Anna Lombroso per il Simplicissimus
Tragica fatalità. Crisi, terremoti, inondazioni, tutto in questo nostro Paese assume i contorni della sorprendente e ineluttabile catastrofe naturale: la crisi che oggi coglie, inattesa, Passera che da quando se n’è accorto non ci dorme la notte, capannoni crollati perché costruiti in zone che imprevedibilmente si rivelano essere a alta sismicità, come se le condizioni di sicurezza non dovessero essere sempre, ovunque e comunque garantite.
Anche questo governo ormai sembra essere una parabola della tragica fatalità, che dobbiamo subire come il terremoto, direbbe il presidente del Cnr, come forma di penitenza per una vita dissipata, scontando le nostre colpe di consumatori ma anche di cittadini che vorrebbero garanzie, diritti, remunerazioni adeguate, servizi e il mantenimento di conquiste non tutte ereditate, e che espiamo tramite oltraggi alla costituzione, la fine della democrazia già molto ferita, il perpetuarsi di immondi conflitti di interesse e la prevalenza dell’interesse privato su quello generale.
E insieme a un corredo di sberleffi, di insulti – anche al buonsenso – oltre che di palesi dimostrazioni di incompetenza e approssimazione, di sussiegosa idiozia, di disinvolta e offensiva leggerezza. Per un Clini, redento rispetto al suo sciagurato inizio, che spiega che esiste una priorità da attribuire alla sicurezza del territorio, dei cittadini e dello sviluppo, perchè diventi davvero “sostenibile”, pena una apocalisse fisica, morfologica e economica, ci sono ministri che acrobaticamente si dedicano all’esercizio nazionale più diffuso e di successo, lo scaricabarile, addossando responsabilità e rovesciando obblighi su altri, ministri invisibili come Ornaghi, che il patrimonio di arte, memorie, architettura e insieme a esso l’identità, il riconoscersi degli abitanti in un paesaggio e in un territorio devono essere crollati a sua insaputa. O ministri lunari, come la Cancellieri, che dopo Brindisi, altra inspiegabile catastrofe momentaneamente oscurata, dopo aver promesso o minacciato la presenza dell’esercito sugli obiettivi sensibili di Equitalia, e insieme a Terzi che muove i suoi contingenti e spende le sue risorse per “occupare” il Kerala allo scopo di “riscattare” nei modi più opinabili due militari mandati a fare i vigilantes a navi private che trasportavano merci private, i soldati preferiscono mandarli alla sfilata, che forse l’Emilia non è poi così sensibile. O sempre lei, stavolta stralunata, che, in presenza dello scandalo del calcio, esemplare della degenerazione morale dello sport e della competizione, non trova altro da dire ai giocatori, in partenza verso una meritata e edificante sconfitta, che: “andate e fate bene”.
Restano voci isolate e inascoltate quelle che chiamano alla ragione, ripetendo che l’unico modo per far uscire il paese dalla crisi economica in cui lo ha cacciato il liberismo senza regole e senza limiti, è quello di avviare un gigantesco processo di piccole opere che recuperino e mettano in sicurezza città e territori.
Pochi giorni fa, invece, è partito (l’ennesimo) a dispetto dell’ansia di Passera il piano per le grandi opere per un importo di 100 miliardi. Dietro ognuna di queste opere ci sono le stesse rapaci imprese che dettano ai loro giornali di proprietà i titoli strillati su un paese fermo a causa della burocrazia. Tra le opere finanziate, manco a dirlo, ci sono opere inutili come l’autostrada Roma-Latina, la nona tranche di finanziamento al Mose di Venezia che intanto sembra fermo e licenzia i dipendenti con una certa predilezione per quelli più attenti alla trasparenza.
L’empio disordine del territorio non è stato causato dall’eccesso di regole: nasce e è alimentato invece proprio dalla cancellazione delle regole e dalla cultura dello sviluppo senza limiti e delle grandi opere. Due anni fa il Centro studi dei geologi e il Cresme avevano stimato in sette milioni gli edifici a rischio. Da allora non è stato fatto nulla e il governo continua ad annunciare il «piano città», l’ideale prosecuzione nel segno della continuità, dell’edilizia creativa di Berlusconi, quella delle smart city, che di intelligente e moderno hanno solo i furbi profitti del malaffare che ci gira intorno e ci naviga dentro, a Milano 1,2, 3 come all’Aquila e domani forse a Mirandola, la cittadina modenese, che diede in natali al celebre filosofo Pico, cento anni prima del più grande terremoto (nel 1.570) che si ricordi da queste parti, là dove i danni stimati per 150 aziende dalle prime scosse superano i 600.000 euro, mentre 4.000 persone sono state messe in cassa integrazione, mentre le ultime ferite sono troppo fresche per essere calcolate. Tragica fatalità anche questa, secondo il presidente di Confidustria,Giorgio Squinzi, secondo il quale quei capannoni “mica sono di carta velina. Anzi. Quelli nel settore della ceramica erano signori capannoni, costruiti con tutti i crismi”. Eh si, “quindi, ha detto in visita pastorale anche lui, mi sembra che i crolli siano da attribuire alla fatalità”.
Dal terremoto di San Giuliano di Puglia nel 2002, in cui crollò una scuola elementare, la legislazione si è evoluta divenendo estremamente rigida e più severa dal punto di vista antisismico per chi vuole costruire nuovi edifici. Insomma le legge c’è, le leggi ci sono quasi sempre ormai come quelle sulla protezione dei lavoratori nelle fabbriche o nei cantieri. E anche quelle per la tutela dei ragazzini a scuola. E dei cittadini per strada. Eppure dal decreto ministeriale del gennaio 2008, che stabilisce che le strutture che ospitano attività industriali e artigianali siano costruite in tutta Italia, e non solo nelle aree considerate a rischio terremoto, rispettando precise norme antisismiche, le leggi sono evidentemente eluse come le tasse. Crollano le strutture precedenti al 2008 perché sono tirate su secondo valutazioni sismiche differenti e spesso non vengono ristrutturate, sempre per ragioni di costo, ma rovinano sugli operai anche gli edifici più recenti, post 2008, come simboli vergognosi di un mondo di impresa che risparmia sui lavoratori e sugli investimenti, della latitanza dei controlli e della vigilanza, di un sistema creditizio che aiuta solo chi preferisce impegnare risorse nel gioco d’azzardo della finanza che nella crescita.
Il monumento antifascista che commemora a futura memoria la strage alla stazione di Bologna è un orologio volutamente fermo su quella maledetta ora. Le torri campanarie ferme sull’ora dell’apocalisse è probabile che restino là, abbandonate, a ricordare la rabbiosa rappresaglia del territorio e della civiltà contro la nostra incuria.