di Stefano Bruni*
*pediatra
Si parla e si scrive con una certa frequenza delle sofferenze e delle problematiche di salute fisiche e mentali delle donne che decidono di abortire. Anche su questo sito sono stati segnalati studi scientifici (ed anche io personalmente ho segnalato parecchi link su questo argomento) che sottolineano come l’interruzione volontaria di gravidanza possa avere in molti casi conseguenze devastanti per chi la vive sulla propria pelle.
Un po’ meno si parla della sofferenza del feto che viene abortito benché siano disponibili alcuni studi scientifici sulla sensibilità dolorifica del feto nell’ambiente uterino. Si tende invece ad oscurare le problematiche e le sofferenze dei bambini sopravvissuti ad un intervento abortivo, mentre praticamente mai si affronta il problema della sofferenza psicologica cui vanno incontro i bambini sopravvissuti all’aborto di un fratellino, o sopravvissuti, a seguito di una pratica di fecondazione assistita, alla soppressione di un certo numero di embrioni “soprannumerari” e non desiderati.
Si tratta di quella che gli autori definiscono “PASS”: Post Abortion Survivors Syndrome. Una sindrome, appunto, cioè una serie di segni e di sintomi ben codificati. In una sua lettera all’Editore (una forma di comunicazione scientifica che un autore fa agli addetti ai lavori utilizzando una rivista scientifica peer reviewed) del Southern Medical Journal di qualche anno fa (2006), il Dr Philip Ney psicologo e psichiatra del Department of Family Practice, Faculty of Medicine, University of British Columbia, Victoria, British Columbia (Canada) descrive segni e sintomi della PASS, una sindrome simile, ma non sovrapponibile in tutto e per tutto, a quella cui vanno soggetti i sopravvissuti ad altre catastrofi (campi di concentramento, disastri aerei, guerre, attentati terroristici, …).
Sullo stesso argomento il Dr Ney aveva pubblicato in precedenza un altro lavoro sul Child Psychiatry and Human Development (1983), intitolato: “A consideration of abortion survivors” (è solo un estratto ma il lavoro intero è acquistabile online per chi fosse interessato a leggerlo). In sintesi, gli studi effettuati dal Dr Ney lo hanno portato a concludere che i bambini che realizzano che i propri genitori hanno precedentemente (o successivamente alla loro nascita) abortito un fratellino sono ad alto rischio di sviluppare disturbi dello sviluppo o patologie psichiatriche (depressione, psicosi, aggressività, suicidio, insofferenza nei confronti dell’autorità, …).
Alla determinazione di questi disturbi concorrono diversi elementi. Tra gli altri:
1. la paura del bambino nei confronti di genitori che si sono dimostrati capaci di sopprimere la vita di un essere umano di cui invece avrebbero dovuto curarsi; il bambino si sente a rischio di essere rifiutato da un momento all’altro come il fratellino abortito e vive nella paura e nell’incertezza di essere non amato;
2. il senso di colpa (“perché sono in vita io e non gli altri?”) che si genera nel bimbo sopravvissuto come se la scelta di sopprimere il fratellino e mettere al mondo lui fosse in qualche modo legata a lui stesso;
3. una sensazione di onnipotenza o di megalomania nel bambino sopravvissuto che si sente più forte degli altri, più forte della morte stessa, indistruttibile dal momento che è sopravvissuto;
4. l’atteggiamento di sovra-protezione, per i sensi di colpa dei genitori, di cui il bambino viene fatto oggetto;
5. le attese impossibili che il genitore ha sul bambino quando questo è vissuto come «figlio-sostituto» del figlio abortito;
6. un disturbo dell’attaccamento con entrambi i genitori che può portare anche all’abuso o all’abbandono nei confronti del figlio “sopravvissuto”.
Questi sentimenti contrastanti di colpa e di onnipotenza, di abbandono e di iperprotezione talora coesistono paradossalmente e si accompagnano ad un’esposizione al rischio di autolesionismo (il bambino, poi ragazzo e infine adulto si mette in situazioni di pericolo) o di sviluppare malattie psicosomatiche o psichiatriche. In un’altra lettera all’editore, questa volta del Canadian Journal of Psychiatry (1993; 38(8): 577-578), il Dr Philip Ney spiega anche che sebbene ci sarebbe tanto da studiare e da capire relativamente a quanto accade nelle donne che abortiscono o nei bambini sopravvissuti a questa scelta, questi argomenti sono considerati taboo dalla stessa comunità scientifica ed è molto difficile (se non addirittura deliberatamente scoraggiato) per un ricercatore compiere indagini scientifiche su questi temi.
Si dirà che il Dr Ney è persona evidentemente credente e contraria all’aborto e che dunque nelle sue ricerche c’è un bias, un “pre-concetto”. Tuttavia, se quanto affermato dal Dr Ney è vero (ed io credo che lo sia anche perché le evidenze in questo senso sono tante) allora forse il pre-concetto non toglie obiettività ai credenti contrari all’aborto ma piuttosto la toglie a coloro che sono favorevoli a questa pratica.