Cose pese...
Non è affatto facile riuscire a contenere ciò che vorrebbe essere contenitore. Non è nemmeno impresa semplice tentare di definire, tra camaleontismi e opportunismi, la storia della politica di sinistra (ammesso che ve ne sia una). Sarebbe persino stupido, nel tentativo di tracciarne una determinazione, trovare una data sul calendario da cui far discendere la sua “gloriosa” epopea, eppure, tanto per compiacere proprio quel “materialismo storico” a cui essa sembra originariamente riferirsi, vi è forse stato un evento storico più significativo di altri. Un avvenimento, simbolico ed esemplificativo allo stesso tempo, che incarna il topos a cui la sinistra sembra essersi voluta spesso ispirare. Nella Prima Internazionale londinese del 1864 emersero già le iniziali contraddizioni di un movimento che raccoglieva al contempo istanze puramente libertarie, individualiste, e altre più “pratiche”, che si battevano invece per la conquista del potere n’importe quoi. I comunisti, minoranza a quell’assemblea, surclassati numericamente da anarchici, socialisti e mazziniani, riuscirono, attraverso un colpo di mano del guru Marx, a prendere la guida del nascente movimento operaio internazionale, quello che portò poco dopo all’espulsione proprio della corrente libertaria che ne era stata la maggioranza promotrice (in realtà gli anarchici si auto-espulsero da soli, probabilmente tediati dalla protervia marxista, quella che non ha dubbi e incalza con la ferocia di “chi ha sempre la verità in tasca”). Nulla di nuovo, in fondo il marxismo ha sempre aspirato a sostituire il potere borghese con un altro tipo di potere. Il suo. Quello paludato sotto il nome delle masse proletarie. E proprio come le masse sue sodali, almeno apparentemente, l’uomo sinistroso sembra saper pensare esclusivamente per classi, per gruppi, clientele, fazioni, soci e società, salvo poi comportarsi da perfetto egoista quando viene toccato nei propri interessi personali. Il comunista tout court rinunciò quindi alla propria individualità, abnegandola nel partito, ma solo perché attraverso il partito poté arrivare a conquistarsi una posizione di potere personale. In tal senso, in barba ad ogni desiderio di laicità, il topos “di sinistra” fa ciò che farebbe ogni credente, ogni uomo pio, di fede. Egli non pare infatti comportarsi diversamente dalla Chiesa cattolica sua antagonista storica. Messa alle strette dal protestantesimo incalzante, si mondanizza, fa un po’ di marketing, benché in salsa tridentina, per mantenere ciò che gli è più caro: il potere. Vanno interpretate in questo senso anche le parole pronunciate del rottamatore Matteo dopo la vittoria schiacciante alle primarie (“oggi non finisce la sinistra, finisce una classe dirigente”). E ha rottamato, seppur ambiguamente, ma solo per lottizzare i posti lasciati vacanti dalla vetusta politica, rimpiazzandoli coi nuovi paggetti della nomenklatura, coi vispi giovani, o più generalmente con qualsiasi persona pronta a riconoscere quel nuovo potere che ha semplicemente “cambiato verso”. La moderna sinistra dem, quella dei tweet e degli hashtag, femminile e supergiovine, si obbietterà forse non a torto, non ha però nulla a che vedere coi suoi austeri padri nobili (il Togliatti mandante dell’omicidio Berneri, o il sant’uomo di partito Berlinguer, quello del “compromesso storico” fatto anche per “radicare” i successi ottenuti dal PCI a livello di potere; quello che ha dato inizio, proprio per compiacere la spartizione degli interessi di parte, anche alla logica degli aumenti incontrollati del debito pubblico: della serie, prima dell’Italia viene sempre il partito, come appunto insegna la dottrina dell’internazionalismo). Eppure sotto sotto, raschiando le incrostazioni di facciata, i lustrini e le paiettes, si ha la sensazione che qualcosa di profondamente radicato sia rimasto nei comportamenti, seppur ben paludati, dei novizi “uomini di sinistra”. Forse non si sentono più i migliori, snobbando il popolo a cui chiedono il voto, come facevano invece i grandi moralisti di un tempo (mai completamente estinti). Ma come i suoi illustri precedenti, gli aitanti democratici di oggi sanno che quel che importa resta sempre e comunque l’occupazione del potere, con ogni mezzo. Fosse anche quello di reclutare qualche rom scopertosi improvvisamente militante e fans democratico. (“i mezzi adeguati ai fini” lo possono dire solo coloro che han fatto del “materialismo”, del “positivismo” e della concretezza una religione di vita. Siano essi industriali di grido come Ford, o invece bolscevichi integrali come il “piccolo padre” Stalin. Liberalismo e comunismo, da questo punto di vista, sembrano solo le due diverse facce di una stessa medaglia).