Raro, benché non del tutto eccezionale, il destino di essere identificato con una scoperta cui resterà per sempre il proprio nome.Ma strano destino davvero é essere identificati addirittura con un intera disciplina che per sempre resta non solo unita al proprio nome e ancorata al proprio percorso di teorizzazione e di scoperta. Parlo, ovviamente del destino di Freud e della psicanalisi da lui fondata sulla base di un metodo particolare di indagine che permette di accedere a un oggetto che in nessuna altro modo può essere evidenziato, l'inconscio che muove e abita gli esseri umani. Qui mi permetto di far raccontare da Freud la sua autobiografia che fu pubblicatasull'American Journal of Psycology, 1910 con il titolo Uber Psycoanalisye.
Sebbene vivessimo in grandi ristrettezze, mio padre desiderava che nella scelta della professione seguissi unicamente la mia vocazione. In quegli anni giovanili non sentivo alcuna predilezione speciale per la professione medica, né ebbi del resto a sentirla in seguito. Mi dominava piuttosto una specie di brama di sapere che, però, si riferiva più ai fenomeni umani che agli oggetti naturali … Lo studio precoce e approfondito della storia biblica, iniziato appena ebbi imparato a leggere, ha avuto, come potei riconoscere assai più tardi, un notevole peso nel determinare l'indirizzo dei miei interessi. Sotto l'influsso potente di una amicizia con un compagno di ginnasio un po' più vecchio di me (che in seguito è diventato famoso come uomo politico) mi ero messo in mente di intraprendere anch'io gli studi giuridici e di occuparmi di problemi sociali. Contemporaneamente, però, mi attraeva enormemente la teoria di Darwin, allora molto in voga, perché sembrava promettere uno straordinario progresso nella comprensione del mondo. L'illustrazione del bel saggio goethiano La natura, che udii poco prima dell'esame di maturità in una conferenza di volgarizzazione scientifica tenuta da Carl Brühl, mi fece decidere, infine, a iscrivermi alla facoltà di medicina. (p. 76 e s.) ............
Nei primi anni di università dovetti rendermi conto che la peculiarità delle mie doti naturali, e la loro limitatezza, mi impedivano di ottenere qualsiasi successo in svariate materie scientifiche sulle quali mi ero gettato con giovanile e presuntuoso entusiasmo … Nel laboratorio di fisiologia di Ernst Brücke trovai finalmente la tranquillità e ottenni piena soddisfazione incontrando fra l'altro delle persone che potevo rispettare e prendere a modello: Brücke stesso, il maestro, e i suoi assistenti Sigmund Exner e Ernst Fleischl von Marxow … Le discipline propriamente mediche, fatta eccezione per la psichiatria, non esercitavano su di me una grande attrazione. (p. 77 e s.)............. Nell'istituto di anatomia cerebrale mi misi al lavoro con lo stesso impegno e fervore di cui avevo dato prova nel laboratorio di fisiologia, e dopo tutto anche in quegli anni di attività ospedaliera misi a punto alcune piccole ricerche (sul decorso delle fibre e sulle origini dei nuclei del midollo allungato) che furono notate da Edinger … Dal punto di vista pratico l'anatomia cerebrale non rappresentava certo un progresso rispetto alla fisiologia. Delle esigenze pratiche cominciai a tener conto quando decisi di dedicarmi allo studio delle malattie nervose. A quel'epoca a Vienna questa specialità medica veniva coltivata da poche persone, il materiale d'osservazione era disseminato in diversi reparti dell'ospedale e, dato che non esistevano buone opportunità di farsi una preparazione adeguata, ciascuno era costretto a essere il maestro di sé stesso … Giacché la fama del grande Charcot era giunta fino a me, concepii il proposito di prendere a Vienna la docenza in malattie nervose, per poi proseguire la mia preparazione professionale a Parigi. (p. 79)....... Nel corso degli anni seguenti, in cui svolsi la mia attività come giovane aiuto dell'ospedale, diedi alle stampe parecchie osservazioni di casi di malattie organiche del sistema nervoso. Mi impadronii a poco a poco della materia e riuscii infine a localizzare un focolaio morboso del midollo allungato con una precisione tale che l'anatomo patologo non ebbe nulla da aggiungere alle mie osservazioni … Delle nevrosi, però, non capivo nulla … Sia solo detto a mia scusante che a quell'epoca perfino alcuni grandi luminari della scienza medica solevano diagnosticare la nevrastenia come tumore cerebrale. (p. 79 e s.)........ Nella primavera del 1885, per i miei lavori istologici e clinici, ottenni la docenza in neuropatologia. Poco dopo, grazie alla calorosa intercessione di Brücke, mi fu assegnata una cospicua borsa di studio. Nell'autunno partii per Parigi … Di tutte le cose che ebbi modo di osservare durante il mio soggiorno presso Charcot, nessuna mi colpì tanto quanto le sue ultime ricerche sull'isteria, che in parte si svolsero ancora quando io mi trovavo a Parigi; così ad esempio egli dimostrò che i fenomeni isterici sono qualcosa di autentico e conforme a uno scopo, che l'isteria è molto frequente negli uomini, che paralisi e contratture isteriche possono essere provocate dalla suggestione ipnotica e che questi prodotti artificiali hanno, fin nei minimi dettagli, le stesse caratteristiche degli attacchi isterici spontanei che spesso vengono provocati da un trauma. (p. 80 e s.)............ Prima di lasciare Parigi discussi col maestro il progetto di un lavoro inteso a stabilire un confronto fra la paralisi isterica e quelle organiche. Il mio intento era di dimostrare che nell'isteria la paralisi e le anestesie si ripartiscono nelle singole parti del corpo in base alla rappresentazione comune che gli uomini hanno del proprio corpo e non in base alla rappresentazione anatomica. (p. 81)............. Prima di tornare a Vienna mi trattenni qualche settimana a Berlino, al fine di acquisire alcune nozioni generali sulle malattie dell'infanzia. Kassowitz, che a Vienna dirigeva un pubblico ospedale per le malattie infantili, mi aveva promesso che avrebbe allestito un reparto per le malattie nervose dei bambini e me l'avrebbe affidato… Al mio ritorno da Parigi e da Berlino avevo l'obbligo di riferire alla "Società di medicina" su quello che avevo visto e appreso nella clinica di Charcot; purtroppo però le mie comunicazioni furono male accolte. (p. 82 e s.).......... Se dal trattamento dei malati di nervi si volevano trarre i mezzi per vivere, bisognava pur fare qualcosa per alleviare la loro sofferenza. Nel mio arsenale non avevo che due armi, l'elettroterapia e l'ipnosi … il che tuttavia non riuscì a impedire ai professori di psichiatria di considerare ancora per molto tempo l'ipnosi come una specie di imbroglio e di guardare con disprezzo gli ipnotizzatori dall'alto in basso. Per parte mia avevo visto che a Parigi l'ipnosi veniva normalmente e liberamente impiegata per provocare nel malato determinai sintomi e farli poi scomparire. In seguito venimmo a sapere che a Nancy era nata una scuola nella quale, per fini terapeutici, si faceva ampio uso della suggestione (con o senza ipnosi) e che i risultati erano notevoli … Solo in seguito avrei scoperto le carenze di questo procedimento … Allo scopo di perfezionare la mia tecnica ipnotica, mi recai nel 1889 a Nancy, dove trascorsi varie settimane … Ne riportai indelebili impressioni che mi fecero ritenere probabile l'esistenza di processi psichici possenti, che restano tuttavia celati alla coscienza degli uomini. (p. 84 e s.)......... Per completare la mia esposizione precedente devo aggiunger che fin dall'inizio ho esercitato l'ipnosi per uno scopo che nulla aveva a che fare con la suggestione ipnotica. Mi sono avvalso dell'ipnosi per interrogare il malato sulla genesi dei suoi sintomi, genesi sulla quale nello stato di veglia egli non era spesso in grado di dire alcunché, o comunque troppo poco. Questo procedimento non solo si rivelò più efficace del mero comando o divieto, ma aveva inoltre il vantaggio di offrire soddisfazione alla brama di sapere del medico, che dopo tutto aveva il diritto di apprendere qualcosa circa l'origine di quel fenomeno che cercava di eliminare mediante il monotono procedimento della suggestione. A quest'altro modo di usare l'ipnosi ero giunto per la via seguente. Quando ancora lavoravo nel laboratorio di Brücke avevo conosciuto il dottor Josef Breuer, uno dei medici di famiglia più stimati di Vienna … Già prima del mio viaggio a Parigi, Breuer mi aveva parlato di un caso d'isteria da lui sottoposto, dal 1880 al 1882, a un trattamento particolare, per mezzo del quale era riuscito a penetrare profondamente nella motivazione e nel significato dei sintomi isterici … Quando era ricorsa alle cure di Breuer la paziente offriva un quadro sintomatico complesso e variopinto: paralisi con contratture, inibizioni e stati di confusione psichica. Un'osservazione casuale permise al medico di scoprire che la malata poteva essere liberata da tali turbamenti della sua coscienza se e quando veniva indotta a dare espressione verbale alle fantasie affettive che in quel momento la dominavano. Breuer trasse da questa scoperta un metodo terapeutico. Ripetutamente, dopo aver sottoposto la paziente a ipnosi profonda, la invitò a raccontare ciò da cui l'animo suo si sentiva oppresso. Dominati in tal modo gli accessi di ottenebramento depressivo, fece uso di questo stesso procedimento per eliminare le inibizioni e i disturbi somatici. Durante lo stato di veglia la giovinetta, al pari di qualsiasi altro malato, non sapeva dir nulla sull'origine dei suoi sintomi né ravvisava alcun legame fra questi ultimi e le impressioni della sua vita … Quando dunque la malata rammentava allucinatoriamente in ipnosi una di queste situazioni e portava finalmente a compimento l'atto psichico a suo tempo represso, dando libero sfogo ai propri affetti, ecco che il sintomo scompariva per sempre. (p. 87 e s.)............ Breuer qualificò il nostro procedimento come catartico e ne dichiarò l'intento terapeutico: bisognava che l'ammontare affettivo utilizzato per la formazione del sintomo – che avendo preso un falso binario era rimasto in esso per così dire incapsulato – fosse preservato e ritornasse alla sua via normale, che poteva condurlo a una scarica adeguata (abreazione). (p. 90) Ho descritto così frequentemente e con tale dovizia di particolari la fase successiva dello sviluppo, e cioè il passaggio dalla catarsi alla psicoanalisi vera e propria, che mi sembra difficile poter dire qui qualcosa di nuovo. (p. 90)............ Il mio lavoro con pazienti affetti da malattie nervose in genere ebbe un esito ulteriore: il mutamento della tecnica catartica. Abbandonai l'ipnosi e cercai di sostituirla con un altro metodo nell'intento di andar oltre il trattamento riservato alle forme morbose di tipo isterico; tra l'altro, man mano che la mia esperienza si arricchiva ogni giorno di nuovi elementi, sorsero in me gravi dubbi relativi all'impiego dell'ipnosi nella stessa catarsi. Il primo riguardava il fatto che perfino i risultati più brillanti svanivano improvvisamente nel nulla allorché il rapporto personale del medico col malato veniva in qualche modo turbato … L'ipnosi, tuttavia, aveva reso al trattamento catartico servizi notevolissimi, ampliando il campo della coscienza dei pazienti e mettendo a loro diposizione conoscenze di cui nella vita vigile non disponevano. Sostituire l'ipnosi, sotto questo profilo, non era certo cosa facile. In questo frangente imbarazzante mi venne in aiuto un ricordo, il ricordo di un esperimento cui avevo assistito sovente durante il mio soggiorno presso Bernheim … Presi la risoluzione di fare altrettanto. Anche i miei pazienti non potevano non "sapere" tutte le cose che normalmente erano rese loro accessibili solo mediante l'ipnosi, e le mie assicurazioni e insistenze, con magari in più la pressione delle mani, dovevano pure avere il potere di spingere nella loro coscienza gli eventi e i nessi dimenticati … Abbandonai dunque l'ipnosi, di cui mantenni solo la posizione del paziente, posto a giacere supino su un divano, mentre io stavo seduto dietro di lui, in modo da vederlo senza esser visto. Le mie speranze si realizzarono, mi liberai dell'ipnosi; tuttavia tale mutamento tecnico implicò un mutamento del lavoro catartico nel suo insieme. L'ipnosi aveva nascosto un giuoco di forze che ora veniva messo allo scoperto, e la cui conoscenza dava alla nostra teoria un fondamento sicuro. (p. 94 e ss.)
Sono stato comunque più sincero di quanto lo siano coloro che raccontano la propria vita per i contemporanei o per i posteri.
Sigmund Freud
Fonti: Sigmund Freud, Autobiografia, traduzione di Renata Colorni in Opere vol.10, Boringhieri, Torino 1978 io, la psicoanalisi a cura di Nelly Cappelli,Rizzoli, Milano 2011