"Zia, perché Sofia piange?", "Non ne ho la minima idea", "Ma tu sei sua madre!". Persino il mio nipotino di 5 anni è convinto che una madre non possa non sapere perché il figlio appena nato pianga. E invece spesso è proprio così: il famigerato istinto materno - posto che esista - non fornisce tutte le risposte che una madre vorrebbe e spesso i neonati sono dei perfetti estranei persino per colei che li ha generati. Degli estranei pieni di bisogni, incapaci di esprimerli chiaramente, che esigono soddisfazione senza sentire ragioni. Un bel rompicapo che può portare al manicomio anche la più materna delle donne.
E allora forse il mito della mamma sempre amorevolmente disposta verso i figli, capace di cogliere le sfumature del loro pianto, sempre felice di avere questo pargolo fra le braccia va sfatato. E non solo per amore di verità, ma soprattutto per amore verso i figli. Lo stereotipo della mamma-sempre-felice rischia di far sentire sole molte donne che nei primi mesi dopo il parto spesso non sono felici affatto, o più probabilmente sono prese da altalene di emozioni e sentimenti peggio che sulle montagne russe, sentendosi spesso in colpa, inadeguate, oppresse da questa creatura che dipende interamente da loro. E il senso di solitudine può portare molte neomamme sull'orlo della depressione. Perché la maternità non è un percorso chiaro e luminoso, fatto solo di amore incondizionato, ma un'esperienza complessa, ricca di emozioni e sentimenti ambivalenti e spesso contrastanti.
Le donne che sfilano sullo schermo nell'ultimo film di Alina Marazzi - Tutto parla di te - lo dicono spesso trattenendo le lacrime, perché ammettere di avere sentimenti contrastanti nei confronti dei propri figli è quasi indicibile. E questo è il merito più grande del film: dire l'indicibile, strappare il velo di ipocrisia che si stende sulla maternità, guardarne in faccia gli aspetti più ambivalenti senza esasperarli ma allo stesso tempo senza nasconderli e suggerire l'unico modo per affrontare questa esperienza elaborando e non sopprimendo questi sentimenti: condividerla. Condividerla con il proprio compagno, certo, ma soprattutto condividerla con altre donne, scoprendo di non essere affatto sole.
Sullo schermo i volti e le storie di donne reali, che raccontano la propria maternità come in un documentario, si intrecciano con quelli delle due protagoniste del film: Pauline (Charlotte Rampling), una donna che torna dopo tanti anni a Torino portandosi dentro un dolorosissimo segreto, ed Emma, interpretata da una intensa Elena Radonicich, giovane mamma alle prese con un neonato che sente completamente estraneo, e che pure fa parte di lei e da cui sa che è impossibile staccarsi completamente. Il suo volto “stanco e triste” è quello di molte mamme, anche se non sempre è facile ammetterlo e ci imbellettiamo nel tentativo di convincere gli altri e noi stesse che siamo sempre felici.
La maternità sarà pure qualcosa di fisiologico e naturale per una donna, ma lo stravolgimento che porta con sé è potenzialmente devastante e può essere tenuto dentro gli argini solo se ogni mamma sa di non essere sola.
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