Come si potrà capire dalla testata qui sopra, ho finito di leggere La trama del matrimonio di Eugenides e come si potrà comprendere dal fatto che l'ho scelto per farne l'immagine del blog, mi è piaciuto parecchio. Mentre lo leggevo, per molti e lunghi tratti, non sapevo bene cosa pensarne, lo trovavo fin troppo controllato e preciso, oggettivo e distante (perché mai, mi chiedevo, dovrebbe essere interessante una storia che si fonda sul contrasto tra strutturalismo e critica letteraria tradizionale, Umberto Eco contro Jane Austen, Derrida contro George Eliot?). Poi, poco per volta, con un tecnica che si insinua in modo controllato, con piccole, perfette digressioni e mescolamenti temporali che danzano scambiandosi continuamente di posizione, tra presente, passato e ritorno, in lunghi capitoli scritti d'un fiato, con pochi paragrafi e pacate riflessioni sulle reazioni emotive dei protagonisti agli eventi delle loro vite, il romanzo mette in chiaro il suo obiettivo, presentando in chiave strutturalista i frammenti di un discorso amoroso di derivazione vittoriana (la chiave di tutto è Roland Barthes e la soggettiva verità del suo oggettivo ragionamento sull'amore), con la trama del matrimonio che diventa insieme modernista e classica, naturalmente coinvolgendo tre personaggi, la protagonsita femminile e i due rivali, oltre ai dubbi, le passioni, i tentennamenti, le paure che un impegno sentimentale coinvolge. Come scrivevo qualche settimana fa, il romanzo è molto simile a La vedova incinta di Amis: ma quello che per Amis era un lavoro di riscoperta della letteratura inglese dell'Ottocento, trasformata in materia viva e pulsante anche al di là delle sue effettive presenze, un patrimonio così comune di storie e personaggi e trame da diventare altro da sé, rimontaggio libero di esperienze universali, per Eugenides diventa un lavoro di costruzione della trama romanzesca, oltre l'evoluzione del gusto letterario nel XX secolo e alla ricerca degli elementi che rendono le storie immortali, trovando finalmente un senso alla letteratura americana d'ambientatazione universitaria, sempre popolata da giovani intellettuali speranzosi, mediamenti ricchi e un po' antipatici. La letteratura serve per costruirsi un'immagine di felicità, ché quella, la felicità intendo, nessuno la trova, specie se prova a farla coincidere con i sogni del lettore, con le riflessioni del filosofo o con le ricerche dello scienziato, ovvero con il lavorio mentale inutile ma inevitabile dei tre personaggi del romanzo. Come in fondo scrive Eugenides: "Non c'è felicità nell'amore, tranne che alla fine di un romanzo inglese".
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Come si potrà capire dalla testata qui sopra, ho finito di leggere La trama del matrimonio di Eugenides e come si potrà comprendere dal fatto che l'ho scelto per farne l'immagine del blog, mi è piaciuto parecchio. Mentre lo leggevo, per molti e lunghi tratti, non sapevo bene cosa pensarne, lo trovavo fin troppo controllato e preciso, oggettivo e distante (perché mai, mi chiedevo, dovrebbe essere interessante una storia che si fonda sul contrasto tra strutturalismo e critica letteraria tradizionale, Umberto Eco contro Jane Austen, Derrida contro George Eliot?). Poi, poco per volta, con un tecnica che si insinua in modo controllato, con piccole, perfette digressioni e mescolamenti temporali che danzano scambiandosi continuamente di posizione, tra presente, passato e ritorno, in lunghi capitoli scritti d'un fiato, con pochi paragrafi e pacate riflessioni sulle reazioni emotive dei protagonisti agli eventi delle loro vite, il romanzo mette in chiaro il suo obiettivo, presentando in chiave strutturalista i frammenti di un discorso amoroso di derivazione vittoriana (la chiave di tutto è Roland Barthes e la soggettiva verità del suo oggettivo ragionamento sull'amore), con la trama del matrimonio che diventa insieme modernista e classica, naturalmente coinvolgendo tre personaggi, la protagonsita femminile e i due rivali, oltre ai dubbi, le passioni, i tentennamenti, le paure che un impegno sentimentale coinvolge. Come scrivevo qualche settimana fa, il romanzo è molto simile a La vedova incinta di Amis: ma quello che per Amis era un lavoro di riscoperta della letteratura inglese dell'Ottocento, trasformata in materia viva e pulsante anche al di là delle sue effettive presenze, un patrimonio così comune di storie e personaggi e trame da diventare altro da sé, rimontaggio libero di esperienze universali, per Eugenides diventa un lavoro di costruzione della trama romanzesca, oltre l'evoluzione del gusto letterario nel XX secolo e alla ricerca degli elementi che rendono le storie immortali, trovando finalmente un senso alla letteratura americana d'ambientatazione universitaria, sempre popolata da giovani intellettuali speranzosi, mediamenti ricchi e un po' antipatici. La letteratura serve per costruirsi un'immagine di felicità, ché quella, la felicità intendo, nessuno la trova, specie se prova a farla coincidere con i sogni del lettore, con le riflessioni del filosofo o con le ricerche dello scienziato, ovvero con il lavorio mentale inutile ma inevitabile dei tre personaggi del romanzo. Come in fondo scrive Eugenides: "Non c'è felicità nell'amore, tranne che alla fine di un romanzo inglese".
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