La storia della tempra e le varie lavorazioni del ferro
Gli antichi fabbri scoprirono probabilmente per caso che il normale ferro dolce, molto malleabile e morbido, diventava molto più duro e resistente dopo essere stato a lungo riscaldato nel carbone e battuto. L’acciaio infatti non è altro che una lega di ferro dolce e carbonio.
Il ferro, portato ad alta temperatura assorbiva il carbonio presente nel focolare, andava quindi ad aumentare la sua percentuale cambiando le caratteristiche fisiche del materiale, i lunghi cicli di battitura e riscaldamento contribuivano invece ad eliminare le impurità dannose (le primissime materie prime utilizzate non erano purissime).
Le prime fonti di ferro provenivano
- delle meteoriti ferrose (trovate per caso) a cui si attribuivano anche qualità magiche poichè provenienti incomprensibilmente dal cielo scendendo in una scia infuocata
- da sabbie ferrose piuttosto impure che si usano ancora oggi per le famosissime katana giapponesi.
Gli antichi si accorsero che raffreddando velocemente questo materiale nell’acqua o nell’olio questo diventava incredibilmente duro.
Questa operazione viene denominata tempra ed è spiegata dal fatto che l’acciaio ad alta temperatura presenta una struttura cristallina diversa da quando si trova a temperatura ambiente.
L’acciaio a basse temperature e prima della tempra, presenta una struttura denominata perlite, portando il pezzo lentamente ad alta temperatura (superiore agli 800° C) e mantenendolo a questa temperatura per un certo tempo, lentamente la struttura interna si modifica fino a formarsi in tutto il pezzo una struttura cristallina denominata austenite. Questa materia, se repentinamente raffreddata, si trasforma in martensite.
La tempra quindi, non fa altro che congelare la struttura configuratasi ad alte temperature e mantenerla anche a freddo.
Per portare ad alta temperatura il pezzo, oggi vengono usate normalmente forgie a carbone o a gas, mentre nell’industria vengono usati appositi forni elettrici, bagni in piombo fuso o sali speciali, forni ad induzione etc.
La normale metodologia per capire quando il pezzo ha raggiunto la giusta temperatura per la tempra va osservato il colore assunto dal materiale.
Alle varie temperature corrisponde grosso modo un determinato colori di incandescenza dell’acciaio:
Marrone/rosso: 600 °C
Rosso sangue: 650 °C
Rosso ciliegia scuro: 700 °C
Rosso ciliegia: 760 °C
Rosso ciliegia chiaro: 810 °C
Rosso chiaro: 870 °C
Arancio: 930 °C
Arancio chiaro: 980 °C
Giallo: 1050 °C
Giallo chiaro: 1100 °C
Bianco: 1200°C
Al bianco si raggiunge la temperatura di bollitura, cioè l’acciaio si può saldare semplicemente per sovrapposizione e battitura, oltre questo stato si raggiunge il bianco scintillante dove in pratica comincia a fondere e bruciare a contatto con l’ossigeno dell’aria.
I vecchi fabbri tendevano ad usare sempre un solo o pochissimi tipi di acciaio, in questo modo vista la complessa materia, dopo anni di prove, riuscivano a temprare sempre in modo perfetto (o quasi) semplicemente a vista.
Chi pensa oggi, come un tempo, di tornare a farlo manualmente (con forgia a carbone, bacinella ed occhiometro) otterrebbe risultati poco interessanti per via del reperimento di acciai troppo moderni, che richiedono permanenze ad alta temperatura e temperature di riscaldamento troppo precise per essere mantenute con mezzi artigianali.
Se si parla di lame, secondo la mia esperienza, la tecnica di forgia rimane ancora oggi il metodo più evoluto e perfetto disponibile, purché chi effettua la lavorazione sia un vero maestro.
Se pensiamo alle Nihonto (meglio conosciute come Katane), ancora oggi prodotte da un semplicissimo acciaio ricavato da sabbia ferrosa fusa e lavorato completamente a mano con martelli e utensili vecchi di migliaia di anni.
Ancora oggi questo manufatto si può considerare (a ragione) la lama perfetta per ecellenza, indistruttibile, tagliente come un rasoio, flessibile, elastica, durissima e bella da verdere.
Anche il liquido di raffreddamento per fare la tempra ha una storia piena di leggende. Nell’antichità si usavano diverse soluzioni:
- acqua semplice
- acqua saponata
- acqua satura di sale o soda
- olio di semi
- olio d’oliva
- olio usato
- grassi animali e via dicendo
Si arrivò addirittura all’esoterismo pensando che una spada temprata nel sangue acquisisse proprietà particolari.
Gli arabi (non sbagliando più di tanto) eseguivano speciali tempre superficiali battendo le lame incandescenti su polvere di diamante, ottenendo lame durissime esternamente, ma pagavano un costo esagerato per tale pratica, non sapendo che sarebbe bastato della semplice polvere di carbone per ottenere lo stesso risultato… con molto minor costo.
In passato si attribuivano ad ogni diversa sostanza una particolare e strana proprietà, ma oggi si è visto che il liquido migliore che più si avvicina a quello ideale è esclusivamente l’olio.
In commercio si trovano oli appositi per la tempra, che vengono classificati in base alla velocità con cui sottraggono calore. In base al mezzo utilizzato per il raffreddamento si ottiene una diversa tempra, utilizzando acqua fredda si otterrà una tempra molto forte, acqua tiepida un po’ meno, con l’olio sarà più dolce, utilizzando ad esempio piombo fuso si otterrà una tempra molto dolce e così via.
Anni fa i fabbri più bravi utilizzavano metodi particolari di spegnimento nella tempra delle lame, volti sopratutto a temprare in maniera differenziata la parte più estrema del tagliente lasciando il resto più morbido ed elastico.
- In Sardegna si usava spegnere la lama su delle bucce di melone e di anguria per temprare le famose Resolzasa o Leppasa o le più moderne Arburesi e Pattadesi
- gli anziani raccontano che l’ombelico di maiale era sempre presente nelle botteghe dei fabbri e veniva utilizzato per temprare il filo delle falci utilizzate per la mietitura del grano.
Temprare si ma non troppo
L’aumento di durezza conseguente alla tempra è però proporzionale alla fragilità del pezzo per cui si usa effettuare il rinvenimento, che in pratica è un nuovo riscaldamento (questa volta a temperature molto più basse comprese di solito tra 200 e 300 gradi) e il successivo lento raffreddamento.
Il rinvenimento elimina le tensioni interne generate dalla tempra, conferisce maggiore resistenza ed elasticità all’acciaio, ma ne diminuisce leggermente la durezza, una lama rinvenuta sarà molto meno predisposta a spezzarsi rispetto ad una lama solamente temprata.
Anche per la pratica di rinvenimento, viene eseguita a temperature e con tempi diversi a seconda del tipo di acciaio impiegato, nella tecnica di forgia questa viene stimata ad occhio, osservando il colore della patina di ossido che si forma sulla superficie.
Il materiale deve essere ben pulito dalle scorie generate dalla tempra precedente e riscaldandolo lentamente, si vedranno comparire dei colori che vanno dal giallo al blu, molto meno visibili di quelle assunte dal materiale incandescente.
Questa la scala di colori o tinte di rinvenimento:
giallo chiaro : 200-220 °C
giallo : 220-230 °C
giallo cupo : 230-245 °C
giallo bruno : 245-255 °C
rosso bruno : 255-265 °C
rosso porpora : 265-275 °C
violetto : 275-285 °C
blu violaceo : 285-295 °C
blu chiaro : 295-310 °C
grigio : 310-325 °C
Al di sotto e al di sopra di queste temperature non si osserva alcuna differenza apprezzabile.
La ricottura
Lavorando a freddo l’acciaio che non ha ancora subìto il processo di tempra, si possono presentare degli effetti di indurimento localizzato, chiamato incrudimento, per questo può essere necessario normalizzare tali tensioni con un procedimento denominato ricottura:
in questo processo il pezzo viene portato ad alta temperatura (simile a quella necessaria per la tempra), viene poi lasciato raffreddare in tempi molto lunghi (per esempio sotto la cenere della forgia per molte ore), in questo modo si riforma la struttura tipica della perlite e si elimina ogni effetto della precedente tempra. I vecchi fabbri lasciavano riscaldare il pezzo dentro il focolare la sera e lo trovavano la mattina dopo, morbido e malleabile.
L’incrudimento si verifica anche a freddo (martellando o piegando il materiale) o quando viene pressato a freddo per essere laminato.
La bollitura
Un altro lavoro interessante di forgia è la cosiddetta bollitura.
Quando ancora non esistevano le saldatrici odierne, se si dovevano saldare assieme due pezzi di ferro o acciaio, questi venivano portati a temperatura molto alta, vicino alla fusione (corrispondente al color bianco), a questa temperatura i pezzi venivano avvicinati e battuti, in questo modo si effettuava l’unione intima dei due pezzi. Per questa operazione in tempi un po più moderni si usava di norma una placca di materiale saldante che veniva inserita tra i due pezzi da unire.
Abbiamo già detto che il contenuto di carbonio dell’acciaio ne influenza le sue proprietà.
Però esistono anche altri elementi, nelle moderne leghe, che ne conferiscono diverse altre caratteristiche. Il più famoso di tutti è sicuramente il nickel utilizzato negli acciai chiamati inossidabili o inox, a cui conferisce il potere di non ossidarsi se esposto all’aria o all’acqua (o comunque ne limita notevolmente il fenomeno).
Curiosità: La katana giapponese e la tempra differenziata
Sulla base di quanto detto sopra ormai tutti sappiamo che l’acciaio, con la tempra, acquista un’altissima durezza, ma contemporaneamente diventa fragile, questo è un problema che ha affitto i forgiatori di lame fin dall’alba dei tempi.
Una spada temprata in modo molto forte si sarebbe spezzata andando a infrangersi su un’altra spada o su uno scudo, se però fosse stata temprata troppo poco, si sarebbe piegata e il filo diverrebbe inutilizzabile dopo pochi colpi.
I nostri antenati risolsero il problema costruendo le loro lame con strati di acciaio a diverso tenore di carbonio, alcuni con altissimo contenuto (quindi durissimi una volta temprati), altri con tenore medio (quindi più malleabili ed elastici).
Venivano quindi sovrapposte piastrine di questi diversi materiali e venivano poi saldati in unico blocco per bollitura; il pacchetto così ottenuto veniva poi piegato e ritorto più volte su se stesso (per creare molti strati paralleli) o subiva altre lavorazioni particolari.
Si formava così una unione indissolubile di materiali lasciando intravedere sulla superficie successivamente rifinita vari disegni, e linee di diverso colore, che corrispondono ai diversi strati di materiale utilizzato.
In questo modo si ottenevano delle lame eccezionalmente dure, ma allo stesso tempo elastiche, che sopportavano anche il contatto pesante e diretto con un’altra lama, armatura o scudo.
Questo processo è il cosiddetto Damasco, nome nato perché qui da noi si diceva che provenisse dalla città di Damasco.
Di questo materiale erano costruite le famose Katane dei samurai giapponesi, le spade di Toledo e molte famosissime lame dei tempi antichi.
Oggi il damasco viene prodotto da varie aziende ma a livello industriale, in realtà ha poco a che fare con il vero damasco forgiato a mano, quello che viene ancora prodotto da sapienti artigiani, seguendo tutte le procedure dei loro vecchi predecessori.
Addirittura, gli antichi maestri giapponesi, aggiunsero molte altre sofisticate tecniche alle loro lame, come la tempra differenziata, che conferisce alle lame quelle carattestiche onde visibili distintamente sulla lama (chiamate Hamon) che danno diverse colorazioni dovute al diverso trattamento termico conferito al filo, agli strati e al dorso della spada.
Processi ottenuto isolando la parte che dovrà risultare più morbida dopo la tempra con un impasto di argilla e speciali materiali reffrattari.
Prima della tempra l’intera lama viene ricoperta di questo impasto e viene lasciato libero quasi totalmente solo il filo che quindi raggiungeva temperature più alte durante il riscaldamento e si raffreddava molto più velocemente durante lo spegnimento acquisendo quindi una tempra molto più forte.
Oltre questo aggiunsero una struttura della lama composita, il normale damasco è in pratica presente solo nella parte esterna, elastico e infrangibile e racchiunderà come una C la parte più interna, costituita da acciaio ad altissimo tenore di carbonio e quindi durissimo, questo produce un’arma da taglio allo stato più estremo dell’arte:
- filo durissimo
- estremamente tagliente
- struttura elastica e infrangibile
oltre questo ci si aggiungono diverse altre estremizzazioni come la superficie dell’hamon leggermente più ruvida mentre i bordi della spada lappate a specchio (per conferire maggiori qualità di taglio) e molte altre accortezze che fanno della katana una lama ancora oggi insuperabile.
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