La conferenza degli ambasciatori turchi ha avuto anche – oltre al premier Erdoğan e a numerosi ministri – degli ospiti stranieri: ad Ankara, il ministro degli esteri di Singapore, Shanmugam; a Izmir, i colleghi brasiliano Patriota e svedese Bildt. Insieme a Davutoğlu, questi ultimi hanno dato vita alla “Trilaterale della solidarietà per costruire la pace”: un’iniziativa politica – al momento molto informale – per cambiare la struttura e il funzionamento del sistema internazionale. La politica estera della Turchia, nella sua dimensione globale, è dichiaratamente trasformativa: reclama costantemente più equità e rappresentatività, ha preso parte alla formazione del G20 come alternativa al G20, si è fatta paladina degli stati meno sviluppati (Ldc) in seno all’Onu, promuoverà un tavolo Ldc-G20 quando sarà presidente di turno nel 2015, reclama una riforma inclusiva del Consiglio di sicurezza dell’Onu, cerca di neutralizzare le derive da guerra di civiltà attraverso l’iniziativa turco-spagnola – sempre sotto l’egida dell’Onu – dell’Alleanza delle civiltà, proprio al Consiglio di sicurezza è candidata a un seggio non permanente – un referendum sulla popolarità conquistata – per il biennio 2015-2016 (dopo l’esperienza ravvicinata del 2009-2010, eletta con 151 voti). Ha avviato una riforma robusta del ministero: per mettersi al passo coi tempi, per dotarsi degli strumenti – risorse, personale, sedi all’estero – necessari alla sua nuova politica estera; una politica estera di sistema: attenta agli affari per merito delle organizzazioni imprenditoriali, allo sviluppo attraverso l’agenzia Tika, alla cultura grazie all’istituto Yunus Emre, alle connessioni globali per mezzo della compagnia di bandiera Thy (Turkish Airlines).
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(per scoprire in cosa consiste l’arte della mediazione – così come proposta dal ministro degli esteri Davutoğlu – leggete l’articolo completo su L’Indro)
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