La speranza turca, dichiarata più o meno esplicitamente dalle autorità di Governo, è che un attacco missilistico targato Usa possa far implodere il regime, o che, in subordine, possa indebolirlo a tal punto da rilanciare in modo definitivo l'azione sul campo dei cosiddetti ribelli; ulteriore alternativa, che possa spingere settori del regime al tavolo negoziale -Ginevra la possibile sede- per una soluzione politica al conflitto (anche in quest'ultimo caso, per una Siria senza Assad).
Il Ministro degli Esteri Ahmet Davutoğlu, impegnato fino alla scorsa settimana a elaborare una via d'uscita dalla crisi egiziana, dopo l'attacco chimico del 21 agosto a Gouta, ha rivoluzionato la sua agenda: ha dato la priorità alla Siria e non più all'Egitto nel suo viaggio già programmato del 22 e 23 in Germania, Inghilterra e Italia; ha incontrato il Presidente della Coalizione nazionale siriana, Ahmad Jarba a Istanbul, ha ricevuto il suo omologo del Qatar ad Ankara, ed è volato a incontrare quello dell'Arabia Saudita; ha avuto conversazioni telefoniche coi più rilevanti interlocutori internazionali, compreso il suo omologo russo Sergej Lavrov; ha ripetutamente offerto il suo punto di vista in interviste sulla stampa e in tv.
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