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Tim Burton aveva già realizzato un aldilà burlesco, burocratico e scorretto in Beetlejuice: di quel lontanissimo capoalvoro (del 1988), La sposa cadavere condivide la vena dissacrante, soprattutto nei confronti dell'avidità dei vivi e una rappresentazione giocosissima della vita dopo la morte, ovvero della morte dopo la vita. Ma Beetlejuice, gioiello interpretativo di un Michael Keaton al culmine della sua espressività carnascialesca, era un film beffardo che voleva mettere a disagio attese e benpensanti.
La sposa cadavere non mi sembra una professione di ateismo o di sfiducia verso una vita e il suo senso: mi pare, anzi, che si astenga da tentativi di sistematicità dogmatica. Non conosco Tim Burton abbastanza da avanzare ipotesi in merito, ma posso dire che a me questo film animato suscita profonda simpatia, intima tenerezza e una disposizione quanto più matura e umana possibile nei confronti della morte. Mi commuove, non come una sviolinata al mio troppo suscettibile senso del dolore, ma come una lusinga di felicità in cui credere davvero.
La sposa cadavere di Tim Burton racconta di Victor (doppiato da Johnny Depp), in procinto di sposare la dolce Victoria (Emily Watson), ma incapace di pronunciare il giuramento di matrimonio al momento opportuno. Il giovane, recatosi nel bosco, in piena notte, fa la prova a imparare parole e gesti e involontariamente promette a una donna cadavere (Helena Bonham Carter) di essere per sempre suo fedele e sincero marito. Da ciò deriva una grottesca discesa nel mondo degli inferi, dove, da sempre, i giuramenti hanno avuto un peso speciale.
Lo scambio di ruoli, sottolineato dalla probabile e divertita allusione al capolavoro di Blake Edwards (Victor Victoria, del 1982), è alla base di una serie di gag incentrate sulla fragilità di Victor e sulla determinazione delle due pretendenti all'eternità del giovane. La sposa cadavere è un film sui giuramenti e sulla loro vanità, senz'altro; ma è anche una meravigliosa favola sull'ingenuità, sulla vita che non si conosce, sulla morte da cui si fugge con ancestrale orrore.
Tim Burton gioca a contrapporre l'energia allegra e buffissima dei cadaveri alla greve ingordigia dei vivi, al loro colorito grigio, alle spente menzogne. Il candore di Victor, di Victoria, di Emily è quello di chi non si è mai compromessa con gli interessi, di chi si dona per quel che ha e per quello che è: una parola data, uno sguardo all'essenziale di ciò che si è, a quanto abbiamo di unico, di irriducibile e di eterno: la nostra umanità.
La sposa cadavere ha i ritmi del musical e contrappone questa stessa spensieratezza goliardica al severo dramma ottocentesco borghese, focalizzato sulle sue certezze provvisorie e su un moralismo intrepido e insipido. Ai puri e talvolta timorosi (ma mai timorati) protagonisti, Tim Burton assegna il rarissimo beneficio della fedeltà e della speranza.
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