La puntata del 25 febbraio, ospite in studio la professoressa Lucy Riall, era dedicata a Garibaldi. La giovane studiosa inglese, una specie di press agent dell’Eroe dei due Mondi, sapientemente imbeccata da un compiaciutissimo Minoli, presentava il Nizzardo come un vero “eroe pop”, una sorta di Che Guevara ante litteram, che si spende disinteressatamente per la causa nazionale e…miracolo, con un manipolo raccogliticcio di avventurieri, riesce a sgominare uno dei più potenti eserciti dello Stivale.
Entusiasmante il racconto della battaglia di Calatafimi, degna del mio sussidiario di 5^. Un sanguinosissimo ed impari scontro, nel quale poco più di mille e cinquecento garibaldini e “picciotti” hanno la meglio sull’esercito regolare del generale Landi, con tanto di artiglieria da campagna.
Forse, aggiungendo qualche piccolo particolare, la dinamica della battaglia appare più chiara. Allo scontro partecipò, da parte borbonica, soltanto l’VIII Battaglione Cacciatori del maggiore Sforza che, a quattro ore dall’inizio delle operazioni, insieme al resto della Brigata, abbandonò il campo per ordine del generale Landi, che aveva in tasca un assegno di 14.000 Ducati e quattro figli arruolati nell’esercito sabaudo come compenso del suo tradimento. Sul campo, a testimonianza dell’epico scontro, rimasero poco più di trenta morti, sia dall’una che dall’altra parte.
L’anno dopo, il Landi si sarebbe presentato presso il Banco di Napoli per esigere il pagamento, ma qualcuno gli fece notare che il certificato di credito era contraffatto e la somma a lui spettante non era di 14.000 ma di 14 Ducati. Gli venne un coccolone che, di lì a poco, se lo portò all’altro mondo.
Venerdì 4 marzo è di turno di Ippolito Nievo, il cassiere di Garibaldi, perito il 4 marzo del 1861 nel naufragio del bastimento Ercole, che da Palermo lo conduceva a Napoli con tutta la documentazione delle ruberie e degli sperperi della dittatura siciliana. Il povero e onesto Nievo fu molto probabilmente fatto fuori da chi non voleva che quelle ruberie e quegli sperperi divenissero di dominio pubblico. Ma la sentenza di Minoli è stata la seguente: “Non potremo mai sapere con certezza, essendosi perduta la relativa documentazione, se quelle ruberie e quegli sperperi vi furono o no”.
Ma caro Minoli, non fermarti allo Stretto, vai a Napoli, dove la documentazione c’è eccome, e ci autorizza a pensare che le carte di Nievo avrebbero provocato un ulteriore scandalo.
Con un decreto dittatoriale del 7 settembre, Garibaldi si attribuisce mano libera sui depositi pubblici del Banco delle Due Sicilie, più di 33 milioni di Ducati che vengono rapidamente collocati. Qualche esempio:
sei milioni di Ducati, come risarcimento danni a orde di postulanti che, senza fornirne prova alcuna, si dichiarano vittime della repressione borbonica (siamo a Napoli, figuriamoci);
contributo di 75.000 Ducati alla camorra, più un cavalleresco e cospicuo vitalizio a tutte le componenti della cupola camorristica femminile: Marianna de Crescenzo, Antonietta Pace, Carmela Faucitano, Costanza Leipnecher e Pasquarella Proto;
milioni di Ducati in assegni e pensioni d’oro ad amici e funzionari compiacenti e, ovviamente, continui prelievi a titolo personale e senza alcuna giustificazione. Nel giro di due mesi le casse del Banco sono esauste e poi, finito il lavoretto, se ne va a Caprera (non si dice mai che se l’è comprata), portandosi dietro, come sostiene Aldo Cazzullo, altro valido divulgatore della storia risorgimentale, nel suo “Viva l’Italia!”, un sacco di fave e uno scatolone di merluzzo secco.
A completare la triade ci si mette anche Roberto Olla, che tutti conosciamo per l’ottimo lavoro sul repertorio cinematografico relativo al Secondo Conflitto Mondiale che, in un articolo del 22 novembre scorso dal titolo “Combat-artist nel Risorgimento” ci propina un quadretto oleografico di quella pagina di storia, arrivando anche ad affermare che le uniche testimonianze iconografiche del Risorgimento siano quelle pittoriche, che immortalano le eroiche gesta garibaldesche e savoiarde.
Gli ho fatto notare che esiste un’imponente documentazione fotografica, relativa a quegli anni, che testimonia, soprattutto, le atrocità compiute dai Piemontesi nel Meridione d’Italia. Immagini stridenti se confrontate con le oleografie agiografiche di Gerolamo Induno di Giovanni Fattori e di Michele Cammarano che tanto lo entusiasmano. E’ stato molto gentile e corretto e ha pubblicato la mia risposta sul suo sito ma, guarda un po’, si è dimenticato di replicare, contrariamente al solito. http://passatopresente.blog.rai.it/2010/11/22/combat-artist-nel-risorgimento/
Federico Bernardini
Illustrazione: Giuseppe Garibaldi, fonte http://it.wikipedia.org/wiki/File:Giuseppe_Garibaldi_(1866).jpg