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La signora del tempo (17) / Clarissa Gions

Da Fiaba


Martedì 21 Giugno 2011 16:25 Scritto da marzia.o

Qui tutte le puntate.

Clarissa Gions, con passo deciso si stava percorrendo l’ultimo tratto di strada che portava all’ospedale, dove lavorava come studentessa di medicina. Aveva sperato fin da piccola di far il medico, ancora pochi esami la tesi, e il sogno si sarebbe realizzato.

Clarissa aveva un altro sogno viaggiare, desiderava vedere paesi nuovi e portare aiuto alla gente. Stava pensando di iscriversi a “Medici Senza Frontiera”, questo subito dopo il suo periodo d’internista dentro l’ospedale dove ora studiava.

Clarissa però non poteva immaginare che da lì a poco avrebbe incontrato due persone molto speciali, in tempi e in modi diversi, ma che di sicuro le avrebbero scombinato la vita.

Certo il suo passo era deciso, ma era molto distratta, era il telefono con la madre, la quale si stava lamentando di suo padre. In quel momento avrebbe voluto essere molto lontano, e rispondeva sempre con un “Si mamma, va bene, d’accordo mamma, si gli parlo io”, girò l’angolo e non vide l’uomo fermo sul marciapiede che stava guardando l’ospedale, e andò a sbattergli contro, gli cadde la borsa, e i quaderni degli appunti finirono sparpagliati sul marciapiede.

L’uomo si chinò ad aiutarla a raccogliere gli oggetti caduti, e sorridendo le disse:

«Scusi signorina non l’avevo vista».

«Oh ma la colpa è mia che non ho visto…te», sussurrò Clarissa guardandolo per la prima volta. L’uomo era alto con i capelli castani tendenti al rosso con gli occhi verdi, con il naso leggermente appuntito e un sorriso accattivante, mostrava circa trentacinque anni e lui sempre sorridendo le rispose.

«Be’ diciamo che eravamo distratti entrambi».

«Già, io chiamo Clarissa».

«Erold Smith, il mio nome».

«Sì, l’avevo capito, adesso io devo andare all’ospedale, sai io studio medicina».

«A un dottore, anch’io sono un dottore, anzi il dottore».

«Be’ allora ci vediamo in ospedale dottor Smith».

L’uomo le riconsegna le carte e la guardò allontanarsi. Clarissa entrò nella saletta, dove gli studenti si rilassavano prendendo il caffè, una sua collega la guardò e le domandò:

«Clarissa che cosa ti è successo? È da quando sei arrivata che sorridi».

«Davvero, non mi sembra che sia accaduto nulla di particolare, forse è solo di buon umore, anche se mia madre ha fatto di tutto per farmelo passare».

«Capisco, sarà meglio andare, prima che il vecchio Carter, ci venga a chiamare».

Clarissa annuì e con gli altri studenti si avviò per seguire il professor Carter. In realtà la ragazza stava pensando l’uomo incontrato mezz’ora prima, sapeva come si chiamava che era un dottore, non sapeva quale specializzazione aveva e non sapeva se lavorava in ospedale. Lo vide sbucare fuori dalla guardiola delle infermiere, aveva un grembiule bianco, un paio di occhiali dal telaio nero sottile le lenti leggermente allungate, che gli stavano d’incanto. L’uomo si girò verso di lei e sorrise, poi si diresse dall’altra parte, era distratta e non badava a ciò che il dottor Carter spiegava. Sentiva che stava per accadere qualcosa di strano, rallentò finché rimase abbastanza dietro da allontanarsi senza che il professore se ne accorgesse, e appena ne ebbe l’occasione tornò indietro e raggiunse il dottor Smith. Lo trovò accanto a un letto aveva una mano su un fianco mentre l’altra appoggiata al mento con un’espressione perplessa. Clarissa stava per chiamarlo quando l’uomo si mosse uscendo dalla stanza di corsa, lei lo seguì, e andò a sbattergli contro quando lui si fermò di colpo.

«Mi stai seguendo?», gli chiese l’uomo.

«Perché non mi hai detto che lavori qui anche tu?».

«Perché non ci lavoro».

«E allora cosa ci fai qui?».

«È un po’ complicato, questa mattina mentre passavo davanti all’ospedale, il mio cacciavite sonico ha lampeggiato, segnalandomi che c’era un pericolo».

«Cacciavite sonico? Pericolo? Nell’ospedale?».

«Si», Rispose semplicemente l’uomo. Mentre parlavano, avevano cominciato a camminare di nuovo, ma a un tratto lui guardò fuori dalla grande vetrata e si accorse che pioveva, ma c’era qualcosa che non andava, la pioggia saliva verso l’alto. L’uomo estrasse l’oggetto che chiamava cacciavite sonico, e lo puntò contro la pioggia, poi allarmato disse«Oh no, no, no, non posso rimanere bloccato qui», ma era troppo tardi pochi istanti dopo l’intero ospedale fu avvolto nell’oscurità. A quel punto L’uomo si tolse il camice, e scese giù nell’atrio, e uscì, esamino il suolo e fece un respiro profondo, l’ospedale era stato trasportato sulla luna. Clarissa domandò:

«Ma cosa è successo?».

«Siamo stati teletrasportati sulla luna».

«Teletrasportati? E da chi».

«Dalla guardia intergalattica». La ragazza si limitò a guardarlo scettica, o questo tizio era matto, o stava succedendo qualcosa che pochi avrebbe veramente capito, si concentro sulle riflessioni che l’uomo faceva ad alta voce: «Dunque il cacciavite sonico ha rilevato una presenza aliena nell’ospedale, e ora le rinoguardie hanno portato l’ospedale sulla luna, quindi lo stanno cercando, ma perché? Con molta probabilità ha commesso un crimine contro un’altra specie, ma non certo quella terrestre. I terrestri non fanno ancora parte della convenzione galattica, anche se io mi sto battendo per questo da anni, a questo punto non mi resta di scoprire chi è e di consegnarlo alle rinoguardie. Però devo fare anche attenzione di non cadere nelle loro mani, non mi riconoscerebbero, l’ultima volta che abbiamo collaborato avevo un altro aspetto, e se mi prendono i loro rivelatori, dimostreranno che non sono un terrestre. Uffa ma perché mi caccio sempre in questi pasticci», concluse sbuffando. Clarissa non oso commentare, non era sicura d’aver capito, il dottor Smith aveva appena affermato di essere un alieno, penso fra se che se tutti gli alieni fossero come lui erano veramente affascinanti. Come il dottor Smith aveva previsto, arrivarono le guardie intergalattiche, erano vestite di nero, con un casco nero, erano alte un metro settanta, e in mano avevano un rivelatore di geni, ma non fecero alcun male a chi si avvicinava, si limitavano solo a timbrare una mano, per distinguere i terrestri. Clarissa si sentì sollevata, ma rimase sorpresa quando uno di loro si tolse il casco, la testa della guardia era di un rinoceronte, domandò finalmente:

«Ma è un rinoceronte?».

«Certamente, altrimenti non avrei detto che erano rinoguardie».

«E tu saresti un alieno?».

«Sì, e per rispondere alla tua prossima domanda, non tutte le razze aliene hanno lo stesso aspetto».

«E tu a quale appartieni?».

«A una delle più antiche, e si chiama: “I Signori del Tempo”. E sempre per rispondere alla tua prossima domanda sembro un essere umano perché una parte dei miei geni sono umani», poi cambiando completamente discorso le domandò, «Chi c’era in questo letto?».

Clarissa non si era accorta che erano tornati indietro ed erano dentro la stanza, dove lo aveva visto uscire di corsa, la ragazza prese, la cartella attaccata al letto e lesse il nome:

«Melany Green, qui c’e scritto che è stata ricoverata per una forte anemia».

«Anemia?», fece il signore del tempo con un’espressione preoccupata.

«Sì, i suoi globuli bianchi superano quelli rossi del novanta percento».

«Dobbiamo trovarla».

«Credi sia lei quella che cercano?».

«Sì, e temo che sarà molto facile trovarla».

«Immagino che tu non sia un dottore che Erold Smith sia un nome inventato?».

«Non è esatto, io sono un dottore, ed è vero Erold Smith inventato».

«Ed io come dovrei chiamarti?».

«Dottore, o se ti fa piacere, chiamami Erold». Clarissa stava per controbattere quando il dottore si fermò davanti a una porta, lei gli disse che era l’ufficio ambulatorio del dottor Carter. Il dottore aprì la porta, la stanza sembrava vuota, ma in un angolo il corpo del dottor Carter giaceva privo di vita sul pavimento, dopo d’averlo esaminato il dottore sospirò e le disse: «Mi dispiace quella creatura si nutre di sangue».

«Un vampiro?».

«Sì, se lo vogliamo chiamare così, ma non solo una volta assorbito il suo sangue diventa quello della sua vittima».

«Stai dicendo che riuscirà a passare il controllo delle rinoguardie?».

«Esatto».

«Ma questo significa che tu…».

«Sono rimasto l’unico alieno». Stavano ancora riflettendo sul da farsi quando il cacciavite sonico cominciò a vibrare, stando attenti a non farsi scoprire seguirono il segnale captato cacciavite, arrivarono davanti a una stanza, Clarissa informò il dottore che in quella stanza si eseguivano risonanze magnetiche. Il dottore guardò dentro la stanza attraverso il piccolo vetro incastonato nella porta, all’interno c’erano due uomini vestiti da motociclisti, e una donna anziana, Clarissa gli confermò che si trattava della donna che cercavano. Yaris fece un respiro profondo, sapeva che la donna voleva usare l’energia magnetica per ricaricare la batteria del suo teletrasporto, che le avrebbe permesso di raggiungere la sua astronave e sarebbe scappata. Il signore del tempo prese la sua decisione, chiuse gli occhi e il suo pensiero andò alla donna che amava, “Mi dispiace amore mio, ma non ho altra scelta”, si girò verso Clarissa la prese fra le braccia e la baciò, poi le disse: «Vai chiamare le rinoguardie».

«Le rinoguardie perché?», domandò la ragazza trasognata.

«Gli consegneremo la simpatica signora».

«Oh, ma tu che farai nel frattempo?».

«Oh niente terrò occupata la signora, ora va».

Clarissa si allontano pensando che alieno era maledettamente umano, e lei si sentiva molto attratta da lui, si avvicinò a una delle rinoguardie che la esaminò, rilevando sì il suo patrimonio genetico umano, ma anche quello alieno del dottore. Le domandò con chi era prima di avvicinarsi a lui, lei s’inventò che una donna l’aveva aggredita per succhiarle il sangue, ma che lei era riuscita a scappare. La rinoguardia le chiese se sapeva dove fosse la donna e lei guida la guardia e i suoi compagni alla stanza della risonanza magnetica. Yaris guardò Clarissa allontanarsi ed entro nella stanza, la donna per un momento rimase sorpresa, ma poi cambiò atteggiamento, quando vide che il giovane era innocuo, quando però sentì i passi delle rinoguardie lo afferrò e con una cannuccia bevve il sangue del signore del tempo, e fu uno sbaglio perché appena le rinoguardie la esaminarono percepirono i geni alieni e la catturarono insieme ai due motociclisti. Le rinoguardie si apprestarono la sciare l’ospedale, Clarissa li rincorse facendo notare loro che se non li rimandavano sulla terra loro sarebbero morti, come risposta le fu detto che a loro non importava, e se ne andarono. Clarissa tornò nella stanza della risonanza magnetica, il macchinario si stava ancora surriscaldando, ma che importava in che modo sarebbero morti. Le lacrime cominciarono a scivolare sul suo volto, guardò il signore del tempo pensando che lui si era sacrificato per nulla, pregò per la sua anima e per tutte quelle dentro all’ospedale.

Qui tutte le puntate.

 



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