. Se poi questo sia un limite della nostra matematica o una necessità della vita non è dato saperlo” (JOSEPH P. ZBILUT)
C’è un’affascinante dinamica non lineare che ben si adatta ai sistemi e agli esseri viventi, che intreccia il livello biologico-molecolare con quello “relazionale“ e dell’integrazione, il livello psico-sociologico, se così lo vogliamo chiamare. Credo che il linguaggio delle parole che già conosciamo non sempre basti a descrivere la complessità del mondo e delle persone e mi piace allora girovagare tra il sapere e le sensazioni per arricchirmi di metafore e linguaggi che spalancano le porte su “mondi altri”, su visioni da diversi punti di vista di poliedriche realtà. Per mantenersi elastici gli esseri umani devono continuamente esercitarsi a guardare le cose da più punti di vista, evitando di irrigidirsi in una singola prospettiva. Mi piace l’idea di questa ginnastica mentale che porta alla spontaneità. E’ un esercizio costante, anche perché la nostra mente, sia per economia che per bisogno di sicurezza, tende a costruire dei punti fermi. Per i sofisti l’arte della variazione del punto di vista rappresentava un processo fondamentale, come la capacità di inventare soluzioni nuove e creative superando schemi prefissati divenuti inefficaci; infrangendo creativamente l’ortodossia. Tutto ciò anticipava la moderna filosofia della scienza, il cui imperativo etico è “comportati in modo da aumentare le possibilità di scelta” (VON FOERTER; 1971). Ecco perché oltre al linguaggio dei colori, dei suoni, dei sapori mi piace butare uno sguardo anche sul linguaggio della scienza, che molto ha da raccontarci sul nostro cavalcare le onde del nostro oceano interiore, che è anch’esso un invito a far si che la nostra mente non tenda a proteggersi, intrappolandosi in armature di pensiero. La sfida costante ai nostri limiti è, da sempre, quello che alimenta l’entusiasmo di vivere e di questo ci accorgiamo sia che analizziamo l’evoluzione umana, sia che ci caliamo nella pratica della nostra vita quotidiana. Il brivido della scoperta si oppone costantemente alla stasi rassicurante. Trovare un modo di pensare differente e anche un modo di porsi differenti domande… non è questo che ci salva dal vedere il mondo come qualcosa di terribilmente noioso? In anni recenti nel mondo della scienza si è fatta avanti l’affascinante teoria della complessità che, per approssimazione, ci dice che vari tipi di fenomeni che non erano accessibili allo studio secondo modelli matematici, si potrebbero descrivere oggi in termini di equazioni (o insiemi di equazioni) che rendono evidenti sistemi di relazioni e di interrelazioni prima totalmente alieni al linguaggio della matematica. La teoria della complessità applicata a campi diversissimi tra loro come la meteorologia, le fluttuazioni dei mercati economici, la dinamica dei fluidi, dei gas e gli equilibri dinamici della mente stessa (relazioni tra pensieri, relazioni tra pensiero ed emozioni, stati d’animo più o meno stabili o più o meno vorticosi) pone l’accento su quei luoghi di minore resistenza del sistema, le singolarità, lasciate al di fuori di ogni teorizzazione matematica per riconoscere loro la funzione di “varco” verso influenze creative. La creatività di un sistema è legata a questi “indescrivibili” momenti di singolarità. Interessantissimi, in questo campo, gli studi di Ilya Prigogine, premio Nobel per la chimica nel 1977 per le sue scoperte sulla termodinamica. Ma quello che qui mi piace sottolineare è quello che Prigogine ci insegna come filosofo della complessità. Prigogine afferma una nuova logica scientifica, contemporaneamente valida per le scienze esatte e per quelle del ramo umanistico. Il principio fondamentale è la sfiducia sull’idea che la natura segua sempre la vi più semplice. In realtà è vero il contrario: il funzionamento della macchina-natura è dovuto alla complessità dei processi a carattere irreversibile. Prigogine perviene a questa soluzione esaminando il fenomeno della termodinamica noto come entropia. Nell’evoluzione storica dell’universo, infatti, c’è un evento eccezionale, perché smentisce il graduale passaggio dell’energia dall’ordine al disordine (l’entropia appunto). Questo evento fu il sorgere della vita sulla terra, e la conseguente esistenza delle varie forme di vita, caratterizzate, come altri processi irreversibili, dall’autorganizzazione. L’autorganizzazione va contro l’idea anacronistica della semplicità dei fenomeni, alla quale va contrapposta la complessità che è necessariamente assenza di equilibrio energetico (entropia) e disordine fisico. Non si tratta tuttavia di una disgregazione sterile, fine a se stessa, ma di un non- equilibrio dal quale sorge continuamente qualcosa, un tipo differente di ordine. In tal modo la natura crea dei sistemi dissipativi quali gli esseri viventi, la cui caratteristica è di influire sullo squilibrio dell’energia assorbendola e restituendola esternamente sotto forma di calore. E da qui Prigogine sviluppa il concetto della complessità in senso filosofico per vincere la sfida dell’essere complesso integrando punti di vista finora inconciliabili: cioè la cultura umanistica e quindi il mondo delle arti e delle scienze umane e la cultura scientifica, la costellazione delle scienze esatte, fisico-naturali e chimiche. La nuova alleanza fra umanesimo e scienze della natura contrapposta a quella tradizione occidentale che ha sempre separato, un po’ artificialmente, le due culture senza cogliere, insieme alle differenze, il nesso profondo che le collega. Entrambe, sia arti che scienze, studiano o creano sistemi complessi, operano nel segno della complessità. Nell’universo delle possibilità un solo punto fermo: l’incertezza Diceva Prigogine: “Gli esseri umani hanno sempre avuto bisogno di certezze. Un tempo le avevano o credevano di averle nella religione. Poi le hanno avute nella fisica di Newton che parlava un linguaggio deterministico e non problematico come quello della scienza moderna. Oggi non è più così e non accettare questa realtà ha intrappolato perfino un genio come Einstein in contraddizioni insuperabili. La cosa importante è capire che tutto questo non è un fatto negativo, al contrario. Siamo forse all’inizio di una nuova storia dell’universo. Mi piace paragonarlo a un bambino appena nato. Non sappiamo cosa potrà fare da grande, chi sarà e diventerà. Certo, alcuni genitori vorrebbero già saperlo. Ma quello che conta, a mio avviso, non sono le nostre pretese di certezze ma le infinite possibilità dell’universo bambino.