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La spiaggia dei cuori malandati

Creato il 11 febbraio 2015 da Luca Taddei

La spiaggia dei cuori malandati
La spiaggia dei cuori malandati
La mezza luna ingobbita a levante lanciava lame di luna argentata fra i passaggi di nuvole che con dignitosa fretta si rincorrevano sopra i pennoni delle barche che lente dondolavano nel porto.La canoa gialla racchiudeva per due terzi il conducente curioso che spinto da antiche leggende pagaiava nel silenzio della notte.La fase lunare calante, una leggera nuvolosità e un mezzo di locomozione assolutamente naturale erano le uniche prerogative possibili per avere la speranza di riuscire a trovare la “spiaggia dei cuori malandati”.La leggenda, tramandata impassibile nei secoli dove guerre, invenzioni, letterati e conquistatori avevano fatto da padroni, parlava di una spiaggia piccola e nascosta agli occhi di insignificanti mortali e comuni passeggeri di vita e di mondo, e abitata da cuori feriti e malandati.La luna in realtà era l’unico vero nocchiero e i suoi raggi gli unici indicatori.La predisposizione d’animo, la canoa sospinta dalla sola propulsione umana l’unico mezzo per arrivarci.Era partito dalla spiaggia di Salivoli a notte fonda svegliato da un sogno premonitore in cui un vento tiepido e silenzioso lo spingeva ad alzarsi, a muoversi per concludere, una volta per tutte,  la sua ricerca e soddisfare così una curiosità oramai proverbiale.La canoa gialla solcava il mare piatto quasi sapesse la direzione, come guidata da un timoniere navigato che seguendo le stelle virava e strambava come la luna comandava.Si accorse di essere vicino alla meta quando nel silenzio di quella misteriosa navigazione sentì, ovattati, una serie di piccoli rimbombi, di piccoli tonfi che le onde riflettevano come echi dispettose. La cadenza era irregolare ma continua, incessante e sembrò sempre più nitida man mano che la canoa si avvicinava alla meta.La visione gli apparve improvvisamente dietro una punta ventosa e ululante.La spiaggia piena all’inverosimile di puntini rossi palpitanti e invocanti sembrava come abitata da sirene che, per metà umani e per l’altra metà pesci, nell’impossibilità di avere una vita dignitosa, speravano in un miracolo umanitario, un qualcosa che gli desse dignità di esistenza.Si poteva trovare di tutto, tutte le varietà di sconquasso cardiaco immaginabile.Il cuore deluso senza ritorno accanto a quello speranzoso, il cuore tradito accanto a quello cattivo che vagava senza meta, il cuore in attesa di un cenno, il cuore sordo e poi ancora il cuore cieco.In un angolo vicino alla roccia scoscesa un cuore in attesa di trapianto si teneva per mano a un cuore sano, guarito, scalpitante, diretto verso una cassa toracica implorante ossigeno.Cuori visionari, cuori derelitti e senza speranza, cuori solitari e cuori irregolari battevano con ritmi fra loro diversi.Cuori che si erano negati si fronteggiavano a cuori che avevano dato tutto se stessi, tutto l’amore di cui erano capaci.Due file di boe rigorosamente rosse delimitavano lo spazio dedicato ai battelli che traghettavano cuori nuovi e malati in arrivo e caricavano cuori in partenza, cuori guariti, restaurati richiesti nella vita reale per una vita nuova, possibile, dignitosa, umana.L’attività di trasporto era veloce, frenetica. L’avvicinarsi del novilunio avrebbe reso impossibile l’avvicinamento alla spiaggia e soprattutto ai cuori che come resi impazziti da un dolore acuto e penetrante e da una oscurità impenetrabile non avrebbero permesso nessun contatto. I lamenti e le crisi isteriche erano impossibili da sostenere a orecchie umane così come le maledizioni e le invocazioni potevano essere nefaste ad animi puri e innocenti.Un cuore impavido, eluso il controllo, si avvicinò al canoista e gli porse un biglietto, un piccolo pezzo di carta. Si trattava di un messaggio scritto a mano, un messaggio per l’umanità, da divulgare immediatamente senza mettere tempo in mezzo. Un SOS da lanciare mediaticamente e ripetuto all’infinito, un mantra di assoluta urgenza.Non ci fu altra scelta per il canoista che recarsi subito nella “valle dell’eco mediatica” e lanciare all’infinito la frase, il motto suggerito.
Con un urlo a pieni polmoni e scandendo parola per parola pronunciò quello che il cuore impavido gli aveva comandato: IL CUORE NON SI DA, IL CUORE NON SI RICEVE, IL CUORE SI CONQUISTA.

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