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La Tunisia ad un anno dalla caduta di Ben Ali e l’importanza dei rapporti con la Libia

Creato il 26 gennaio 2012 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
La Tunisia ad un anno dalla caduta di Ben Ali e l’importanza dei rapporti con la Libia

Il 14 gennaio scorso il Presidente tunisino Ben Ali fuggiva in Arabia Saudita, costretto dai rivoluzionari della “Primavera araba” a cedere il potere che deteneva dal 1987. Ad un anno dalla caduta di Zine El Abidine Ben Ali la situazione in Tunisia continua a non essere stabile. Il post-rivoluzione è stato segnato da grandi cambiamenti a livello politico; tuttavia parte della popolazione continua a reclamare a gran voce l’adempimento di istanze rivoluzionarie non ancora soddisfatte.

La svolta politica ed il malcontento nelle regioni del centro-sud

Il 23 ottobre 2011, i cittadini tunisini sono stati chiamati alle urne per eleggere i membri dell’Assemblea Costituente tunisina, il primo organo di governo indipendente del Paese. Le consultazioni elettorali sono state dominate dal Partito islamista Ennahda, guidato da Rashid Gannouchi, il quale si è aggiudicato oltre il 40% dei consensi, seguito dal Partito laico di centro-destra al-Mottamar (Congresso per la Repubblica, 29 seggi su 217).

Sebbene le forze laiche si siano aggiudicate complessivamente oltre il 55% dei posti dell’Assemblea, le preoccupazioni in merito ai possibili risvolti politici e alle ricadute che la vittoria islamista potrebbe determinare sulla nuova costituzione hanno dominato i primi mesi dalla svolta elettorale. Alle preoccupazioni dei membri delle comunità cristiana ed ebraica si sono sommate quelle della componente laica della popolazione ed i timori delle donne, spaventate dalla possibile abolizione degli articoli costituzionali riguardanti libertà ed uguaglianza fra i sessi. A questo proposito, numerose sono state le dichiarazioni di Gannouchi e di Hamadi Jebali (segretario generale di Ennahda ed oggi Primo Ministro) volte a rassicurare la popolazione in merito alla compatibilità tra Islam e democrazia e all’importanza dei legami di fratellanza tra cittadini musulmani, ebrei e cristiani.

Tunisia: mappa
A scuotere la scena politica tunisina anche le manifestazioni di protesta dei cittadini della Tunisia centro-meridionale, i quali sono scesi nuovamente in piazza per manifestare contro l’invalidazione di alcuni seggi attribuiti al Partito al-Aridha (Petizione Popolare). Oltre che dalla grande capacità mediatica messa in campo dal leader Hechmi Hamdi, proprietario di due televisioni (al-Mustaquila, tv indipendente fondata nel 1999, ed il Canale Democratico, fondato nel 2005), secondo i sostenitori del Partito il successo di al-Aridha sarebbe stato determinato dalla capacità di dialogare con il centro e il sud del Paese, la componente più marginalizzata e disagiata della società tunisina. Tramite un programma populista, focalizzato sulla necessità di equilibrio sociale e riforme utili a sviluppare un apparato sociale capillare, Hamdi sarebbe infatti riuscito a catalizzare il consenso della popolazione del centro-sud, identificatasi in lui che, pur avendo studiato a Londra, è considerato un walad al-balad, essendo originario di Sidi Bouzid, la cittadina in cui hanno avuto inizio le proteste sfociate nella caduta del regime del presidente Zeine El Abidine Ben Ali, nonché luogo in cui il Partito ha raccolto la maggioranza dei consensi. In un Paese in cui si sono succeduti presidenti provenienti esclusivamente dal nord, la candidatura di Hamdi in questo particolare momento di svolta ha probabilmente significato la possibilità, per i cittadini del sud, di riabilitarsi a livello politico recuperando i legami con i palazzi del potere. A livello simbolico e identitario, l’invalidazione di parte dei seggi conquistati da al-Aridha (poi in gran parte recuperati, fino a raggiungere complessivamente 26 seggi) avrebbe contribuito ad alimentare nei cittadini del centro-sud la sensazione del perpetrarsi di discriminazioni politiche “su base geografica”. I giorni successivi all’annuncio dell’ISIE (la Commissione elettorale tunisina) sono stati caratterizzati da scontri nelle maggiori città del centro-sud (tra queste Meknessi, Regab e Sfax). Forti screzi hanno anche segnato le relazioni tra al-Aridha ed Ennahda, la cui sede locale a Sidi Bouzid è stata bruciata in seguito a pesanti dichiarazioni da parte di Jebali.

Ad alimentare la sfiducia dei cittadini del centro-sud nei confronti della classe politica neo-eletta anche il persistere di una situazione socio-economica ai limiti della sostenibilità. Nei governatorati di Sidi Bouzid, Gafsa, Tezeur e Kasserine il tasso di disoccupazione ha superato il 40% (rispetto una media nazionale di circa il 16%). Condizioni di abbandono, degrado, povertà, mancanza di infrastrutture e talvolta di elettricità ed acqua corrente si riscontrano in queste zone del Paese le quali, non a caso, sono state le prime a manifestare l’insofferenza sfociata poi nella rivoluzione nazionale. Già nel 2008 Gafsa era stata scenario di sommosse durate oltre sei mesi, duramente represse e scoppiate nuovamente nel 2010 come atto di protesta contro il calo occupazionale (specie nel settore dei fosfati, di cui la Tunisia è il quinto produttore al mondo e il secondo per la trasformazione dei derivati).

Ad un anno dalla caduta del regime di Ben Ali e ad un mese circa dall’elezione del nuovo Presidente tunisino, Moncef Marzouki (66 anni, eletto con 153 voti su 217 e appartenente al Partito del Congresso per la Repubblica) le proteste continuano a farsi sentire. Emblematici gli episodi (quattro nell’ultimo mese) che hanno visto cittadini tunisini emulare il gesto di Mohamed Bouazizi (tra questi, Ammer Ghasall, un cittadino da giorni impegnato nella protesta contro la disoccupazione a Gafsa, datosi alle fiamme dopo essersi sentito negare la possibilità di discutere con alcuni rappresentanti governativi in visita alla città). A testimoniare l’insofferenza e lo scetticismo dei cittadini del centro-sud anche i fischi e le urla con cui la popolazione di Kasserine ha accolto il Presidente Marzouki ed il Primo Ministro Jebali, in visita per una cerimonia commemorativa in onore dei martiri della Rivoluzione.

Sebbene l’orgoglio per quanto fatto e vissuto durante i giorni più intensi della “Primavera araba” sia ancora vivo nel cuore di tanti, molti dubbi vengono ancora sollevati in merito al ruolo della politica, spesso accusata di prestare attenzione alla propria retorica populista più che alle necessità concrete della popolazione, soprattutto del centro-sud, che sembra continui a sentirsi derisa e umiliata.

L’importanza dei rapporti libico-tunisini

A pesare sulla situazione tunisina anche la guerra civile tra le forze di Gheddafi ed i ribelli del Consiglio Nazionale Libico (iniziata nel febbraio 2011 e terminata lo scorso ottobre col prevalere di questi ultimi e la morte del rais libico). Sebbene Donald Kaberuka, presidente della Banca Africana per lo Sviluppo, abbia affermato che quella tunisina è un’economia forte nonostante i problemi determinati dalla crisi in Libia, nel corso di una conferenza alla Banca Mondiale Mustapha Kamal Nabli, direttore della Banca Centrale Tunisina, ha dichiarato che la Tunisia starebbe pagando a caro prezzo le decisioni prese dal G8 relativamente alla guerra in Libia. Secondo le stime di Mustapha Kamal Nabli, il conflitto civile in Libia avrebbe determinato l’ingresso in Tunisia di circa 80 mila cittadini libici, i quali rappresenterebbero un altissimo costo per il governo tunisino, che si sarebbe fatto carico delle spese di alloggio, nutrizione e servizi destinati ai rifugiati.

Negli ultimi decenni la Tunisia ha cercato di concentrare l’investimento sulle risorse umane adottando nel contempo importanti riforme economiche; ciò ha permesso al Paese di dotarsi di manodopera qualificata e di accelerare lo sviluppo economico e sociale (dal 1961 fino al 1990 la crescita economica si è mantenuta pressoché stabile sui valori del 4,5-5%). Ciò nonostante, la crisi economica mondiale (che ha inciso particolarmente sull’abbassamento delle esportazioni delle principali industrie manifatturiere e sul settore del turismo) ha determinato, dal 2009, un rallentamento della crescita. Con lo scoppio della “rivoluzione dei gelsomini” l’economia tunisina ha subito un’ulteriore contrazione, quantificata dal FMI in una riduzione del PIL di circa il 2% nel primo trimestre del 2011.

Oltre ad incidere sull’aumento delle spese, la crisi in Libia ha determinato un incremento del tasso di disoccupazione, dovuto al rimpatrio dei numerosi cittadini tunisini residenti in Libia. Stime recenti indicavano in Libia la presenza di un numero compreso tra i 2 e i 2,5 milioni di immigrati, di cui oltre la metà provenienti da Paesi africani (nel 2004 si contavano circa 60.000 tunisini, 200.000 marocchini e tra i 20.000 e i 30.000 algerini), su un totale di circa 6 milioni di abitanti.

Seppur in maniera meno intensa rispetto ai Paesi occidentali, come la Tunisia anche la Libia ha risentito della crisi economica mondiale ed in particolare delle fluttuazioni al ribasso del greggio, che hanno avuto ripercussioni sulla rendita petrolifera del Paese (sebbene la Libia abbia continuato ad accumulare significative rendite petrolifere, stimate dalla Banca Centrale Libica ad oltre 97 miliardi di dollari USA nel marzo del 2010). Come in altri Stati rentier, l’economia libica è stata finora pressoché sostenuta dagli introiti derivati dalla vendita di idrocarburi ed il benessere nazionale è stato determinato da sussidi statali destinati alla popolazione, in larga misura impiegata nel settore pubblico (nel 2010 il 70% della forza lavoro libica era rappresentata da dipendenti pubblici). Sebbene in questi ultimi anni, consapevoli della propria vulnerabilità in campo economico, le Autorità di Tripoli avessero preso le prime misure volte ad incentivare lo sviluppo del settore privato ed avessero investito in piani per lo sviluppo dei settori trainanti dell’economia (infrastrutture, idrocarburi, edilizia e trasporti), la guerra civile ha determinato un crollo sostanziale dell’economia nazionale. Nei mesi successivi alla morte di Gheddafi la Libia ha assistito al crollo del sistema istituzionale esistente e ad un conseguente incremento della disoccupazione. La guerra ha inoltre prodotto danni non indifferenti alle infrastrutture atte all’estrazione di petrolio e gas.

La sfida che la Libia si trova oggi ad affrontare risiede nella possibilità di risollevare il Paese dalla crisi. Ciò richiederà ulteriori riforme in campo economico (atte a sviluppare il settore privato, soprattutto del “non oil”, diminuendo così l’eccessiva dipendenza del benessere nazionale dagli introiti derivati dalla vendita di idrocarburi), stabilità economica, trasparenza e competenze (anche tra coloro che andranno a rimpiazzare i funzionari governativi). Tra tutte le questioni, quella della ricostruzione del Paese e delle sue infrastrutture resta una delle più problematiche, soprattutto a causa dell’attuale assenza di tecnici e operai specializzati, immigrati stabilitisi in Libia da altri Paesi africani prima della guerra e successivamente rientrati in patria o fuggiti all’estero.
La complementarità dei bisogni di Tunisia e Libia non è passata inosservata agli occhi delle maggiori autorità dei due Paesi. Il giorno successivo alla propria elezione, Marzouki ha dichiarato che la Libia sarebbe stata la meta della sua prima visita ufficiale. La decisione di Marzouki ha rotto una tradizione nella storia delle relazioni diplomatiche tunisine, che fino ad oggi avevano visto i presidenti tunisini scegliere l’Algeria come prima meta dei propri viaggi ufficiali. A tal proposito, il neo-eletto Presidente ha sottolineato che la decisione non vuole essere una negazione dei rapporti con la vicina Algeria (Marzouki ha già ricevuto un invito ufficiale dal governo algerino), ma semplicemente un segnale di avvicinamento alla Libia gravata, come la Tunisia, dalle difficoltà del post-rivoluzione. Il Presidente tunisino sembra intenzionato a ristabilire relazioni diplomatiche anche con altri Paesi africani (l’ultima visita ufficiale tunisina ad un Paese sub-sahariano risale al 1973), a cominciare dall’Etiopia, in cui è atteso per questo 28 gennaio.

Il consolidamento dei rapporti tra Tunisia e Libia era già stato avviato dal Presidente ad interim Fouad Mebazaa che il 3 settembre scorso aveva ricevuto Mahmoud Jibril (allora Primo Ministro ad interim libico), sottolineando i legami tra i due paesi e la ricaduta della guerra civile libica sull’intera regione. Alcuni giorni prima Mebazaa aveva ipotizzato la creazione di una Commissione che valutasse le opportunità di investimento e cooperazione tra Tunisia e Libia, aggiungendo che una simile iniziativa avrebbe spinto i due Paesi alla collaborazione indispensabile ad alleviare i problemi dei cittadini tunisini residenti in Libia, ritornati in Tunisia dopo il febbraio 2011 abbandonando beni e proprietà, ed eventualmente a coordinarne il ritorno in Libia.

Oltre alle dichiarazioni d’intenti, fondamentali gli accordi commerciali tra i due Paesi. Come precedentemente accennato, la complementarità degli interessi libici e tunisini risiede da una parte nella necessità di manodopera qualificata da parte della Libia (manodopera utile alla ricostruzione delle infrastrutture distrutte o danneggiate durante la guerra ed indispensabili alla ripresa economica), dall’altra nell’esigenza, sentita dal governo tunisino, di abbassare il tasso di disoccupazione, manovra indispensabile allo sviluppo del Paese e al soddisfacimento delle più pressanti istanze rivoluzionarie.

A questo proposito, i due Paesi si sono prodigati in svariate iniziative. Tra queste quella promossa dall’UTICA (Unione Tunisina per l’Industria, il Commercio e l’Artigianato), la quale l’8 ottobre scorso ha organizzato un incontro tra funzionari libici e tunisini per discutere in merito alle relazioni economiche che potrebbero facilitare la ricostruzione della Libia. Mohamed Abdelkarim El Raaidh, membro del Consiglio di amministrazione della Camera di commercio libica, ha dichiarato che l’assunzione di lavoratori tunisini sarà privilegiata durante la ricostruzione e ha chiesto al governo libico di facilitare le procedure di accesso nel paese per i lavoratori tunisini che ne facciano richiesta. Secondo il Ministro per l’impiego Said Aidi i 700.000 disoccupati tunisini sarebbero infatti un’opportunità per la ricostruzione della Libia. Samir el Mehdi, rappresentante libico della Camera di commercio tunisino-libica, ha inoltre affermato che la Libia aspira ad incrementare le proprie relazioni economiche con la Tunisia (definita Paese “fratello e amico”).

A suggellare l’intesa libico-tunisina anche le dichiarazioni di Moustafa Abdul Jalil, a capo del CNT libico, il quale nel novembre scorso avrebbe annunciato che i cittadini turchi e tunisini saranno accolti in Libia senza necessità di visto, in virtù del sostegno accordato alla popolazione libica durante la rivoluzione, dell’instaurazione di relazioni bilaterali di collaborazione e cooperazione commerciale e dei legami storici con la Libia. La dichiarazione di Jalil va nella direzione di un consolidamento dei rapporti diplomatici indispensabili nella ricerca di partner economici che sostengano la Libia durante la delicata fase di ricostruzione. In questo senso, i rapporti tra Libia e Tunisia dimostrano la loro importanza anche a fronte dell’isolamento libico nella regione, isolamento determinato dalla chiusura della Libia nei confronti della vicina Algeria (che ospita Sofia, la vedova dell’ex-rais, ed i figli Aisha, Hannibal e Mohammed Gheddafi), della Siria (la Libia è stata il primo Paese a rompere le relazioni diplomatiche col governo di Bashar al-Asad) e dei molti Paesi africani accusati dell’invio di mercenari a sostegno di Gheddafi durante la guerra.

Confine libico-tunisino
Tra i punti più controversi nell’ambito delle relazioni libico-tunisine il caso relativo all’estradizione di Baghdadi Mahmoudi, ex primo ministro libico arrestato in Tunisia (in prossimità del confine algerino) il 21 settembre scorso, accusato di abuso di potere, corruzione e altri crimini. Rivalutando la decisione dell’ex-Presidente tunisino Mebazaa, nel corso della sua recente visita in Libia Marzouki ha promesso l’estradizione di Mahmoudi, seppur a condizione che al detenuto fosse garantito un giusto processo. Anche in questo caso, Marzouki ha colto l’occasione per sottolineare la vicinanza tra popolo libico e tunisino (il quale attende l’estradizione di Ben Ali, fuggito in Arabia Saudita). La posizione di Marzouki è stata controversa e criticata, soprattutto da chi ha sostenuto l’incompatibilità di tale decisione con il passato e l’immagine di Marzouki quale attivista ed ex-presidente della Commissione araba per i diritti umani.

Nonostante i numerosi incidenti al confine tra i due Paesi (da ultimo il sequestro di quattro membri della Guardia Nazionale tunisina da parte di un gruppo di libici armati a 1 km dal confine con la Libia nel sud della Tunisia, lo scorso 31 dicembre) il Primo Ministro libico ad interim, Fawzi Abdellali, ha garantito che i confini saranno controllati per evitare l’insorgere di problemi tra i due governi, pur sottolineando che le relazioni tra Tunisia (“il Paese che ha ispirato le rivolte arabe”) e Libia, basate su legami storici di sangue e religione, non potranno essere influenzate da infiltrazioni ai confini.

Conclusioni

Sebbene sia prematuro affermare che la Tunisia stia vivendo una seconda rivoluzione, ad un anno dalla caduta del regime di Ben Ali, il Paese culla delle rivolte arabe affronta il perpetrarsi di una situazione di crisi esacerbatasi nelle regioni storicamente più povere e marginalizzate del Paese.

Nonostante le iniziative messe in campo in ambito politico, molti cittadini rimangono scettici rispetto al ruolo assunto dal governo neo-eletto, spesso accusato di retorico populismo e di false promesse. La situazione di fragilità in cui permane il sistema economico tunisino richiede che il governo si adoperi per far fronte a due questioni che necessitano urgente soluzione: il problema della disoccupazione e quello degli investimenti, indicatori chiave per la ripresa del Paese e per il conseguente soddisfacimento dell’istanza rivoluzionaria di sviluppo e cambiamento.

A questo proposito, se perseguita, la strada delle relazioni libico-tunisine potrebbe dimostrarsi un utile strumento di ripresa. Anche in questo caso, la risoluzione della crisi non sarà a portata di mano. Per entrambi i Paesi ed in particolare per la Libia, che vive una situazione di maggiore instabilità, il processo di transizione alla democrazia potrebbe rivelarsi lungo ed accidentato.

Nel caso tunisino, sebbene il post-elezioni abbia dimostrato la mancanza di una perfetto sincronismo tra politica e realtà ed una certa distanza dei luoghi del potere dalla realizzazione delle proprie promesse, l’Assemblea dovrà continuare a fare i conti con il controllo esercitato dall’opinione pubblica, reso ancor più stretto grazie al sostegno della copertura mediatica nazionale ed internazionale.


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