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La Sibilla, profetessa di sventure

Creato il 29 gennaio 2013 da Greta
 Nam Sibyllam quidem Cumis ego ipse oculis meis vidi in ampulla pendere, et cum illi pueri dicerent: Σίβυλλα τί θέλεις; respondebat illa: ἀποθανεῖν θέλω.
 Del resto la Sibilla, a Cuma, l'ho vista anch'io, con questi miei occhi, dondolarsi rinchiusa, dentro un'ampolla, e quando i fanciulli le chiedevano: "Sibilla, che vuoi?", quella rispondeva: "Voglio morire". 
 Lascio che sia questa epigrafe tratta dal Satirycon di Petronio a introdurre l'argomento di oggi. Questa frase è stata ripresa anche da Thomas Stearns Eliot, che l'ha posta proprio all'inizio del suo celebre poema intitolato La terra desolata (The Waste Land, in lingua originale). 
 Ad ogni modo, anche non conoscendo queste due opere, molto probabilmente tanti avranno sentito parlare della famosa Sibilla, l'oracolo che nella mitologia greca e romana emetteva oscuri vaticini. Oggi mi propongo di fare chiarezza su questa misteriosa figura, da sempre simbolo di ambiguità.

La Sibilla, profetessa di sventure

La Sibilla dipinta da Michelangelo

Etimologia

 Nella Grecia antica si parlava di Σίβυλλα, che fu tradotto in latino come Sibylla. L'etimologia di questa parola, però, rimane ignota.

 Sappiamo comunque che si tratta del nome di una persona realmente esistita, probabilmente di una delle sibille più antiche, la Sibilla Libica. Pausania ci parla infatti del prologo di una tragedia di Euripide, intitolata Lamia, dove ci sarebbe un gioco di parole tra Sibylla e Libyssa, dove Sibyl non è altro che la lettura da destra a sinistra di Libys.
 Il latino Varrone, d'altra parte, riporta una derivazione popolare del termine tipica del dialetto eolico che, anziché la locuzione tradizionale theoù-boulèn, utilizzava sioùs-boùllan per designare la volontà, la deliberazione di un dio. L'origine dell'espressione eolica è da ricercare nei luoghi di culto pre-ellenici dell'albero sacro.
 Altri storici, infine, ritengono che la parola abbia un'origine latina, derivante proprio da Sibilus. Questo termine contiene la radice Sib/Sif, la quale rimanda onomatopeicamente al soffio, al suono misterioso che proviene da una cavità, oppure al sibilo del serpente (non a caso una delle Sibille, come vedremo più avanti, era detta Pizia o Pitonessa).
 Nonostante il numero elevato di ipotesi sull'etimologia del nome, il vero significato di questa parola rimane avvolto dall'oscurità, come la figura a cui rimanda.
Chi erano le Sibille
 Perfino sull'origine del culto della Sibilla vi sono ipotesi contrastanti. Una di queste ritiene che la Sibilla nacque nell'antro di Delfi tra la fine del IX secolo e la metà del VII in occasione dell'incontro tra Dioniso e Apollo. Il primo contribuì apportando la frenesia e l'estasi passionale della baccante, mentre il secondo offriva il controllo razionale dell'isteria.
 Altri, invece, fanno discendere il culto della Sibilla da due figure importantissime della mitologia greca: Cassandra, sfortunata profetessa figlia del re di Troia Priamo, e Manto, figlia del più celebre indovino Tiresia, da cui aveva ereditato le capacità divinatorie.
 Un'altra possibilità è che la Sibilla sia nata da antichi riti orientali, che col tempo si diffusero rapidamente nel Mediterraneo.

La Sibilla, profetessa di sventure

Cassandra, la profetessa troiana

 Sebbene le origini di questa figura non siano chiare, possiamo però dire con certezza che la Sibilla nel mondo classico era una vergine, talvolta raffigurata in giovane età, altre come una vecchia decrepita, che in seguito all'ispirazione e alla possessione di una divinità era in grado di rivelare il futuro. 

 Ma perché questi poteri straordinari erano attribuiti a una figura femminile? 
Il motivo è che già nell'antichità si riconosceva alla donna una maggiore capacità ricettiva, che le consentiva di entrare in contatto più facilmente con una divinità. La sensibilità tipica delle donne, dunque, faceva in modo che esse potessero essere possedute da un nume, che esprimeva la propria volontà attraverso queste figure femminili.
 Verginità e longevità erano altri due tratti distintivi della Sibilla. Il concetto della verginità della Sibilla si trova ripetutamente negli autori classici (Aristotele, Virgilio, Ovidio, Marziale) e anche in alcuni autori cristiani (San Gerolamo). Questo perché una divinità non poteva far altro che scegliersi una sposa vergine. Questa unione divina non intaccava in alcun modo la verginità della fanciulla e nemmeno le precludeva la gravidanza. Infatti, quando la Sibilla si univa al dio riceveva il pneuma, un afflato amoroso che la rendeva appunto "gravida" dell'oracolo del quale si liberava di volta in volta. Di solito il dio che si univa alla Sibilla era Apollo, famoso per le sue facoltà di preveggenza, ma spesso si parla anche di Dioniso, dio dell'ebbrezza, il cui culto era caratterizzato dalla possessione demonica, la stessa che probabilmente diede origine alla Pizia di Delfi. Tuttavia, col tempo la facoltà divinatoria della Sibilla non venne più collegata all'unione matrimoniale con la divinità, ma venne attribuita direttamente alla sacerdotessa, che era in grado di profetizzare anche senza l'intervento del dio.
 Un altro punto che trova concordi molti autori, è la longevità della Sibilla. Ovidio, nelle Metamorfosi, la raffigura molto vecchia, ma afferma che deve vivere ancora trecento anni e, anche quando sarà morta, la sua voce sopravvivrà. L'eterno vaticinare della voce della Sibilla è confermato anche da Servio e da Plutarco. Flegetonte di Tralle afferma che la Sibilla sarebbe vissuta "poco meno di mille anni", mentre Varrone, nel De re rustica, arriva addirittura a considerarla immortale.
 Una vita così lunga, però, non necessariamente è una cosa positiva. L'epigrafe del Satirycon di Petronio citata all'inizio di questo articolo, infatti, mostra la sofferenza della Sibilla che, stanca della propria longevità, desiderava la morte. Il corpo della Sibilla non rimaneva immune al tempo che passava, ed era divenuto talmente fragile per la vecchiaia, che la povera sventurata avrebbe preferito la morte. 

 Bisogna sottolineare che i vaticini della Sibilla erano quasi sempre nefasti. Questo perché la maggiore preoccupazione del popolo era che il futuro riservasse delle sciagure, quindi era sempre pronto ad ascoltare chi poteva prevederle e indicare il modo per evitarle. La Cassandra di Eschilo rappresenta molto bene la tipologia di questo oracolo, anche se, al contrario di altre profetesse, non veniva mai ascoltata dal popolo. Anche Eraclito sottolinea il motivo della Sibilla come profetessa di sciagure:


La Sibilla con bocca invasata pronunzia cose tristi, senza ornamento né profumi e attraversa con la sua voce migliaia d'anni per opera del nume.
 Dobbiamo precisare, inoltre, che nel mondo antico non esisteva una sola Sibilla, ma molte, divise a seconda dell'area geografica di provenienza. Varrone fissa il loro numero a dieci e le classifica nel modo seguente: 
- Persica; 
- Libica; 
- Delfica;
- Cimmeria;
- Eritrea;
- Samia;
- Cumana;
- Ellespontica;
- Frigia;
- Tiburtina. 
 Una classificazione dei tempi moderni operata da Bouché-Leclerq, invece, si basa sui luoghi dove si è manifestato il culto della Sibilla. Avremo quindi un gruppo greco-ionico, uno greco-italico e uno orientale. In tutte queste specificazioni locali, comunque, le manifestazioni della Sibilla sono associate a un antro o a una fonte sacra. 
 Tra queste, le più famose sono sicuramente la Sibilla Cumana e la Sibilla di Delfi, detta Pizia, delle quali ora mi accingo a parlare.
La Sibilla Cumana
 Questa è la Sibilla a cui fa riferimento l'epigrafe di Petronio riportata anche all'inizio della Waste Land di Eliot. Si tratta senza dubbio di una delle Sibille più famose e importanti della mitologia e della letteratura. La Sibilla Cumana era la somma sacerdotessa dell'oracolo di Apollo e di Ecate, una dea lunare pre-ellenica, che esercitava la facoltà divinatoria a Cuma, una città della Magna Grecia, nel pressi del lago d'Averno. Lì si trovava una caverna, chiamata "antro della Sibilla", dove la profetessa trascriveva le predizioni in esametri, su foglie di palma, sotto ispirazione divina. Le foglie, una volta finito il vaticinio, venivano scompigliate dalle correnti che soffiavano dalle numerose aperture dell'antro, che rendevano così i responsi meno comprensibili, "sibillini", appunto. 

La Sibilla, profetessa di sventure

L'antro della Sibilla Cumana


 La leggenda racconta che Apollo fosse innamorato di questa donna e che le avesse offerto qualsiasi cosa lei volesse pur di averla come sua sacerdotessa. La donna chiese in dono l'immortalità, ma scordò di chiedere anche la giovinezza eterna, condannando così il proprio corpo a una progressiva e lenta consumazione. Quando assunse le dimensioni di una cicala, la Sibilla venne posta in una gabbietta nel tempio di Apollo, finché il corpo non scomparve. La sua voce, però, rimase e continuò a vaticinare. Si dice anche che Apollo le avesse dato la possibilità di acquisire l'eterna giovinezza, a patto che diventasse completamente sua. Ma la Sibilla rifiutò, poiché ritenne più importante preservare la propria castità.

 L'Eneide di Virgilio è l'opera che, più di tutte, ha contribuito a rendere celebre la Sibilla Cumana. Nel libro VI, Virgilio la chiama "Deifobe di Glauco" e "Amphrysia", dal nome del fiume della Tessaglia Amfriso, presso il quale Apollo custodì il gregge di Admeto. Nell'Eneide, la Sibilla Cumana non è solo una veggente, ma è anche la guida di Enea nell'oltretomba. L'aria sinistra e cupa che Virgilio crea al momento di descrivere l'antro della sacerdotessa esprime bene l'atmosfera di mistero e di timore che suscitava la Sibilla.

 Successivamente questa figura venne ripresa anche da Ovidio, che nelle sue Metamorfosi racconta come la Sibilla Cumana avesse chiesto ad Apollo di vivere tanti anni quanti erano i granelli di sabbia che era possibile stringere nella propria mano. E' la stessa sacerdotessa a narrare la propria storia a Enea, non mancando di sottolineare che aveva dimenticato di chiedere anche l'eterna giovinezza. Così, la profetessa era destinata a un invecchiamento lunghissimo nel tempo, non privo delle sofferenze dovute all'età.


La Pizia 
 La Pizia o Pitonessa era l'oracolo più conosciuto dell'antichità, che dava i responsi sul futuro da parte di Apollo. Tale divinità, secondo la mitologia greca, ricoprì un ruolo importantissimo nella nascita di questo centro di culto.
 Prima di ospitare l'oracolo, infatti, Delfi ospitava Pitone, un serpente tanto enorme quanto mostruoso, che viveva in una grotta sul monte Parnaso. Costui fu mandato da Era per insidiare Leto al momento del parto, poiché la donna era la prova vivente del tradimento di Zeus. Nonostante le difficoltà, Leto partorì due gemelli divini, Artemide e Apollo. Quando quest'ultimo crebbe e venne a sapere che il nemico di sua madre abitava sulle pendici del Parnaso, vi si precipitò immediatamente. Apollo gettò all'interno della grotta una torcia accesa per far uscire il serpente e, quando Pitone fu alla sua portata, il dio lo trafisse con le sue frecce. Da allora, Apollo fece della grotta dove viveva Pitone il proprio oracolo, che prese il nome proprio da un appellativo del dio: Pizio. Inoltre, si dice che Apollo fondò i giochi pitici proprio per commemorare quella vittoria contro il mostro, nemico di sua madre.
 Da quel momento in poi, l'antro alle pendici del Parnaso venne occupato da una sacerdotessa che prediceva il futuro grazie alla fuoriuscita di vapori estatici, provenienti esattamente dalla voragine naturale in cui elle risiedeva. La Pizia, prima di profetizzare, si sedeva su un tripode, emblema di Apollo, respirava i vapori, raggiungendo così l'estasi, e comunicava il responso a un sacerdote assistente, detto Profeta. Questi era incaricato di interpretare e trasmettere il vaticinio al postulante.

La Sibilla, profetessa di sventure

La Pizia, sacerdotessa di Delfi


 Il ruolo della Pizia poteva essere ricoperto solo da giovani vergini appartenenti alla nobiltà, le quali dovevano mantenere la propria castità per tutta la vita. Ma chi riusciva a rivestire una tale posizione, godeva di un prestigio e di una condizione sociale inusualmente elevati per una donna, all'epoca. Ciò era dovuto non solo alla grande fama dell'oracolo di Delfi, situato in un punto che era considerato l'omphalos, l'ombelico del mondo antico, ma anche al fatto che per consultare la Pizia era richiesta un'onerosa offerta in denaro, oltre a un sacrificio preparatorio, che aveva luogo prima dell'incontro con la veggente.
 In un mondo maschilista, la Sibilla era una delle poche figure femminili che godeva di enormi privilegi e che era degna di rispetto. Non un uomo, ma una donna era la più grande mediatrice tra gli dèi e la gente comune. Poco importava che dalla sua bocca uscissero perlopiù sventure e presagi infausti. Anzi, a eccezione di Cassandra, queste profetesse venivano ascoltate con attenzione proprio perché potevano mettere in guardia le persone dai pericoli.
 Questa usanza oggi forse si è un po' persa. Si crede agli inutili allarmismi, ai guaritori, ai maghi, ai furfanti peggiori, ma non a chi, per il nostro bene, ci rivela una verità scomoda. Cassandra, che costituiva un'eccezione per la sua epoca, è una moda nella nostra. Ormai farsi portatori di verità scomode e non essere creduti non è più una maledizione di Apollo, ma una triste realtà.


Fonti:

- Wikipedia, voce "Sibilla";
- Wikipedia, voce "Sibilla Cumana";
- Wikipedia, voce "Pizia";
- Mitologia greca...e dintorni, voce "Pitia";
- Mitologia greca...e dintorni, voce "Pitone";
- Enciclopedia italiana (1936) Treccani, voce "Sibilla";
- MARRONE, Paolo, "Il mito della Sibilla"; 
- Sibylla.it, "Origine del nome";
- Mitologia Greca, "Apollo, il serpente Pitone e l'oracolo di Delfi".

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