La Sindone di Torino non è il Mandylion di Edessa

Creato il 31 maggio 2010 da Andream
Post #1b di una serie.
Come detto in un post precedente, i sostenitori dell'autenticità della Sindone di Torino si trovano davanti alla difficoltà di spiegare come il presunto lenzuolo funebre di Gesù sia arrivato dalla Palestina del I secolo alla Francia del XIV secolo, riempiendo un vasto salto spaziale di migliaia di chilometri ma anche un ancor più vasto salto temporale di mille e trecento anni. Come mostrato in quello stesso post, i sostenitori dell'autenticità della Sindone hanno cercato, nella lunga storia del Cristianesimo, indizi della conservazione della sindone di Gesù, per puntellare la loro ipotesi facendo affiorare la Sindone in qualche epoca. Purtroppo per loro, tutte le citazioni che hanno potuto presentare si sono dimostrate deboli e di interpretazione arbitraria.
Discorso a parte merita l'identificazione tra Sindone di Torino e Mandylion, sostenuta da alcuni sindonologi in tempi recenti. Il Mandylion era un telo che recava un'immagine del volto di Gesù ritenuta miracolosa; secondo la tradizione, Gesù si sarebbe asciugato il volto con un pezzo di stoffa e in questo modo vi sarebbe rimasta impressa la sua immagine. Sarebbe stato custodito ad Edessa (moderna Turchia), dove la sua presenza è accertata a partire dal 544, poi, nel 944, fu trasferito nella capitale bizantina, a Costantinopoli, dove rimase fino al saccheggio della città del 1204, avvenuto per mano dei crociati della Quarta crociata.
L'identificazione della Sindone di Torino col perduto Mandylion è resa impossibile, fondamentalmente, da un unico, semplice fatto: tutte le fonti scritte e tutte le riproduzioni del Mandylion concordano sul fatto che esso raffigurava Gesù vivo (mente la Sindone raffigura un uomo morto e con chiare macchie di sangue); con pochissime eccezioni, poi, tutte queste fonti affermano anche che si trattava di una riproduzione del solo volto di Gesù (mentre la Sindone raffigura l'intero corpo, sia davanti che di dietro).
Con questo in mente, ripercorriamo la storia del Mandylion.
Formazione della leggenda del Mandylion
Eusebio di Cesarea (263-339) narra nella sua Storia ecclesiastica (libro I, capitolo 13) che Gesù ricevette una lettera dal re di Edessa Abgar (Abgar V il Nero, sovrano di Edessa dal 13 al 50), il quale era ammalato incurabilmente e gli chiedeva di andare ad Edessa a guarirlo. Gesù scrisse una lettera ad Abgar (che Eusebio riproduce) in cui spiegava che non poteva andare a guarirlo, ma che gli avrebbe mandato uno dei suoi discepoli. Dopo la morte e risurrezione di Gesù, Giuda Tommaso inviò Taddeo dal re Abgar, che fu guarito dalla malattia che l'affliggeva. Eusebio non narra altro, non fa menzione di alcuna raffigurazione di Gesù; semplicemente collega Edessa a Gesù attraverso una lettera autografa di Gesù stesso.
Egeria, una ricca e influente donna spagnola, compì un viaggio in Oriente nei luoghi sacri della cristianità e dell'ebraismo, e nel 384 visitò Edessa, dove le fece da cicerone proprio il vescovo cittadino. Le sue memorie di viaggio si sono conservate, e attraverso di esse scopriamo che la leggenda di Abgar e Gesù si era già sviluppata cinquant'anni dopo Eusebio. Egeria riferisce infatti una storia narratale dal vescovo di Edessa (capitolo 19), secondo la quale Abgar utilizzò la lettera di Gesù per ottenere portenti che impedirono ai Persiani di conquistare la città, e che anche negli anni successivi la lettera aveva miracolosamente difeso la città dai nemici. Egeria narra anche che il vescovo di Edessa le fece avere una copia delle due lettere (quella di Abgar a Gesù e la risposta): ella nota come la lettera di Gesù ad Abgar donatale dal vescovo fosse più lunga della copia che Egeria aveva già in Spagna.
Sebbene neppure questa fonte citi alcuna immagine, si può vedere come la leggenda si stia evolvendo nel tempo (Egeria, Pellegrinaggio in Terra Santa, a cura di Paolo Siniscalco, Città Nuova, 2000).
La storia inizia a farsi interessante con la fonte successiva, un testo in lingua siriaca noto come Dottrina di Addai, a connotazione anti-semitica. Nella Dottrina, Gesù non invia una lettera in risposta ad Abgar, ma lascia un messaggio all'inviato del re; questo inviato è però anche il pittore del sovrano edesseno, e dipinge un ritratto di Gesù con colori di alta qualità. Il dipinto è esposto in un luogo d'onore del palazzo di Abgar e le parole di Gesù messe per iscritto. La storia va avanti narrando dell'invio di Addai (Taddeo) ad Edessa, dei suoi miracoli, del racconto della scoperta della Vera croce di Gesù da parte di Protonice, mitica moglie dell'imperatore Claudio, della conversione di tutto il paese al Cristianesimo, dell'opera di persuasione di Abgar che convince Tiberio a punire gli Ebrei per aver ucciso Gesù e altre storie del genere.
Quello che interessa notare è che nel testo della Dottrina, chiaramente un'elaborazione della storia contenuta in Eusebio e la cui redazione intermedia è testimoniata da Egeria, si parla di un dipinto raffigurante Gesù; non c'è indizio che autorizzi a pensare che l'immagine raffigurasse Gesù morto o ferito, né che fosse un ritratto "fronte-retro". Si consideri inoltre che la Dottrina di Addai è comunemente fatta risalire alla fine del IV secolo, ma che il brano che riporta la storia del Mandylion è considerato da alcuni studiosi un'interpolazione successiva, risalente al VI-VII secolo (Wilhelm Baum, Dietmar W. Winkler, The Church of the East: a concise history, Routledge, 2003, pp. 13-14).
L'evoluzione successiva della storia è quella decisiva per la nascita del Mandylion. Negli Atti di Taddeo, composti nel VI o VII secolo, è narrata ancora una volta la leggenda di Abgar e Gesù; anche in questo caso Abgar sta male e manda il proprio pittore da Gesù con una lettera, ma questa volta il pittore non riesce a memorizzare l'aspetto di Gesù. Allora Gesù afferma di volersi lavare e si asciuga con un telo, che il testo degli Atti chiama tetradiplon, sul quale si imprime miracolosamente il suo volto; dà poi il telo al messaggero e gli ordina di consegnarlo al re assieme ad un messaggio.
Questa è la prima volta che viene citata un'immagine miracolosa di Gesù impressa su di un telo: siamo dovuti arrivare al VI o VII secolo per averne una! E, per di più, si parla chiaramente di un Gesù vivo, non di un Gesù morto e coperto di sangue.
Evoluzione del Mandylion
Diversi autenticisti parlano del ritrovamento del Mandylion nel 525, ma le loro fonti non sono chiare: alcuni sostengono che fu trovata in una torre delle mura cittadine, restaurata dopo una disastrosa alluvione, altri parlano della visione avuta dal vescovo Eulalio durante un'assedio della città.
Evagrio Scolastico (morto dopo il 594) scrive nella sua Storia ecclesiastica (libro IV, capitolo XXVII) che il sovrano sasanide Cosroe assediò Edessa nel 544, per dimostrare che la pretesa difesa divina della città, sostenuta dai cristiani, era falsa (Evagrio, però, sottolinea che questa promessa di protezione non era contenuta nella lettera scritta da Gesù). Evagrio narra di come i Sasanidi costruirono una struttura sopraelevata in terra e legno, per poter colpire gli assediati dall'alto; gli Edesseni tentarono di minare la struttura scavando un cunicolo sotto la struttura persiana e cercando di dare fuoco ai supporti in legno della galleria, per farla crollare assieme alla struttura persiana, ma non vi riuscirono. Allora «portarono l'immagine di fattura divina (acheiropoieton), che le mani degli uomini non fabbricarono, ma Cristo nostro Dio inviò ad Abgar»: inutile dire che dopo questa dimostrazione di fede fu possibile dare fuoco al legname (i Romani riuscirono poi con uno stratagemma a coprire il fumo, e dopo tre giorni la struttura d'assedio persiana crollò, obbligando Cosroe a levare l'assedio).
Il punto centrale di questa testimonianza è il riferimento all'immagine acheiropoieton, di fattura divina. Si tratta di un evidente riferimento alla leggenda di Abgar nella sua versione più tarda, quella contenuta negli Atti di Taddeo (anche se non è certo quale delle due testimonianze sia anteriore all'altra) Tra l'altro, esiste un'altra testimonianza dell'assedio di Cosroe, riportata da Procopio di Cesarea (Guerre II.27.4), che non registra la presenza dell'immagine miracolosa; al contrario, una storia simile a quella narrata da Evagrio per l'assedio di Edessa è riportata da Teodoreto di Cirro (Storia ecclesiastica V.21), ma ambientata ad Apamea.
Nel suo Discorsi apologetici contro coloro che calunniano le sante immagini, Giovanni Damasceno (morto nel 749) narra nuovamente la leggenda di Abgar (che lui chiama Angaros) e riferisce che «si narra che Gesù prese un panno» (himation) «e pressandolo suo suo volto, lasciò la sua immagine sul telo, che mantiene fino ad oggi». L'himation era un capo di abbigliamento greco, e sta ad indicare un telo di dimensioni medie. Questa parola è normalmente tradotta con "striscia di tela" o "mantello".
Sermone di Gregorio Referendario
Nel 944, l'imperatore Costantino VII ordina al proprio generale Giovanni Curcuas di recuperare l'immagine rimasta ad Edessa, caduta in mani arabe nel VII; Curcuas accetta di liberare 200 prigionieri musulmani e di pagare dodicimila denari d'argento in cambio della consegna del Mandylion e della lettera di Gesù ad Abgar, che sono traslati a Costantinopoli (Georges Gharib, Icone di Cristo: storia e culto, Città Nuova, 1993, ISBN 8831170112, p. 50).
In questa occasione Gregorio, referendario di Hagia Sophia, pronuncia un sermone in cui afferma che (Codice vaticano greco 511, folio 145V):
Infatti questi sono gli ornamenti che formano la vera impronta di Cristo, poiché dopo che le gocce [di sudore] caddero, essa fu abbellita da gocce [di sangue] dal suo fianco.
Per i sindonologi questo brano testimonia che il Mandylion raffigura Gesù quantomeno fino al suo fianco. Purtroppo per loro, questa interpretazione del sermone di Gregorio è incompatibile con quanto è detto altrove nello stesso testo.
Gregorio infatti afferma (paragrafo 3, da Mark Gushin, "The Sermon of Gregory Referendarius"): «E dunque, cos'è esattamente? Solo attraverso il tocco del volto di Cristo, un'immagine del suo aspetto fu formata»; poi riporta una lettera tra Taddeo e Abgar in cui si dice (paragrafi 9 e 10) «Gesù [...] prendendo questo telo di lino si asciugò il sudore che cadeva dal suo volto come gocce di sangue nella sua agonia. [...] Io» (Taddeo) «l'ho messo sul mio volto [...] E, cosa più importante, onorando la parte superiore del mio corpo – poiché la parte più bella è il volto, non ciò che sta sotto le ascelle – attribuisco la luce che ne sgorga non al mio volto ma piuttosto al volto di quello sul telo»; dopo aver parlato (paragrafo 21) di «immagine impressa da un originale vivo"»(affermazione incompatibile con l'immagine di Gesù morto sulla Sindone di Torino) e aver descritto un ritratto prendendo ad esempio solo tratti del volto, passa a descrivere la formazione dell'immagine (paragrafo 22): «Questa immagine [...] fu impressa solo dal sudore del volto dell'origine della vita, cadute come gocce di sangue, e dal dito di Dio. Poiché questi sono gli ornamenti che formano la vera impronta di Cristo, in quanto dopo che le gocce caddero, essa fu abbellita da gocce dal suo fianco. Entrambi sono molto istruttivi – sangue e acqua lì, qui sudore ed immagine».
Come si vede, Gregorio parla di un dipinto divino («dito di Dio») fatto col sudore del volto di Gesù.
A confermare queste interpretazioni è il contemporaneo De immagine Edessena, un trattato scritto da Costantino VII stesso, in cui l'imperatore descrive l'immagine della reliquia (XI, 7, citato in Gharib, ibidem, p. 52):
Sul punto principale del fatto, tutti sono d'accordo e convengono che la forma sia stata impressa in modo meraviglioso nel tessuto tramite il volto del Signore. [...] Quando Cristo stava per pervenire alla sua passione volontaria, quando fece vedere l'umana debolezza e fu visto mentre agonizzava e pregava, allorquando il suo sudore colava come gocce di sangue, secondo la parola del Vangelo, allora, si dice, egli ricevette da uno dei suoi discepoli un pezzo di stoffa, che si vede adesso, e si asciugò il sudore. Subito vi si impresse questa impronta visibile dei suoi tratti divini.
In altre parole, l'imperatore che volle portare il Mandylion a Costantinopoli testimonia che l'immagine era solo quella del volto e non parla di gocce di sangue sul telo; inoltre, entrambe le testimonianze parlano di un Gesù vivo, non di un Gesù morto!
Cronaca di Roberto di Clary
L'ultimo passaggio di questa storia è il racconto di Roberto di Clary, crociato francese che partecipò alla conquista e al saccheggio di Costantinopoli durante la Quarta crociata. Il suo resoconto La Conquête de Constantinople è spesso usato dai sindonologi per sostenere la coincidenza tra Mandylion e Sindone, in quanto, descrivendo le reliquie conservate a Costantinopoli, narra che a Santa Maria in Blacherne era custodita la sindone di Gesù, esposta ogni venerdì completamente estesa per mostrarne la figura di Gesù impressa.
Questa stessa testimonianza, però, permette di scartare completamente l'identificazione tra Mandylion e Sindone di Torino: Roberto di Clary narra anche dell'esistenza di due vasi d'oro, custoditi all'interno della Santa Cappella del Palazzo Bocca di Leone, e contenenti il Mandilion e una tegola, sui quali sarebbe stata impressa la stessa immagine del volto di Gesù vivo (Antonio Lombatti, "Il punto sulla ricerca (pseudo)scientifica in attesa della prossima ostensione").

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