...una tipa di spalle
L’impressione, che ormai è più di un flash in una mente stanca, è quella di trovarci di fronte due strade, in poche parole un bivio. Da una parte c’è la durezza del quotidiano, fatta di violenze più o meno spicciole contro la dignità. Se uno ci riflette il terremoto è una violenza senza pari. Quando arriva e decide di travolgerti non c’è niente da fare specie se ti crolla addosso la canonica o un capannone industriale. Ma violenza è pure l’esibizione di una inesistente forza militare sui Fori Imperiali. Un po’ perché non c’è nessun impero, e poi perché non c’è nessuna guerra da combattere se non quella contro l’ignoranza. Poi, a pensarci, perché far muovere un carrarmato costa un fottio. Gli stessi soldi potrebbero essere impiegati per scopi meno esibizionistici ed autocelebrativi e rifletterci un po’ ci fa solo incazzare. Alla fine è lo stesso discorso della messa che il Papa va a dire a Milano; che senso ha spendere due milioni di euro per una messa e una benedizione? Sull’altra strada, la seconda a sinistra del bivio, viaggiano i sogni. Ne incontriamo sempre di più, di sogni e di sognatori. L’aspetto che maggiormente ci colpisce è che non hanno età, proprio come l’amore e la bramosia di vivere una vita che abbia il sapore di normale. Certo, c’è chi come Tonya (con la icsilon) sogna il “Grande Fratello” e c’è chi, come Sandra, sogna un uomo che la porti via dalla sua “vela”. L’idea di andare a vivere in un appartamento in affitto, per il quale pagare il condominio come un cittadino normale diventa il riscatto dai favori e dalla protezione di un pezzo grosso, per lei rappresenta più di un desiderio; assume le sembianze e la dimensione del sogno. Sandra ha trent’anni. È stata una puttana. Siccome è bella da far paura, da quando aveva sedici anni è al servizio di uno di quei soggetti con il petto villoso e il crocifisso da due etti d’oro che fa capolino fra la peluria. All’inizio quella vita le piaceva. Bastava schioccare due dita e i guaglioni la scorrazzavano dappertutto facendola sentire una regina. Che in qualsiasi momento del giorno e della notte dovesse essere al servizio del suo boss non le dava fastidio, le prestazioni venivano ripagate con moneta sonante e allargare le gambe non era tutto sommato una grande fatica: fuori dal suo appartamento ne vedeva di peggiori. Il primo aborto lo aveva preso come la liberazione da un fardello che le avrebbe impedito di continuare ad essere la preferita del boss. Aveva paura che qualcuna le fregasse il posto per cui, accompagnata dalla zia, era andata da un “mammano” di lusso (ci sono ancora, cazzo se ci sono, e tutti hanno una laurea in ginecologia), per rimediare all’incidente di percorso causato da una pillola dimenticata, con altre gambe divaricate. Sandra non aveva vissuto bene quell’esperienza. Aveva iniziato a porsi domande alle quali non sempre riusciva a dare risposte in grado di soddisfarne il senso profondo. I film d’amore che vedeva alla tv la stavano convincendo che un rapporto fra un uomo e una donna con si esaurisce con una scopata, anche se pagata profumatamente. E poi si era accorta che quel senso di sperdimento che vedeva in faccia agli innamorati lei non lo aveva mai vissuto né provato. Sandra allargava le gambe sempre meno volentieri e il boss se n’era accorto. Abituato alle bambole gonfiabili semoventi, notava che quella ragazza bellissima aveva sempre di più lo sguardo perso e capiva che il piacere non faceva più parte della ritualità di un coito rapidissimo e fugace. Ma forse, accanto a tante efferatezze, il “capo” provava per Sandra qualcosa di più di un semplice trasporto fisico. E a una ragazza che ti piace e dalla quale ti senti attratto fin quasi ad innamorartene, l’idea di farle del male non ti sfiora neppure lontanamente. C’è però una fregatura. Il pensiero che qualcun altro possa possederne non solo il corpo ma anche l’anima, diventa insopportabile. Sandra è cosa tua, l’hai cresciuta a D&G e Prada, ti è costata un appartamento e una mezza fortuna in accompagnatori armati. Su di lei hai investito come su un carico di “bianca” dalla Colombia e perdere l’investimento è intollerabile. La soluzione c’è: la prigionia, dorata, anzi, diamantata, ma sempre di prigionia si tratta. Sandra si sente impazzire. Non parla più con nessuno perché nessuno l’avvicina. Neppure la zia ha libero accesso alle sue stanze e lei si lascia andare. Ingrassa, non si trucca più, abbandona il sorriso e le note delle canzoni che le piaceva cantare al suo capo quando ancora la degnava di un amplesso di corsa. Sandra comincia a sognare l’amore. Ne avverte i primi segnali quando dalla finestra vede un ragazzo che gira sempre in motorino con una grande cartella sottobraccio. Evidentemente anche lui si è accorto di lei. Gli sguardi diventano sempre più frequenti come frequenti sono i passaggi del motorino sotto quelle finestre al secondo piano. Se potesse parlargli Sandra gli chiederebbe di portarla via, di fuggire insieme o almeno, di darle un bacio per sapere cosa si prova a baciare una persona per amore e non per un paio di jeans firmati. Ma non può. Lei è una reclusa, di lusso, ma una reclusa. Quando un giorno il ragazzo con il motorino scompare lei si sente persa. Infila quattro cose in una borsa e scappa. Ma dove può scappare Sandra, l’ex amante del boss? Da un altro boss più potente del primo. E oggi sogna di poter pagare il condominio del suo appartamento senza che qualcuno provveda a farlo per lei. Nella storia di Sandra non c’è traccia di violenze fisiche. Lei non è Tonya (con la icsilon). Sandra vuole un po’ d’amore e la possibilità di sognare senza essere interrotta. Quando racconta la sua storia “anonima” non piange, non si dispera, non impreca. E quando la salutiamo dicendole “buon amore”, regala un sorriso che ci prende parecchio. L’importante è sognare. L’importante è emozionarsi perché senza sogni e senza emozioni si finisce per essere un campione di ragioneria: arido come i numeri.