Molte volte, nel confronto tra i movimenti veramente Democratici ed i Poteri Assoluti, i migliori uomini dichiarano che la soluzione dei problemi veri ai quali un Paese deve fare fronte, inizia là dove si semina: nella scuola!
Queste persone investono tutta la loro vita, la loro cultura, in questa affermazione, e spesso, oserei dire sempre!, costoro sono sconfitti da una massa di ottusi che ragionano con la pancia, tenuti nel buio più assoluto proprio dai loro tiranni. La mancanza di cultura fa ragionare coi sommovimenti delle pance vuote. A costoro basta offrire un avanzo qualsiasi, col quale possa calmare i borbottii ventrali, ed ecco che in cambio sono disposti a cedere qualsiasi altro aspetto, della loro misera vita. Badate bene che non parlo di povertà economica ma, sopratutto di povertà mentale, che é la manifestazione più immediata della mancanza della conoscenza, della cultura. I poveri, da i quali io provengo, non hanno meno dignità anzi…, dei ceti medi e degli industriali, dei grandi latifondisti o degli arricchiti mestieranti, osannati dalla “cultura” moderna e strapagati per attività che di culturale non hanno la benché minima traccia: parlo di calciatori, procacciatori e mediatori di qualsiasi tipo di affari e altri mestieranti di questo tipo.
Così succede che, mentre alcune persone comprendono, ad un certo punto della vita, che non gli può bastare avere il cibo tutti i giorni, che quello di cui necessitano davvero di nutrirsi è cibo mentale che gli apra gli spazi infiniti e vivi del sapere, le emozioni esaltanti della conoscenza e della cultura. Per iniziare a camminare su questo sentiero sono disposti a cedere l’apparenza, l’esibizione di quel benessere rassicurante che dà un frigo strapieno di ogni cosa che, appena oltrepassato l’esofago, diventa la parola più rivoltante dello scibile in qualsiasi lingua del mondo. Le case delle persone, che iniziano un percorso di conoscenza, cominciano ad avere un frigo meno grande e recuperano spazi di arredamento ai grandi armadi per cederle a degli strani oggetti, raccoglitori espertissimi di polvere ed altamente infiammabili: i libri.
Per coloro che ragionano con la pancia, nulla è più inutile di quel pacchetto di fogli cuciti tra due cartoncini. Sono pesi ingombranti nei traslochi, mucchi di carta inutile che diventano esibizionismo al pari e più del vestito firmato e dell’auto buona. I padroni stessi di queste proprietà inutili, vengono visti come portatori di una aria trita, sofferente e patita fisicamente, al punto da sembrare malati.
Perennemente con il naso in uno di questi libri, coloro che leggono vengono ritenuti dagli uomini di pancia, degli esseri strani, un pò fuori di senno e mancanti di praticità: alla fine i conti si fanno con quello che hai da mettere a tavola! Il resto sono cazzate, filosofia, e la filosofia, si sa, non dà da mangiare a nessuno. Lo ha detto il ministro dell’economia Tremonti, (il quale ha tagliato i fondi alla cultura per darli ai produttori di latte del nord)! Questa convinzione, che leggere in fin dei conti faccia un pò male, é molto più radicata nelle convinzioni degli uomini che si ritrovano una moglie amante dei libri. “Tu passi troppo tempo a leggere quelle cretinate! Vi mettete a sognare di Principi azzurri e amori romantici e poi restate deluse del marito muratore che trovate: é troppo rozzo. Ma é quello che vi mantiene e vi dà da vivere!” Ecco, questo credo che sia il fronte compatto dei ragionatori di pancia. Badate bene che non parlo per categorie o sessi. Esemplari di siffatta statura sono traversalmente presenti in ogni ceto e sesso, ad ogni latitudine del mondo. Siamo tutti a conoscenza da sempre, di giovani donne che si prostituiscono per potersi permettere stili di vita, abiti e gioielli che non potrebbero ottenere con un onesto lavoro. Non abbiamo mai sentito di un affamato di cultura che ruba un libro ai grandi magazzini, piuttosto un profumo, un qualsiasi altro oggetto, ma mai un libro. Così noi, zittiti i rumori di fondo dei nostri stomaci, ormai stanchi di essere il passaggio di trasformazione dei nostri guadagni in quella parola rivoltosa, ci siamo messi su quel percorso della conoscenza, cercando di tenerci per mano per farci coraggio e sostenerci con la nostra pochezza.
Per affrontare questa nuova strada, le nostre risorse individuali, si sono mostrate sin dall’inizio, inadeguate. Come si intraprende un percorso di conoscenza? Un sentiero così scuro e misterioso come quello culturale? Da dove si parte? In che direzione si può andare? Ci si può perdere? Ecco! No! di questo eravamo certi: Non ci si perdere a conoscere di più.Tutt’altro! La conoscenza è come l’amore:sommandola si moltiplica. Ed allora, prima di partire abbiamo fatto un inventario di ciò che avevamo, quali strumenti ci avrebbero potuto aiutare in questo viaggio misterioso. Abbiamo fatto la conta per vedere chi eravamo, da dove eravamo partiti, chi ci avrebbe guidato e chi protetto? Ed abbiamo scoperto che una cosa ci legava: eravamo nati tutti in un unico luogo; questo ci legava, ci dava un punto di partenza, eravamo nati a San Paolo di Civitate, eravamo tutti Sanpaolesi e, poi, abbiamo scoperto che avevamo perfino un santo protettore comune a tutti: Sant’Antonio da Padova. Questo era il nostro collante, insieme abbiamo cercato altro, ma i nostri ricordi, le nostre stesse conoscenze di quel nostro luogo comune differivano l’uno dall’altro, erano incompleti. Necessitavano di essere ricomposti, confrontati, rielaborati e resi comuni, poi si sarebbe potuto partire e sperimentare discorsi ed esperienze diverse. Per questo motivo abbaiamo costituito la nostra Associazione Culturale, per poterci conoscere, avere un’idea più completa della nostra storia, della nostra cultura. Poichè noi non avevamo avuto, fino ad allora, molte cose da scambiare con chi abbiamo incontrato, eravamo in uno stato di povertà culturale tale da essere costretti solo ad assorbire quello che trovavamo lungo la strada, senza poterlo confrontare e misurare con quello che potevamo scambiare in un rapporto di pari dignità e rispetto. Come se essere SanPaolese fosse riduttivo, vissuto con un senso di vergogna e colpa. Svendibile per un’altra qualsiasi identità non nostra, senza contropartita. Noi ci siamo incontrati e scoperti più ricchi, in grado di poter offrire anche noi ai nostri interlocutori, una cultura da far conoscere, da scambiare. Poichè questa è la strada che questa Nazione deve avere il coraggio di intraprendere: La somma delle culture. Non già la sopraffazione di quella col frigo più grosso e fornito, a discapito di quelle ritenute minori o deboli. Questo abbiamo proposto con le nostre iniziative culturali: venite a vedere cosa siamo, incontriamoci, conosciamoci; ora sappiamo chi siamo ed abbiamo, anche noi, qualcosa da dire. Non a tutti questo é piaciuto. Qualcuno non ha avuto neppure il coraggio di venire a vedere, di dircelo. Ha preferito il modo più ottuso per poterci comunicare la sua paura: ha scritto un biglietto sporco di quello che il suo cervello di pancia é riuscito a partorire: offese gratuite ed immeritate, tali al punto che un manifesto simile fa arretrare, quello che lui chiama il SUO paese, nel medio evo più buio. Mi rimprovera di “…non VOLER diventare piemontese…ma di VOLER restare pugliese a tutti i costi…” come se si aspettasse che il lavaggio del cervello (dopo tanti anni) avesse avuto sul mio cervello, attraverso il saziamento della pancia, un effetto ablativo, di cancellazione di ciò che era impresso nel mio cervello e sostituito con un blanda accettazione, di essere diventato una pavida copia simil-piemontese(di serie B,chiaramente) e sempre sotto controllo di un qualche invisibile super visore, mio angelo custode che mi dà il voto e che dal mio profitto in questa trasmutazione, dipende il suo stipendio. Ecco perché ha reagito con tanta ottusa cattiveria alla mia affermazione identitaria. Ha partorito il massimo che poteva quando uno parla e ragiona con la pancia: ha defecato! Io sono piemontese, amo e difendo questa mia parte di identità acquisita, ma come può chiedermi di non essere uguale a lui uno che fino a stamattina, non ha fatto altro che ricordarmi che io ero altro: un NAPOLI; un AFRICANO; un TERRONE. Tutto, tranne che uno di loro: piemontese ed italiano. Io ho scoperto che è vero: io sono un italiano-Pugliese trasferito in Piemonte. Immigrato è un termine che lui usa con disprezzo. questa parola è la cartina tornasole del razzismo il lui compreso e immutabile.
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