C’è un posto particolare quando ci si siede a tavola in comitiva: quello di capotavola.
Di solito si dice anche “Chi siede a capotavola paga per tutti!”, modo di dire che non è esente dalla tradizione storica che a lungo ha designato la croce e delizia di queste mangerecce in compagnia.
Vero anche che la Storia dimostra il contrario: chi ha pagato non è il capotavola, ma gli esclusi dalla tavola!
Ciò che spesso viene sottovalutato è la condizione esistenziale propria del posto riservato a “capotavola”, e cioè la solitudine del capo(tavola).
Sebbene chi sieda in una posizione tale da poter ammirare l’intera platea di bocche intente a parlare e masticare appaia al centro dell’attenzione, nello stesso tempo la sua posizione di “controllore” o di foce/sorgente del fiume lo relega a figura solitaria del simposio.
Il capotavola assurge a funzione catartica del flusso di cibo e bevande, degli sguardi che da lui/lei sono calamitati e subito perduti, perde qualità, interesse, diventa quasi una sorta di fondale.
La stessa solitudine che permea i leader, pericolosa e fragile, perché un uomo politico solitario è finito. Altrettanto quello religioso o sociale in genere.
Il carisma del capotavola è destinato ad essere perso. Verrà interpellato di tanto in tanto per qualche battuta, e lui potrà decidere se limitarsi ad osservare la scena, registrare e convergere i dati, oppure cambiare posto.
Forse il buon politico ruota intorno al banchetto, ascolta le varie posizioni, rifugge dalla solitudine di quel trono lontano.
O forse il capotavola è soltanto un’illusione, un paradosso della geometria euclidea, un errore nella sintassi. D’altronde qualcuno disse “Gli ultimi saranno i primi.”