Magazine Diario personale
-Non toccarlo, non fare movimenti strani- dice -Te la senti di entrare?- Faccio cenno di sì. Entro decisa, d' un tratto mi fermo, non riesco ad avanzare. Lui è lì, dondola su se stesso, si dà dei pugni in testa, le mani sulle orecchie tappate, sente tanti rumori, troppi, cerca se stesso, cerca la calma, cerca di capire e allora dondola ed emette un gemito, continuo, come un lamento, per coprire i rumori.
Lei sa come calmarlo, Lei capisce, Lei conosce.
Mi avvicino. D' improvviso incontro il suo sguardo. Sorrido, è un attimo lunghissimo.
La stanza è colma di oggetti e lui è spaventato, confuso, troppe cose da guardare, troppe cose da memorizzare. Perchè ne ha bisogno: per riconoscere i posti, per ripetere i gesti. Ed intanto dondola più forte, sono io. Esco.
Non so descrivere bene cosa provai quando mi guardò, fu una sensazione intensa, soggezione forse, perchè in quell' attimo lui scelse di uscire dalla sua stanza per venire a vedere la mia, per osservare i miei luoghi e per comprendere i miei di ingranaggi, come mille persone prima non avevano mai fatto, con la curiosità tipica dei bambini e l' innocenza introspettiva di chi sa che è difficile uscire fuori da sè. Avrò avuto quindici anni, o poco più. Era la prima volta che incontravo un bambino più intelligente degli altri, la prima volta che vedevo la normalità nella sua meschina omologazione, la prima volta che conoscevo un essere speciale.