La forma della sostanza ... P! (source: Wikipedia)
Molti dei concetti analizzati dalla filosofia affondano le loro origini nel linguaggio ordinario. Percezione, conoscenza, causalità e mente sono solo alcuni esempi, ma il concetto di sostanza essenzialmente è un termine che la filosofia associa all’arte. Il suo utilizzo nel linguaggio ordinario tende a provenire, spesso anche in maniera distorta, dal senso filosofico. Espressioni come una “persona di sostanza” o una “ragione sostanziale”, vanno intese in tal senso, mentre “sostanza illegale” ad esempio è più affine ad un uso strettamente filosofico, anche se non è il più importante.
Qui entra in gioco il concetto più ordinario di “oggetto” o “cosa”, quando è possibile contraddistinguerlo da eventi o proprietà associabili. Tuttavia, al di fuori del ristretto ambito filosofico, il termine “sostanza” non viene quasi mai impiegato, se non per indicazioni di tipo generale e imprecisato, favorendo sinonimi più precisi o specialistici. Si potrebbe dire che esistono due modi molto diversi per caratterizzare il concetto filosofico di sostanza. Il primo, più generico, identifica “sostanza” con una corrispondenza al greco ousia, che significa ‘essenza’, poi trasmessa attraverso il latino substantia e traducibile con ”ciò che sta sotto”. Pertanto, nel senso comune le sostanze in un dato sistema filosofico sono quelle cose che, secondo tale sistema, rappresentano i fondamenti o le entità fondamentali della realtà.
Ed è così che per un atomista, come potevano esserlo Democrito o Leucippo, nelle rispettive essenziali sfumature, le sostanze sono nient’altro che atomi, elementi basilari di cui ogni cosa è composta, mentre nel sistema critico di David Hume, un eminente filosofo del ’700, la sostanza era solo una “collezione di qualità particolari” ovvero un insieme di stimoli e di sensazioni empiriche provenienti dall’esterno cementate dal nostro intelletto fino a creare un’idea di ciò che stiamo analizzando, creandoci l’impressione che ciò esista anche nel momento in cui noi non lo percepiamo, idee e impressioni quindi per spiegare la materia.
Il concetto delle forme e delle sostanze si sgretola!
Per Platone era sufficiente una semplice forma per avere dinanzi una sostanza, comprendendo qualsiasi cosa ne derivi, che sia contenuta o ne componga effettivamente la forma stessa. Questo è un sistema filosofico che si può definire realista e tangibile, in quanto riconosce l’esistenza effettiva e materiale della sostanza.
Questa sintesi, assolutamente parziale nella sua incompletezza, lascia intendere la difficile evoluzione concettuale del termine fra il senso più materiale e quello prettamente metafisico che scinde in due principi ontologici il significato, il concreto e l’astratto, un dualismo perfetto, antitetico e ossimorico.
Il fatto che spesso i reagenti chimici oggi vengano chiamati sostanze in italiano, in inglese e anche in altri idiomi, si deve al compromesso filosofico stabilito dai grammatici dell’Impero Romano ormai decadente, tra i quali si ricorda più di tutti il contributo di Prisciano di Cesarea che modificò i testo di Apollonio in maniera peculiaria, ignorando apparentemente la dottrina stoica che nulla esisteva al di fuori del corpo. Ma Prisciano non era certo un filosofo, per i suoi scopi era già sufficiente che la gente parlasse come se ci fosse qualche ipostasi, la generazione gerarchica delle diverse dimensioni della realtà, appartenenti alla stessa sostanza divina, dalla quale tutto viene creato per emanazione.
Ogni anno milioni di giovani ascoltano quella che dovrebbe essere una storia che generi ispirazione, le vicende che narrano di come un lavoro esperto, paziente e creativo, attraverso molti secoli e in diverse parti del mondo, ha prodotto un inestimabile resoconto coerente e comprensibile della natura intrinseca di tutto ciò di cui il nostro mondo è composto. Sulla base di questa storia, gli studenti che approcciano la chimica ora possono contare su risposte convincenti alle domande che turbavano i pensieri degli antichi, dei medioevali e dei migliori pensatori del periodo pre-moderno.
Uno dei due motivi principali per i quali gli studenti di chimica non trovano questa storia di particolare interesse, sono da ricercarsi nella sua grande frammentazione e nella perdita del corretto apprezzamento dei modelli di pensiero che hanno dominato l’antichità. Un altro motivo è che la conquista intellettuale della chimica moderna non è ancora stata adeguatamente integrata nella filosofia contemporanea, che forse langue di moventi.
Il chimico austriaco Friedrich Adolf Paneth, che tra l’altro pensò alla fusione nucleare fredda 60 anni prima di Martin Fleischmann e Stanley Pons, diventò noto per diversi risultati specifici, come quando nel 1929 mostrò la capacità dei prodotti di decomposizione del piombo tetraetile, un flusso gassoso sublimato in un sistema chiuso, erano in grado di far scomparire uno specchio metallico situato lontano dal sito dove avveniva la decomposizione.
Questa fu la prova che i “frammenti reattivi” potevano esistere abbastanza a lungo da attraversare distanze considerevoli e reagire anche se non erano prodotti stabili della reazione, ma fu soprattutto la prima dimostrazione convincente dell’esistenza di ciò che ora chiamiamo “radicali liberi”.
Mille esperti, mille risposte!
Nel suo The Epistemological Status of the Concept of Element, Paneth rivisita le nozioni di elemento lungo la storia, fornendo un’analisi autorevole del concetto moderno di elemento chimico. Uno degli obiettivi principali che quest’opera si proponeva, è da ricercarsi nel rifiuto definitivo della conclusione per la quale molti degli autori precedenti avevano raggiunto un ampio consenso. Questi infatti erano concordi su un moderno concetto di “elemento chimico” – come già specificato da Lavoisier, l’elemento era una sostanza non più scindibile nelle sue componenti con mezzi chimici – alquanto differente dalla nozione più metafisica dell’elemento considerato dagli alchimisti e dagli antichi. Paneth discordava da questa conclusione, argomentando che il requisito di Lavoisier, il quale implicava che l’elemento doveva essere isolato allo stato puro, non era assoluto. Il fluoro e il radio ad esempio erano stati accettati come elementi, pur non essendo stati ancora isolati. Pertanto Paneth considerava il grande passo avanti di Lavoisier non come un limite al numero delle sostanze di base a priori, ma la pretesa che esse possano, almeno in linea di principio, venire preparate come sostanze de facto non scomponibili.
Paneth tuttavia mantenne il dualismo del termine, per tutti i casi in cui non era applicabile la preparabilità e riconobbe la metafisica del concetto di sostanza, osservando che il concetto moderno era tanto metafisico quanto quello antico, come venne descritto da Aristotele:
Chiamiamo elemento (stoichion, parte semplice) ciò che è il componente primario e immanente in un oggetto, e definitivamente indivisibile in due diversi tipi di componenti.
Il cloro, lo stesso elemento contenuto nel sale da cucina.
La polisemia (o anfibolia) promossa da Paneth, andava oltre la semplice omonimia o ambiguità, la parola elemento assumeva un significato duplice. Ad esempio la distinzione tra ‘‘einfacher Stoff’’ e ‘‘Grundstoff’’ per le due accezioni del termine elemento, vennero tradotte nelle inglesi simple substance e basic substance, sostanza semplice e di base. Dal suo punto di vista la parola elemento designava da un lato, un materiale stabile che non poteva essere scomposto chimicamente (einfacher Stoff), d’altra parte il termine si adattava a ciascuno dei componenti che insieme fanno parte di un composto chimico più complesso. Con questa terminologia, l’elemento Cloro nel suo stato naturale biatomico Cl2, verde e dall’odore pungente, è considerato come una sostanza semplice, in contrasto con l’elemento Cloro che esiste all’interno della molecola del tetracloruro di carbonio CCl4, che diventa quindi una “sostanza di base” (Grundstoff’), e come tale non possiede proprietà sensibili (odore, colore, ecc.).
Eric Scerri sostiene che il successo di Mendeleev nello sviluppo della tavola periodica era correlato al suo uso perspicace del doppio significato del concetto di elemento chimico. Tra le ultime frasi del lavoro di Paneth si legge:
Il concetto di elemento deve essere preso nel suo senso più realistico o ingenuo (naïve) quando si descrive una sostanza semplice, ma va inteso come trascendentale quando tratta della sostanza di base.
Mentre Paneth enfatizzò la parola trascendentale con una nota esplicita del suo senso epistemologico, Scerri ne evita sapientemente l’uso, impiegando al suo posto la ben più sobria locuzione “sostanza astratta” in luogo di Grundstoff’, e in seguito l’ancor più ermetico “elemento 1″, contrapposto all’“elemento 2″ per einfacher Stoff.
Molti chimici tedeschi dei primi decenni del secolo scorso erano familiari con gli insegnamenti filosofici di Immanuel Kant, il quale era solito usare la parola trascendentale in un senso molto diverso da quello impiegato da Paneth. Kant distingueva il reame dei fenomeni osservabili dal reame trascendentale del noumeno, tutto ciò che non può essere percepito nel mondo tangibile, ma a cui si può arrivare solo tramite il ragionamento. Il noumeno, come concetto, fonda l’idea di metafisica in Platone.
Quando Paneth nel 1931 con il suo discorso spostò l’orizzonte ufficiale della chimica nella comprensione del concetto di elemento chimico, era già a buon punto. I fattori che contribuirono alla transizione comprendevano la scoperta della tavola periodica e la natura nucleare degli atomi. Gli ultimi pezzi del mosaico furono la presa di coscienza che gli elementi chimici in genere comprendevano diversi isotopi, e l’identificazione del neutrone come particella priva di carica con massa pari a quella del positivo protone. Dopo strenuanti dibattiti e accese discussioni, nelle quali Paneth era assiduo partecipante, la IUPAC adottò una nuova definizione dell’elemento chimico, affidando l’univocità alle cariche positive del nucleo atomico, ovvero al numero atomico Z. Con questa nuova definizione, ogni atomo che possiede 17 cariche positive nel suo nucleo, è un atomo di cloro senza curarsi dell’appartenenza o meno alla categorica “sostanza”, di aristotelica memoria.
Così il cloro nel tetracloruro di carbonio non è verde e non ha odore pungente, ma questo non significa che l’elemento non possieda caratteristiche proprie, bensì che le sue proprietà siano trascendentali, nel senso epistemologico più ristretto assegnato da Paneth, cioè oltre la “sfera della coscienza“. Questa assunzione pare non sia consistente con la distinzione kantiana fenomeno/noumeno, e la IUPAC stessa certifica con la sua definizione che sviluppando tecniche sperimentali e strumenti e accumulando informazioni e conoscenze per secoli, si è giunti gradualmente alla comprensione irreversibile che l’essenza dell’elemento era ormai acquisita e consolidata. Ciò nonostante, lo scetticismo che accompagnò la reale esistenza dei radicali liberi come teorizzato da Paneth, perseverò per diversi anni prima di cedere all’evidenza.
Ecco come si superano gli orizzonti dell'invisibilità!
Il poeta O.B. Hardison descrive l’orizzonte di invisibilità, come una linea che separa ciò che adesso possiamo vedere, tramite le risorse a nostra disposizione, da quello che non possiamo (ancora) riconoscere. La scoperta della sostanza di chimica elementarietà (come stabilito dalla IUPAC), risolve una questione sulla quale arguti pensatori sono stati occupati per millenni, ma allo stesso tempo lascia spazio a ulteriori questioni (cosa mantiene insieme i protoni e i neutroni nel nucleo? – Perché alcuni isotopi sono instabili? – ecc.). La scoperta della natura essenziale degli elementi chimici insegna che gli orizzonti di invisibilità non sono fissi come pretendeva Kant, ma si possono evolvere, ci saranno sempre aspetti più profondi della natura che rimarranno inesplorati.
Con queste riflessioni tra il semantico e l’epistemologico, non sempre alla portata di tutti, si aspira ad una semplificazione, cercando di migliorare in consistenza e chiarezza il linguaggio della chimica, riducendo al minimo le incomprensioni e le ambiguità e soddisfacendo i propositi di Paneth che sperava solo di ottenere con i suoi suggerimenti una riforma condivisibile della nomenclatura.
Il dibattito filosofico su come le proprietà si concretizzino procede a buon ritmo, nonostante la scarsa attenzione dedicata dalla chimica moderna in questo ambito. Tuttavia la chimica contemporanea è estremamente ricca di sfumature e vanta una comprensione piuttosto completa della natura, tanto da smentire apparentemente le solite speculazioni filosofiche. Il linguaggio della chimica possiede altrettante numerose sfumature di qualsiasi altro linguaggio naturale e l’attuale dibattito filosofico non potrà essere risolto adeguatamente con arcane semplificazioni. I chimici e i filosofi della chimica possono contribuire con profitto al corrente dibattito filosofico che verte sulla determinazione di come le proprietà individuali debbano essere considerate un insieme di proprietà legate, una collezione di tropi, meri particolari, o devono essere trattati in maniera diversa da ciascuno di questi approcci, con il giusto spirito pionieristico.
Scommetto che pochissimi tra gli astanti, sospettassero anche solo minimamente un significato così profondo celato in una parola d’uso comune come sostanza, le sue ripercussioni e le complicazioni nate per semplificarne e delimitarne i confini. Un monito per non congelarsi nella staticità della filosofia classica, un consiglio per smuovere il pensiero verso il livello successivo.
Further readings:
Robinson, Howard, “Substance“, The Stanford Encyclopedia of Philosophy (Winter 2009 Edition), Edward N. Zalta (ed.), URL = <http://plato.stanford.edu/archives/win2009/entries/substance/>.
Short Biographies of Philosophizing Chemists: Friedrich Adolf Paneth (1887-1958) by Klaus Ruthenberg
Earley, J. (2008). How chemistry shifts horizons: element, substance, and the essential Foundations of Chemistry, 11 (2), 65-77 DOI: 10.1007/s10698-008-9054-5