Per il bagno completo c'era una gran tinozza di lamiera zincata in cui la mamma mi immergeva e lì era necessaria anche l'aggiunta di un'altra pentolata di acqua bollente. Però anche così avevi sempre la sensazione di un gran caldo, forse un po' troppo se stavi da quella parte della stanza, mentre la camera da letto era talmente gelata che non mi ci affacciavo quasi mai, tanto io dormivo sul divano in cucina. Mamma mia che freddo in quella camera, mi dava addirittura il senso che ci arrivasse un vento gelato dalla porta socchiusa; chissà come facevano i miei a scambiarsi qualche effusione, ma allora sui letti c'erano sempre delle spesse trapunte. Comunque in quel letto ci sono nato, ma era aprile e faceva già caldo. In cucina invece la stufa pompava a pieno ritmo. Certo, io già allora ero un privilegiato, sempre così nella mia vita fortunata. Mio papà era ferroviere e tra gli altri privilegi della sua casta, c'era anche quello di avere a prezzo politico una certa quantità di carbone, che una volta all'anno, con l'aiuto di un collega portava a casa su un carretto sgangherato e metteva al sicuro in cantina, per poi portarlo a fianco della stufa ad un secchiello alla volta. Antracite, roba buona della ferrovia, mica quelle porcherie di polvere di carbone pressato che scaldavano alla meglio i nostri vicini. Me lo faceva notare con un certo orgoglio, il mio papà, mostrandomi i carboni rossi nella cavernosità della stufa nera che emanavano a lungo calore e sicurezza. Lavorare in ferrovia corrispondeva comunque ad un certo status sociale. che in quel cortile faceva premio.
Forse questi momenti, sono quelli che si raggrumano a confezionare i ricordi, che rimangono lì, come quadri. Ogni tanto ti fermi a guardarli e senti ancora lo stesso calore o quel lontano odore di buono. Quando finiva il pezzo di formaggio, allora il parmigiano non era spazzolato e si ricopriva di una patina nera, il mio papà puliva, raschiandola con un coltello da ciabattino, la crosta, dura e sottile, perché la si grattava fino al limite possibile e anche un po' di più, poi la metteva sulla piastra della stufa. Stava lì un bel po'; lui intanto la curava con attenzione spostandola qua e là perché non bruciacchiasse in un punto solo. Mentre si rammolliva e prendeva una consistenza gommosa tutta particolare, si diffondeva nell'aria un odore sapido di formaggio buono e quando me la sbocconcellavo, croccante e morbida al tempo stesso mi dava una soddisfazione che poche volte ho provato. Una sapore grasso e tenero, caldo e vellutato, un piacere antico e ricco. Una volta all'anno soltanto però, dopo il pranzo di Natale, lo potevi stemperare con quell'altro, così sottile e profumato. Le bucce del mandarino che ti mangiavi fettina dopo fettina con golosa compunzione, si accartocciavano allora lentamente, vivo rosso aranciato, sul bordo caldo della grande stufa nera di ghisa.
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