Sobria, ma pur sempre una stangata memorabile, quella che il professor Monti e il suo governo stanno assestando agli italiani, che appaiono pure ormai rassegnati a subirla, almeno stando a quanto ci raccontano i sondaggisti intervistati in televisione.
Non c'è dubbio che la propaganda di questi giorni, tutta basata sull'inevitabilità dei "sacrifici", senza i quali lo Stato fallirebbe, ha ottenuto i suoi effetti, facendo accettare, almeno ufficialmente, alla maggior parte degli italiani la soluzione di dover tirare la cinghia dei pantaloni un altro po'ed accettare provvedimenti che in altri paesi europei avrebbero provocato chissà quali reazioni..
Quello che però i sondaggisti non potranno mai registrare, è il rancore di fondo che questa ennesima rapina, ai danni dei soliti noti, a ad alimentare contro uno Stato che in nessuna parte del mondo è probabilmente sentito come ostile dai suoi stessi cittadini.
"Lo Stato rischiava di non poter più pagare gli stipendi e le pensioni", ci ammonisce il premier Mario Monti e allora perché evitare di pagare proprio quegli stipendi e quelle pensioni ingiustamente percepite da tanti privilegiati, invece di accanirsi sugli assegno previdenziali di chi già oggi stenta ad arrivare alla fine del mese?
In un momento di emergenza non c'era il tempo di preparare riforme che andassero tagliare le spese inutili di uno Stato spendaccione come quello italiano, ci hanno ripetuto ieri Monti e i suoi ministri: eppure nei suoi editoriali sul Corriere della Sera, che lo aveva candidato alla presidenza del consiglio sei mesi or sono, sembrava che il professor Monti avesse le idee chiare su quali fossero gli sperperi pubblici da tagliare, ma evidentemente davanti alla madre di tutti gli sprechi, il parlamento della partitocrazia trasversale, ha preferito ripiegare sui provvedimenti più sicuri per raccogliere i 24 miliardi necessari per calmare i mercati: aumentare le accise sulla benzina, tagliare pensioni e stipendi, tassare la prima casa. Una manovra in perfetto stile italico-consociativo, che sta bene a tutti o quasi i partiti, che oggi fanno magari qualche distinguo, ma che domani voteranno compatti l'approvazione della manovra.
I mercati sono soddisfatti e lo spread dei titoli di stato scende, dicono gli ottimisti, come se non si sapesse che lo spread si muove a seconda delle decisioni di acquistare titoli o no della Bce e che le borse sono per loro natura aleatorie, salgono e scendono e non è detto per niente che il percorso sulle montagne russe siano terminate.
Per le riforma strutturali in grado di ridurre la spesa pubblica bisognerà attendere, ma il professor Monti ha assicurato che alla fine ci saranno e le risorse liberate saranno destinate agli investimenti per garantire la crescita economica del paese. Non rimane ce attendere e vedere se, almeno per una volta, si passerà dalle parole ai fatti e potremo vedere non solo il Vaticano, del quale si parla tanto in questi giorni, pagare il giusto tributo a Cesare, ma pure i sindacati, che sbraitano tanto ma dimenticano di essere anche loro esentati dal pagare l'ici sul loro ingente patrimonio immobiliare.
Nel frattempo aspettiamoci di ritrovare il prezzo della benzina al livelli record di 1,7 euro, dal momento che oggi stesso partiranno gli aumenti di 10 cent per la benzina e di 13,6 cent per il gasolio.
L'ultimo pensiero va ai Gramellini d'Italia, quelli che si lamentarono dell'idea dell'allora ministro Tremonti di istituire un contributo di solidarietà sui redditi oltre i 90mila euro all'anno: oggi tacciono, o meglio, si preoccupano di parlar male di un collega, invece di entrare nel merito della manovra. Ma loro sono liberi e indipendenti, mica devono seguire una linea editoriale fissata dall'azienda.