Non era un’isola naturale. L’erba che ci bagnava di rugiada le gambe e gli abeti rossi coperti di muschio erano cresciuti su una piattaforma artificiale. A ventiquattro chilometri da Hartley Bay lungo il Douglas Channel, questo era un antico villaggio della tribù Gitga. Anticamente, gli indigeni che vivevano qui avevano trascinato giù dalle montagne tronchi di cedro giallo, che non marcivano nell’acqua, li avevano deposti sul fondale del fiume e avevano creato la terra dove prima non esisteva. Su quest’isola avevano poi scavato dei pozzi e costruito una dozzina di case. Quando altre tribù attaccavano il loro villaggio sulla terraferma, le donne e i bambini venivano a rifugiarsi sull’isola.
Prima degli aeroplani e delle barche a vapore, la valle del Quaal era un’importante via commerciale che si collegava alla valle del fiume Ecstall attraverso un valico non molto alto. Da decenni ormai nessuno passava di lì. Lo avremmo fatto noi: ci apprestavamo a risalire a piedi il corso del Quaal e scendere lungo l’Ecstall. Ovviamente con i canotti, il sistema migliore.
…
Nel giugno 2007, Erin McKittrick e suo marito Hig lasciano Seattle per le Isole Aleutine e viaggiano lungo le coste della British Columbia e dell’Alaska attraverso alcuni dei terreni più accidentati del mondo.
La strada alla fine del mondo è la storia del loro viaggio senza precedenti, lungo la costa nord-ovest. Un viaggio di apprendimento e scoperta per capire meglio l’interazione tra comunità umane, ecosistemi e risorse naturali. Passo dopo passo, esplorando nel vero senso della parola.
Erin McKittrick, La strada alla fine del mondo, traduzione di Maddalena Togliani, Bollati Boringhieri 2014.