di Vito lo Monaco (La Repubblica 22 gennaio 2012 — pagina 1 sezione: PALERMO)
C’ ENTRA la politica (e la mafia si può infiltrare) nell’ esasperazione improvvisa della situazione sociale in Sicilia. Si è costituito un asse trasversale che parte da destra e arriva a lambire ambiti del centrosinistra per fermare o premere sul governo Monti. Questo asse, irresponsabile e cinico, ha pensato di sfruttare il diffuso malcontento sociale, ottenendo il bel risultato di saldare un fronte tra autotrasportatori, piccoli padroncini, agricoltori, pescatori in collegamento diretto o indiretto con già consulenti del governo regionale, uomini politici di centrodestra e (qualcuno) di centrosinistra scopertisi sicilianisti. Il motivo immediato e concreto è il caro carburante che incide sui costi di produzione e sui guadagni; dietro ci stanno altre aspettative, alcune legittime altre non lecite, dalla cancellazione dei debiti (reali) degli agricoltori, alle ombre mafiose sul trasporto su ruota, alla liberalizzazione della pesca del novellame, proibita dalla Ue per salvaguardare il ciclo biologico della riproduzione e l’ interesse stesso dei pescatori. M M ai prima d’ ora si era saldato il fronte selvaggio del trasporto con quello agricolo venato da antico ribellismo rurale e con quello della pesca, grazie al ruolo di rappresentanza forte avuto dalle organizzazioni professionali democratiche. Indebolito o venuto meno questo ruolo, sono avanzati quei capi dei piccoli padroncini, noti da tempo, spesso border line con il mondo dell’ illegalità, i “forconi”, i pescatori sostenuti da ambigui sindaci. Sino ad oggi, per fortuna, non sono accaduti fatti ancora più tragici, grazie al senso di responsabilità delle forze dell’ ordine. Tra qualche giorno, se la situazione non dovesse tornare alla normalità, con i cittadini, i piccoli e i medi industriali, gli artigiani, i commercianti, i produttori agricoli esasperati dal blocco delle merci e del carburante, nessuno può prevedere dove potrà scoppiare la scintilla che accenderà il grande incendio. È evidente che la situazione è sfuggita di mano agli occulti (poi non tanto) suggeritori della protesta selvaggia. È già aperta la porta su scenari incontrollabili. Le situazioni di crisi di solito sono l’ occasione per verificare la validità e lo spessore delle classi dirigenti o il loro fallimento. Per superare l’ attuale fase quella siciliana non può invocare nemmeno un Monti di turno. Dovrà esprimere tutte le energie positive interne. Intanto, non resta che conteggiare gli ulteriori danni per l’ economia isolana. Gli allevatori hanno dovuto buttare il latte per non averlo potuto consegnare alle centrali di confezionamento, le arance raccolte sono rimaste a marcire nei magazzini, i serricoltori di Vittoria si sono visti sbarrare il mercato alla produzione da studenti teleguidati da alcuni commissionari del mercato a loro volta in combutta con alcuni capetti paramafiosi del trasporto, le città hanno visto lunghissime code di cittadini esasperati, il già debole tessuto produttivo industriale, artigianale, commerciale è ferito gravemente. Quel consenso iniziale che sembrava accompagnare le manifestazioni iniziali contro il caro gasolio e la crisi è scemato. Hanno cominciato a dissociarsi quei “forconi” non disposti a farsi strumentalizzare da ex imprenditori falliti, né da neosicilianisti di destra, di centro e perfino di sinistra. La classe dirigente del futuro deve saper trattare con i governi nazionali e con la Ue avendo messo a posto le proprie carte cioè dopo aver dimostrato di saper spendere senza clientelismi e per fini produttivi le risorse finanziarie e dopo aver allontanato dal suo interno gli uomini compromessi con la mafia. Il sicilianismo serve a difendere le proprie debolezze e a conservare le attuali storture. *L’ autore è presidente del centro Pio La Torre