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La signora del tempo (13) / Gli uomini robot

Da Fiaba


Martedì 31 Maggio 2011 14:22 Scritto da marzia.o

Qui tutte le puntate.

Due dei tecnici informatici si erano appartati per scambiarsi effusioni, nessuno dei due aveva desiderio di tornare al loro posto, ma da lì a poco ci sarebbe stato un nuovo collegamento per far passare i fantasmi, e loro dovevano esserci. Lui si staccò da lei e le disse:

«Io vado per primo».

«Va bene, io ti seguo tra qualche minuto».

L’uomo si allontanò, mentre aspettava la giovane donna, sentì un rumore alle sue spalle, pensando che fosse ancora il suo compagno andò a vedere. Il rumore proveniva da una zona che stavano restaurando, chiusa da semplici teli di nailon, spostò i teloni e dietro di essi c’era un robot, sul momento la ragazza pensò che fosse un prototipo dimenticato, ma quando comprese che non l’era fu tardi. Il robot era in posizione seduta, apparentemente immobile. La testa era leggermente allungata, il volto si poteva quasi dire che possedesse lineamenti umani, anche se di metallo, gli occhi erano neri come due bottoni, un piccolo naso e il taglio della bocca erano subito sotto di esso, ai lati al posto delle orecchie due antenne collegate fra loro al centro della fronte. Quando la ragazza si avvicinò per osservarlo meglio, il robot si mosse velocemente e la afferrò, fu una questione di secondi, la giovane non ebbe nemmeno il tempo di gridare, qualche istante dopo era al suo posto, ma alle orecchie aveva due oricolari. Nel frattempo nella struttura ci fu un po’ di confusione, per la cattura di qualcuno di molto importante. I minuti passavano e l’ordine di far aprire la breccia tardava, la ragazza invitò il suo compagno e altri impiegati a seguirla, desiderava mostrare loro una cosa, anche in questo caso il robot agì velocemente, quando, però tornarono tutti al loro posto, l’ordine di aprire la breccia fu sospeso. L’uomo che era entrato con la direttrice si alzò dalla sedia, mettendosi un paio di occhiali con le lenti colorate, e con voce decisa disse:

«Adesso si che si ragiona». Estrasse dalla tasca un piccolo tubicino di metallo, lo accese e puntò la luce blu sulla parete, sospirò spegnendo il cacciavite sonico e disse: «Esattamente come sospettavo, la breccia è ormai al limite se è aperta, danneggerà ancora di più la linea che divide i due mondi paralleli. Mi dica oltre la sfera cosa è passato quando si è aperta la breccia?».

«Solo i fantasmi, mi dia il suo cacciavite sonico?».

«No».

«Dottore non mi costringa a».

«A cosa? Io vi servo, e a me serve il mio cacciavite, fine della discussione».

La donna stava per controbattere quando la voce metallica del computer che controllava la procedura d’apertura della breccia affermò:

«Tre minuti al contatto».

Gugliet si avvicino alla ragazza che stava digitando una serie di numeri, le ordino di spegnere il collegamento, la giovane però non l’ascoltò anzi continuò imperterrita. Il dottore guardò i monitor doveva fare qualcosa, si avvicino a uno dei tecnici informatici e finalmente s’accorse che attaccate alle orecchie dei tecnici c’erano delle oricolari, sbuffò e sussurrò fra se:

«Quando la smetterò d’aver sempre ragione». Estrasse il cacciavite e lo puntò sulle orecchie degli informatici, che dopo una breve scossa si accasciarono sulla sedia, appoggiò le dita sul collo dei giovani informatici, e la sua espressione divenne triste sussurrando ancora: «Mi dispiace, per loro non c’è più nulla da fare».

«Che cosa intende dire che sono morti?», domandò Gugliet.

«Sì, lo erano già, anche prima del mio intervento».

«Non puoi fermare il computer?», gli domandò Sesil.

«No, è troppo tardi», fece un sospiro e aggiunse «Avviciniamoci alla porta, svelti». Aprì la porta e fece uscire Sesil, Gugliet e altri tecnici, lui rimase sulla porta, voleva vedere se davvero aveva ragione. La breccia fra i due mondi paralleli si apri, apparve il primo fantasma poi il secondo e molti lo seguirono per le strade di Londra e delle maggiori città della terra, ci volle qualche secondo poi presero finalmente consistenza, il dottore chiudendo la porta di scatto e sigillandola con il cacciavite sonico affermò: «Per la punto, mai una volta che ho torto», poi rivolto a Sesil, «Dammi il cellulare?».

«Perché ?».

«Voglio parlare con Catrin». La donna gli passò il telefono che in quel momento suono, sullo schermo apparve il nome della ragazza, lui schiacciò il bottone e le disse tutto in un fiato: « Catrin ci sono gli uomini robot».

«Lo so indovina chi c’è qui con me?».

Mentre parlavano, avevano raggiunto di nuovo l’ufficio di Gugliet, si precipitò al monitor del circuito visivo interno che era ancora sintonizzato sulla stanza della sfera, sullo schermo apparve il viso sorridente di David.

«Dev, che ci fai qua?».

«Ciao dottore, sorpreso di vedermi?».

«Sì e non poco, voi rispondermi?».

«Ho seguito gli uomini robot, speravo di fermarli, ma».

«Certo», rispose pensieroso il dottore.

«Che facciamo capo?», gli domandò Dev.

Il signore del tempo scosse il capo, era chiaro che doveva pensare, un’idea l’aveva, la prima cosa era chiudere la breccia, ma doveva anche trovare il modo di chiuderla definitivamente. Seconda cosa, o forse era la prima, doveva sconfiggere gli uomini robot, sicuramente non con lo stesso strattagemma che aveva usato la prima volta, e doveva anche decidere in fretta, quei dannati stavano già catturando i terrestri per migliorarli come affermavano loro. Mentre pensava, entrò nella banca dati della struttura denominata RODS, che stava per: raccolta oggetti dallo spazio. Chissà che fra la cianfrusaglia raccolta non ci fosse qualcosa di buono. I dati scorrevano veloci e lui li leggeva con altrettanta velocità, e probabilmente anche con distrazione, tanto che quando lesse il nome dei proprietari, non ci badò, soltanto due pagine dopo il nome si percorse strade nella sua mente. Tornò indietro, lesse la pagina due volte poi domandò a Gugliet:

«Quello che c’è scritto qui è vero?».

«Cioè?», chiese a sua volta Gugliet.

«Che la famiglia Braun è la proprietaria del Rods».

«Sì è vero».

«E sanno dei vostri esperimenti sulla breccia?».

«No», disse Gugliet a disagio.

«Perché? Non vi devono autorizzare loro quando cominciate una nuova ricerca?».

«Sì, ma siamo riusciti a rintracciare la dottoressa Braun, così abbia agito per conto nostro».

«Non ci avete nemmeno provato, altrimenti non si spiegherebbe una follia simile».

«Ha ragione la dottoressa Braun non ci avrebbe mai autorizzati».

«Già lo credo bene».

La donna rimase in silenzio e lui si rimise a guardare i dati, trovò il numero del cellulare della ragazza, lo inserì nel telefonino di Sesil, modificandolo, per comunicare con lo spazio tempo. Sesil avrebbe voluto protestare, ma si era accorta che l’uomo era arrabbiato quindi si disse che se usciva da quella situazione ne avrebbe comprato un altro. Nel laboratorio della sfera erano in attesa della decisione del dottore, Catrin e Dev parlottavano fra loro, mentre il tecnico teneva ancora sotto controllo la sfera. A un tratto i dati cambiarono, li controllo due volte, poi rivolto alla ragazza e Dev disse:

«Ragazzi la sfera a cambiata consistenza».

«Cosa, ma cos’è questo rumore?», domandò Catrin.

«Non lo so, ma chiama il dottore».

La ragazza non se lo fece dire due volte, non appena il signore del tempo sentì il rumore affermò con sicurezza che si stava aprendo, e che presto gli uomini robot sarebbe apparsi nella stanza, Dev con tutta calma gli rispose che era pronto a riceverli. La porta dell’ufficio di Gugliet si spalancò e uno dei robot entrò e disse:

«Seguitemi umani sarete migliorati».

«Pretendo di parlare con il vostro capo», disse il dottore.

«Perché?».

«Perché sono il dottore».

Per un momento il robot rimase in silenzio, poi disse al signore del tempo di seguirlo, quando Sesil e Gugliet cerarono di seguirli, furono portati via. Il signore del tempo era dispiaciuto ma non poteva mettersi a protestare, quindi si mise le mani in tasca e segui robot. Robot però non si accorse del fatto che l’uomo aveva rallentato il passo e stava per imboccare un altro corridoio. Il signore del tempo aveva appena girato l’angolo quando si sentì afferrare e si trovò, nello stesso corridoio ma gli echi dei passi dei robot non si sentivano più, accanto a lui cera Frensis Perchins, il padre di Catrin, o per meglio dire quello della dimensione parallela.

«Frensis, devo tornare dall’altra parte».

«Sì, ma prima devi ascoltarmi».

«Ti ascolto».

«Dopo che te ne sei andato, abbiamo cominciato a smantellare le fabbriche degli uomini robot, ma a un certo punto i governi hanno cominciato ad affermare che infondo i loro cervelli erano umani. E mentre loro discutevano i robot, hanno cominciato a tramare per riprendersi il pianeta, ma noi della resistenza li abbiamo fermati. Ma non so come sono riusciti a impadronirsi della tecnologia attraversare la barriera dei due mondi».

«Quella che tu chiami barriera è il vuoto», lo corresse il signore del tempo.

«Ed è una cosa grave?».

«Sì, sta facendo collassare i due mondi».

«Lo immaginavo, è per questo che Dev è tornato».

«Dobbiamo chiudere la breccia che ci unisce, da entrambi i mondi».

«Noi ci siamo già organizzati, baserà che la mia gente sia tutta da questo lato, però prima vogliamo aiutarti per chiudere la breccia dalla tua parte».

«Ti ringrazio, so già anche come fare».

«Bene, allora sistemo le ultime cose qui, poi ti raggiungo».

«Ok, ma quando sarai, di la sappi che tua moglie è ancora viva e la potresti incontrare».

«Non è mia moglie».

Il signore del tempo si limitò a sorridere, pochi istanti dopo era di nuovo nella sua realtà, il telefonino che aveva in tasca suono, era Catrin che gli disse:

«Ma perché non rispondevi, la sfera si è aperta, sono i Darek, dottore sono i Darek», silenzio e la ragazza domandò, «Hai sentito cosa ho detto?».

«Sì, trovate il modo di uscire da li, ci troviamo nell’ufficio di Gugliet».

«Va bene, ascolta, vogliono che apriamo un’arca, affermano che possiamo farlo solo noi, parlo di me e di Dev».

«Ho capito, credo di sapere cosa sia l’arca, non toccatela mi raccomando, io sto arrivando».

«Mia madre è con te?».

«Sì, è qui con me».

Sesil sbucò dietro l’angolo, non ci fu bisogno di parole per capire che fine avesse fatto Gugliet, corsero fino alla stanza della sfera e in quel momento apparvero anche Frensis e i suoi, per Sesil fu uno scioccante vederselo davanti, ma non c’era tempo, dovevano far uscire i ragazzi dalla stanza. Nel frattempo le due razze invasori si erano incontrate e stavano litigando su chi dovesse dominare sul pianeta, e il signore del tempo e il suo gruppo ne approfittarono per far uscire, dalla stanza Catrin e Dev. Ma mentre scappavano, un Darek cercò di colpire il giovane, che scivolò e senza volerlo toccò l’oggetto che i Darek chiamavano arca, il dottore rabbrividì, ormai non aveva più dubbi, l’arca era stata costruita dal suo popolo, al suo interno vi erano milioni di Darek. A vederla l’arca era piccola, ma all’interno di sicuro era enorme. Dev si scusò aspettandosi un rimprovero, ma il dottore non gli disse nulla, stava pensando che aveva un unico modo per chiudere la breccia, e sbarazzarsi degli uomini robot e i Darek, ma aveva bisogno d’aiuto, un appoggio che solo un possessore di un Tardis poteva dargli. Tolse dalla tasca il telefonino cercò il numero della dottoressa Braun che aveva inserito mentre era nell’ufficio di Gugliet, schiacciò il pulsante di chiamata, quando gli squilli cessarono, una voce vellutata disse:

«Pronto».

«Ciao, indovina chi sono?», rispose mentre un lungo brivido gli attraversava la schiena, ma il brivido che provò quando la voce vellutata rispose a sua volta.

«Yaris».

E ci fu un lungo momento di silenzio.

Qui tutte le puntate.



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