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“La strada” di Cormac McCarthy

Creato il 18 gennaio 2016 da Rivista Fralerighe @RivFralerighe

Su Cormac McCarthy l’uomo non c’è molto da dire, Pur trattandosi di uno dei maggiori interpreti della letteratura contemporanea americana (definito uno dei magnifici quattro, a fianco di Thomas Pynchon, Don De Lillo e Philip Roth), il nostro Cormac conduce una vita assai appartata, lontana dai salotti letterari e dalla realtà mondana dell’editoria a stelle e strisce.
Questa privacy così ben difesa, questo disinteresse per le luci della ribalta, specialmente in un contesto come quello americano, costa caro. Pochi, a parer mio, meriterebbero come McCarthy il Nobel per la letteratura. Philip Roth, forse, personaggio altrettanto scomodo e sopra le righe. I romanzi di McCarthy sono asciutti, potenti e diretti come un pugno in faccia. Con la sua prosa essenziale, con l’utilizzo particolare della punteggiatura e i suoi dialoghi fusi nel tappeto narrativo, riesce a indurre un senso di straniamento e desolazione, un vuoto carico di significati. Affezionato alle ambientazioni western, riesce a sottolineare con le parole il silenzio del deserto.
Nonostante una produzione letteraria di tutto rispetto, McCarthy viene conosciuto dalle masse grazie alle trasposizioni cinematografiche dei suoi romanzi. È il caso di “Non è un paese per vecchi”, romanzo uscito nel 2005, che ha folgorato i fratelli Coen. Detto, fatto: ne esce un film candidato a un po’ di Oscar, decisamente violento e soprattutto gravido di un messaggio: la vita fa schifo e schiaccia tutti, senza alcuna differenza. Tuttavia, in mezzo alla desolazione morale, c’è una scintilla, un minuscolo fuoco che non si spegne mai.

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Un anno dopo, nel 2006, McCarthy esce con un nuovo libro, intitolato “La Strada”. Esce dal canone western per tuffarsi in un’ambientazione post-apocalittica, fredda e coperta di cenere. Una storia essenziale: un padre e un figlio che tentano in tutti i modi di sopravvivere in mezzo a un mondo spento, privato di quasi ogni scintilla vitale. Non più alberi né animali: le uniche bestie rimaste sono gli esseri umani, intente a divorarsi (talvolta letteralmente) in un carosello di atrocità.
L’arco narrativo è ridotto all’osso e tutto gira attorno a una manciata di eventi, connessi alla ricerca di cibo e riparo dal gelo. Non è però possibile ridurre “La Strada” solo a questo: alla storia fatta di eventi si sovrappone la forza della creazione. Il padre difende l’innocenza del figlio al pari di un fuoco sacro. E proprio il tema del fuoco, della scintilla umana, la pietà che il bambino dimostra pur non avendo conosciuto altro che la desolazione e il degrado, ci narrano una storia ben più antica, dai risvolti prometeici.

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Tutto questo è cesellato dall’attenta scrittura di McCarthy, dai dialoghi essenziali, privi di punteggiatura. La sintassi stessa, composta da semplici frasi dichiarative e frequenti ripetizioni dei sintagmi concorre a dipingere la catastrofe di un mondo senza più colori. Eppure in tutto questo, la scintilla dell’umanità (“Perché noi siamo i buoni e portiamo il fuoco) , vero tema fondante del romanzo, viene portata avanti di pagina in pagina fino allo struggente finale.

Alberto Della Rossa

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La Strada ha vinto il premio Pulitzer per la letteratura nel 2007. È un romanzo che colpisce allo stomaco e capace di tenere il lettore in uno stato di ansia solo in virtù del non detto. Il mondo descritto è angosciante: si arriva a desiderare la vista di un uccellino, di un animale, fosse anche un insetto. Si arriva a odiare il grigio, ad anelare il rassicurante chiarore della fiamma di una candela, a partecipare con i protagonisti alla lotta per la sopravvivenza. E, perché no, a diventare noi stessi portatori del fuoco.



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