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La trilogia "Gli Anni Spezzati" dal 7 gennaio su Rai 1 racconta l'Italia ferita dai terroristi negli Anni Settanta (Corriere della Sera)
Creato il 04 gennaio 2014 da Nicoladki @NicolaRaiano«Rammento l’atmosfera grave che si respirava in famiglia — continua Solfrizzi — e solo in seguito, quando frequentando il liceo un professore di storia ci fece affrontare questi temi in classe, ho cominciato a capire». Il commissario Calabresi fu indicato da esponenti di Lotta Continua come il responsabile della morte dell’anarchico Pinelli e nel 1972 venne ucciso sotto casa: «Anche io da ragazzo, con estrema superficialità, ero entrato nella logica assurda della “colpevolezza” di Calabresi — ammette Solfrizzi — perché era l’epoca delle barricate, bisognava stare da una parte o dall’altra. Me ne vergogno. Nel film-tv ci siamo attenuti alla sentenza del giudice D’Ambrosio del ‘75, che fece piazza pulita delle leggende che accusavano il commissario». Per interpretarne il ruolo, però, non ha potuto parlare con la vedova, Gemma Capra, né con il figlio Mario Calabresi: «La famiglia non ha aderito al progetto».
Alessandro Preziosi, invece, ha conosciuto Mario Sossi: «Un uomo provato fisicamente, ma lucido e disponibile. Ho potuto apprendere dalle sue parole il ricordo di quella terribile avventura, da cui emerge tuttora la fermezza con cui non ha mai voluto ammettere delle colpe che gli venivano attribuite dai brigatisti e che non aveva commesso. Mi ha raccontato in che modo ha vissuto la prigionia in una cella di un metro e mezzo per un metro: a stento riusciva a stendersi sulla branda e per lui, che soffriva di claustrofobia, era una tortura. Così, cercava di darsi forza ripensando ai suoi trascorsi da ufficiale degli alpini, si aggrappava al ricordo dell’aria aperta e libera in montagna. Ma quel che gli costava di più era di non poter parlare mai con nessuno: i suoi carcerieri erano avari di parole. Quando è stato liberato si è chiuso in una stanza a piangere».
Quella dell’ingegner Venuti è ancora un’altra storia, che si rifà a tante storie di quegli anni: «Non è un personaggio vero ma veritiero — avverte Alessio Boni — e chiude la trilogia come anello di congiunzione con l’Italia di oggi: la vicenda dell’ingegnere della Fiat di allora, che subisce la violenza degli anni di piombo in fabbrica, tra estremismi di sinistra e di destra, prelude a quel che accadrà in futuro. Il futuro, ahimè, siamo noi e non è un granché». Boni, all’epoca dei fatti narrati, era un ragazzino: «Vivevo a Bergamo, e da noi la vita era tranquilla, ma quando i miei genitori dovevano andare a Milano avevano paura e cercavano di tornare prima di sera, come se ci fosse una guerra civile in corso. Il fanatismo, politico o religioso, è una brutta bestia — aggiunge — e, se i politici di oggi non si rendono conto che le persone hanno bisogno di fiducia, siamo destinati a implodere. Il rischio è di tornare a quella terribile stagione della rabbia».
Ed è con lo spirito di una testimonianza costruttiva che Graziano Diana ha concepito la trilogia: «L’Italia di ieri si specchia in quella di oggi: la crisi economica, l’incertezza del futuro, la ribellione, la protesta, l’emergenza democratica. Gli anni spezzati, allora come adesso, sono quelli dove si incrina l’integrità sociale di un Paese. Ma raccontando le storie di alcuni eroi borghesi del passato, il loro coraggio nel compiere delle scelte difficili, forse si può gettare un ponte col presente, per stimolare una riflessione e tentare di superare le lacerazioni».
Emilia Costantiniper "Corriere della Sera"
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