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La sterilità del potere

Creato il 26 luglio 2010 da Danielevecchiotti @danivecchiotti

Un forte senso di stanchezza, di affaticamento, e di irreversibile taedium vitae mi attanagliano ogni volta in cui mi trovo di fronte a qualcuno particolarmente assetato di potere, o di denaro, o di egocentrica realizzazione del sé. Si tratti di Berlusconi col suo “ghe pensi mì”, degli affaristi mafiosi della P3, di Fabrizio Corona e della sua linea di mutande o di Sylvester Stallone che, a 64 anni suonati, lanciando il suo nuovo film a base di testosterone, ci tiene a fare la voce grossa per dimostrare che è ancora giovane, forte, in formissima, e che ce l’ha ancora durissimo, io non posso esimermi dall’avvertire una forza diametralmente opposta la quale, mettendomi davanti agli occhi tutta la sterilità di quella boria, mi spingerebbe a non alzarmi più dalla poltrona, aprire un libro e non muovere un singolo dito per il resto dei miei giorni. Non riesco a condividerlo, né a sentirlo mio, questo spasmodico attaccamento alla terra, alla vita nei suoi aspetti più materiali, la continua ricerca dell’affermazione del sé in termini sociali, politici e monetari. E mi risulta impossibile non pormi delle domande su chi, in terza età avanzata, ancora si comporta come se avesse tutta la vita davanti, e non fosse anch’egli costretto, a breve termine, a ritrovarsi a faccia a faccia solo con il proprio io, e con i misteri che esso, volente o nolente, deve affrontare. Per quanto abbia spesso provato a convincermi del contrario, nel mio sentire più profondo, il potere, la forza, il successo, l’abbondanza economica sono terreni sterili, campi sui quali non nascerà mai granché, indipendentemente da tutto il mazzo che uno può farsi per ararli all’infinito, dai diserbanti chimici che può acquistare per cambiare il corso della natura, dal numero di schiavi che potrà mettere alle sue dipendenze. E resto basito anche di fronte alla reazione di quelle persone che, uscite da un forte dolore, una tragedia, una perdita, si trasformano in esseri più avidi, più assetati di sangue altrui. Insomma, credo non ci sia nulla di più patetico, al contempo ridicolo e triste, del vecchio personaggio della matrigna di Biancaneve che si riflette nello specchio bramosa di sentirsi eleggere la più bella del reame. Quanto è più interessante arrendersi, deporre le armi, tirare i remi in barca, e rimanere ad ascoltare le voci interiori che quella resa scatena.

 


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