Con la stessa lungimiranza del Tenente Colonello Thursday ne Il massacro di Fort Apache, alla fine ce l’hanno fatta. L’impresa era difficile, la strada in salita, ma la compattezza del gruppo dirigente ha prevalso e ha consentito di giungere al risultato agognato: il Pd ha resuscitato Berlusconi, ha salvato Alfano e ha perso la faccia, pur detenendo – almeno formalmente – lo scranno centrale di Palazzo Chigi. Un autentico capolavoro politico.Non era una missione semplice: l’ampia maggioranza alla Camera, la consistenza nelle piazze di un movimento di protesta come il Cinque Stelle, la candidatura al Quirinale del compagno Rodotà e l’essere riusciti, non si sa bene come, ad ottenere nuova credibilità presso il proprio elettorato, tutto questi – diciamolo francamente – erano elementi di rottura che potevano scalfire le certezze dell’establishment. Invece hanno prevalso la glasnost, la trasparenza negli intenti, e la continuità: lungi da qualsivoglia forma di revisionismo storico, al grido “Per il Cavaliere!” con fare tafazziano la sinistra ha soccorso la sedicente destra. Del resto, si sa, in politica c’è chi gioca per vincere e chi per convincere. Poi c’è il Pd, che gioca per partecipare puntando semmai al premio di consolazione.Potrete allora facilmente immaginare i festeggiamenti di stamane, il clima di giubilo e di euforia che si è diffuso non appena sono stati divulgati i dati raccolti dall’Istituto Swg per Agorà Estate. Gli sforzi profusi sono stati premiati dall’elettorato: il Pdl è finalmente il primo partito col 26,5% dei voti potenziali; il Pd segue con sobrietà un punto sotto. Certo, il dato non è maturo, la previsione è più che altro una proiezione orientativa, però premia gli sforzi compiuti in questa tormentata legislatura. E’ per questo che in casa democratica si pone l’attenzione sull’assoluta necessità di non avere proprio adesso dei cali di tensione. Per poter effettivamente giungere al traguardo atteso c’è bisogno di un colpo d’ali, di una manovra ad ampio respiro che dia nuovo ossigeno alla base.
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Naturalmente il dibattito è aperto: c’è chi propone di iscrivere Renzi alla prossima edizione di X-Factor; chi preferirebbe affidare il dicastero degli Esteri a Platinette; chi, ancora, crede sia necessario trovare nuovi referenti culturali, avanzando la proposta di un forum europeo sul tema “Sinistra è popolo” con un parterre d’eccellenza, da Albano (con la B, non con la F) a Gigi D’Alessio, dalla Parietti a Maurizio Costanzo. Sono però, queste, posizioni di nicchia, caratterizzate da un diffuso elitarismo. Che Albano sia pop è cosa nota ai più, inoltre non convince l’idea di apparire festosi nell’odierno contesto di crisi. Che fare allora?Appare assai più probabile l’idea di seguire la realpolitik metternicchiana di D’Alema. I suoi uomini avrebbero già progettato un piano strabiliante: un avvicendamento al Quirinale fra Napolitano e Letta zio, col beneplacito di Letta nipote, secondo la già rodata formula delle dimissioni canoniche collaudata sperimentalmente in Vaticano da Benedetto XVI (in tal modo si piegherebbero anche le resistenze dei popolari). L’operazione verrebbe eseguita non prima di aver concesso una grazia perpetua al Cavaliere oscuro. Solo così la sinistra potrà riscoprire le sue origini e tornare, con assoluto merito, all’opposizione.Di fronte a tanta abnegazione la base è soddisfatta. Già pronto il motto per la prossima festa dell’Unità: forza compagni, gettate il cuore oltre ogni ostacolo. E poi, possibilmente, seguitelo.