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La Trilogia degli Occhiali di Emma Dante al Teatro Camploy

Creato il 15 febbraio 2013 da Dismappa

Posted on feb 15, 2013

Trilogia degli occhiali - dalla foto di Carmine Maringola

Teatro Camploy, 15 febbraio ore 20,45

Per la Rassegna L’altro teatro

Compagnia Sud Costa Occidentale

Trilogia degli Occhiali (Acquasanta - Il castello della Zisa - Ballarini)

testi e regia Emma Dante
In scena un’attesissima trilogia di Emma Dante: Acquasanta, Il castello della Zisa e Ballarini, tre opere riunite sotto il titolo Trilogia degli occhiali.

Un mozzo che non è più sceso dalla nave e non “crede” alla terraferma, un uomo che vive in un istituto dove è assistito da due donne e ha gli occhi aperti ma non vede, due anziani che festeggiano il nuovo anno ballando a ritroso la loro storia d’amore: queste le tre storie proposte accomunate dagli occhiali.

Dopo avere presentato al Camploy, nel marzo 2008, lo spettacolo Il festino con Gaetano Bruno, la compagnia di Emma Dante nata a Palermo nel 1999, porta questa volta in scena una trilogia che riunisce tre grandi successi. Tre pièce all’insegna di un teatro sociale che utilizza un dialetto siciliano che per ragioni sceniche sfocia in una sorta di grammelot e impiega attori usciti dall’Accademia ma capaci di lasciarsi andare completamente fino a perdere – secondo i dettami della Dante – qualsiasi “senso di vergogna” e qualsiasi “tipologia di auto-giudizio”.

Compagnia Sud Costa Occidentale – Emma Dante (Italia)

Ogni volta che Emma Dante propone spettacoli la gioia di recarsi a teatro diventa esigenza.
La trilogia degli occhiali è composta di tre spettacoli autonomi ma indissolubilmente legati da temi di marginalità. “Creature che usano gli occhiali per difendersi dal mondo e per guardarlo come meglio credono. Ognuno di loro, infatti, incarna un aspetto di quel mondo che rifiuta e non vuole vedere”, afferma Emma Dante.

La Trilogia degli Occhiali di Emma Dante al Teatro Camploy


Acquasanta (capitolo I)
 - Un uomo si ancora sul palcoscenico, a prua di una nave immaginaria. ‘o Spicchiato si salva dalla finta burrasca che mette in scena per rievocare i ricordi della sua vita di mozzo. È imbarcato dall’età di 15 anni e da allora non scende dalla nave. Non crede alla terraferma, per lui è un’illusione. Un giorno la nave salpa senza di lui, lasciandolo solo e povero sul molo di un paese straniero: la terraferma. Proprio lui che senza la nave si sente perso. Le voci della ciurma, del capitano, gli rimbombano nella testa e ‘o Spicchiato, cantastorie, tira i fili dei suoi pupi. Ma nell’attesa del ritorno della nave, il mozzo, a prua, diventa di legno come polena di un vecchio galeone.
Il castello della Zisa (capitolo II) - Nicola ha gli occhi aperti ma non vede. Vive in un istituto assistito da due donne. Tra una preghiera e l’altra lo puliscono, lo sfamano, lo rimproverano e lo stimolano con alcuni giocattoli. In uno stato catatonico, Nicola sta seduto su una piccola sedia da quando bambino fu strappato alla zia nel quartiere popolare della Zisa dove viveva davanti a un favoloso castello… In quel castello è rinchiusa la sua infanzia, la sua spensieratezza. Ma un giorno Nicola, guardiano del castello (nella sua immaginazione) con la maschera di drago e i guanti di artigli, viene spodestato. Allora s’incanta, per sempre. Siamo noi che gli vediamo alzare gli occhi al cielo, emettere un urlo, che lo sentiamo parlare. Dura il tempo di un fiammifero questo nostro risveglio.
Ballarini (capitolo III) - In una stanza una vecchia donna è china su un baule aperto. Si alza con in mano una spina elettrica e una presa; non appena le collega, sopra la sua testa si accende il firmamento. Da un altro baule appare un uomo vecchio che la guarda e le sorride amoroso. Lui si avvicina a lei. Lei lo aiuta a indossare la giacca di un abito da cerimonia che prende dal baule. Ballano. Si baciano. Lui si sbottona la giacca e poi la patta dei pantaloni. La stringe a sé. Ha un orgasmo. Lei si soffia il naso e si gratta la coscia. Lui estrae dalla giacca un orologio da taschino: meno 5… meno 4… meno 3… meno 2… meno 1… al rintocco della mezzanotte lui fa scoppiare un piccolo petardo. Si baciano. Lui infila la mano in tasca ed estrae una manciata di coriandoli: “tanti auguri, amore mio.” Lui da un baule tira fuori una bottiglia di spumante. Lei dall’altro baule estrae un velo da sposa e se lo appoggia sulla testa, poi fa suonare un vecchio carillon. Si tolgono la maschera da vecchi, inforcano gli occhiali e riprendono a ballare. Sulle note di vecchie canzoni lui e lei festeggiano l’arrivo di un nuovo anno ballando a ritroso la loro storia d’amore.

www.emmadante.it
Il video del capitolo I

Video del capitolo III

Video del backstage

Intervista a Emma Dante

La Trilogia degli Occhiali di Emma Dante al Teatro Camploy

La compagnia Sud Costa Occidentale è stata fondata da
Emma Dante a Palermo, nell’agosto del 1999.

Dopo anni di forzata latitanza a causa di una ben consolidata indifferenza e ignoranza da parte delle istituzioni e dei teatri locali, nell’aprile del 2008, la compagnia Sud Costa Occidentale, con le proprie sole risorse, ha messo radici a Palermo in uno scantinato di via Polito, dietro gli ex cantieri culturali della Zisa, “la Vicaria”.
Oltre a studiare il teatro attraverso un laboratorio permanente, alla Vicaria si sono sviluppati importanti dibattiti, rassegne, performance, incontri e manifestazioni che hanno liberato quel luogo dal vessillo ufficiale del teatro di rappresentanza. Non a caso gli associati che partecipano alle attività sono soprattutto cittadini comuni (e dunque pubblico vero) piuttosto che addetti ai lavori.

La compagnia Sud Costa Occidentale non è finanziata e vive dei soli ricavi della vendita degli spettacoli che produce. È composta da attori di esperienze diverse che si confrontano su piattaforme progettuali in cui un singolo spettacolo non è mai fermo, non finisce mai né mai ricomincia, ma si allarga e si restringe a seconda dei casi.
Il nostro modo di far teatro non trattiene prigionieri ed è sempre aperto a quei contagi diretti che danno un senso di libertà intellettuale. Persone diverse con diverse peculiarità e talenti si sono avvicinate al nostro metodo e hanno condiviso per periodi passeggeri la faticosa e rigorosa esplorazione del nostro teatro, permettendo al cuore pulsante del gruppo di essere oggi ancora più forte e compatto.

Il punto di partenza della nostra ricerca nasce, essenzialmente, dal peccato e dal peggio di sé che l’attore deve offrire come atto d’amore. Ciò che ha da dire è chiamato a dirlo interamente, senza vergogna, per superare quel senso del ridicolo che ostacola l’incontro creativo.  E soprattutto è invitato a dimenticare l’Io, quel Io predominante e volgare che allontana il vero obbiettivo dell’arte: la necessità di una riflessione profonda sulla contemporaneità. Noi cerchiamo di rendere proficuo il nostro disagio palermitano e lavoriamo senza interruzione, dalla mattina alla sera, alla Vicaria, con la convinzione che ciò che fa spettacolo e dà nell’occhio non è la cosa principale. Non ci interessa il risultato, lo “spettacolo” è solo il punto di arrivo di una reinterpretazione paradossale della realtà che diventa linguaggio, dove il segno non è il messaggio, la mappa non è il territorio. Uno spettacolo è un “teorema della menzogna” dove un segno è usato per mentire, per giocare, è un’espressione del paradosso del bugiardo: “Ciò che sto facendo non è ciò che sto facendo”. L’essenziale per noi è scoprire le nervature, applicare il nostro talento in un processo artistico e allenarci tutti i giorni per mettere a disposizione di questa storia la nostra esperienza di vita. Vogliamo entrare consapevolmente in un processo di autorialità per generare le parole prima di pronunciarle.

Non amo gli attori che sanno recitare né gli artisti che si identificano con la loro idea di fare arte. Gioco col teatro come se mi giocassi la vita! Il valore più grande che ha per me un gesto artistico è l’offerta della propria miseria e della propria dignità. “L’unica cosa che conta è offrirsi umilmente come campo di battaglia” scriveva Etty Hillesum.

I fantasmi che evochiamo abitano dalle parti di Ballarò, al Capo, alla Cala o a Piazza Sant’Oliva o alla Magione…

È importante, necessario per noi vivergli accanto, sentirli, osservarli… Per questo motivo non ce ne possiamo andare. Rimaniamo qui, dentro Palermo, città che non ci vuole. Tutti i giorni ci chiudiamo alla Vicaria per allenarci, per studiare.

 Emma Dante

 


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