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La strage dimenticata di Pontelandolfo

Creato il 08 ottobre 2013 da Makinsud
La strage dimenticata di Pontelandolfo

Forse è ora che la campana di Pontelandolfo risuoni per tutti, soprattutto in questi giorni. E già, perché ancora in pochi sanno che nell’agosto di 152 anni or sono la cittadina beneventana, insieme con Casalduni, fu teatro di una delle più orrende stragi che il cosiddetto Risorgimento “non ricordi”.

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Pontelandolfo come Montefalcione, Campolattaro, Auletta e tanti altri luoghi volutamente e violentemente colpiti dalla “damnatio memorie” della retorica unitaria perché simboli della strenua resistenza che il Sud oppose veementemente alla sua conquista e al suo saccheggio, nonché delle atrocità che l’esercito piemontese perpetrò nel Mezzogiorno.
«Ieri mattina all’alba giustizia fu fatta contro Pontelandolfo e Casalduni. Essi bruciano ancora», queste le parole del colonnello vicentino Pier Eleonoro Negri, prima medaglia d’oro del corpo dei bersaglieri, che al comando delle sue truppe irruppe nella cittadina. Qualche giorno prima sulla strada per Casalduni erano stati uccisi 45 militari dell’esercito piemontese, inviati a controllare la zona dove si muovevano numerosi nuclei di resistenza.

LA VERA STORIA

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Il comando italiano a Napoli, con il luogotenente Enrico Cialdini, decise la rappresaglia al suono inquietante delle testuali parole: «Di Pontelandolfo e Casalduni non rimanga pietra su pietra». “Diritto di rappresaglia”, in una zona dove non c’era una guerra dichiarata, ma che zona di guerra lo era diventata a tutti gli effetti perché l’esercito di cui facevano parte Cialdini e Negri l’aveva invasa, messa a ferro e fuoco e depredata. Una colonna, guidata dal maggiore Carlo Melegari, si diresse a Casalduni. L’altra, quella di Negri, a Pontelandolfo. I bersaglieri (come in tanti altri episodi) ebbero libertà di stupro e di saccheggio, violentarono e uccisero sull’altare le donne che si erano rifugiate in chiesa; diedero fuoco ai paesi con la gente ancora nelle case. I due piccoli centri vennero quasi rasi al suolo, lasciando circa 3.000 persone senza abitazione, con un numero di vittime tuttora incerto, ma compreso tra le centinaia e il migliaio. Un esempio di barbarie simile a quello dei macellai nazisti Kappler, Heichmann e Reder durante la seconda guerra mondiale.
Una descrizione dei fatti raccapricciante, che per i più increduli può apparire eccessiva, ma testimoniata con dovizia dal bersagliere Carlo Margolfo, uno dei militari che parteciparono all’eccidio:

«Al mattino del giorno 14 (agosto) riceviamo l’ordine superiore di entrare a Pontelandolfo, fucilare gli abitanti, meno le donne e gli infermi (ma molte donne perirono) ed incendiarlo. Entrammo nel paese, subito abbiamo incominciato a fucilare i preti e gli uomini, quanti capitava; indi il soldato saccheggiava, ed infine ne abbiamo dato l’incendio al paese. Non si poteva stare d’intorno per il gran calore, e quale rumore facevano quei poveri diavoli cui la sorte era di morire abbrustoliti o sotto le rovine delle case. Noi invece durante l’incendio avevamo di tutto: pollastri, pane, vino e capponi, niente mancava…Casalduni fu l’obiettivo del maggiore Melegari. I pochi che erano rimasti si chiusero in casa, ed i bersaglieri corsero per vie e vicoli, sfondarono le porte. Chi usciva di casa veniva colpito con le baionette, chi scappava veniva preso a fucilate. Furono tre ore di fuoco, dalle case venivano portate fuori le cose migliori, i bersaglieri ne riempivano gli zaini, il fuoco crepitava».

A cura del dott. Ruggiero Tupputi


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