(articolo pubblicato sul settimanale Il Futurista)
Il Senato francese è chiamato ad approvare definitivamente, nell’ultima settimana di gennaio, la legge che punisce con un’ammenda di 45000 euro e un anno di reclusione la “negazione o la banalizzazione” del genocidio armeno; la legge che, dopo il voto positivo dell’Assemblea nazionale del 22 dicembre, ha già scatenato ritorsioni memoriali e diplomatiche da parte turca: e che rischia di provocare – per la gioia di chi si oppone all’ingresso della Turchia nell’Unione europea – una fragorosa frattura politica ed economica tra i due paesi. A risentirne saranno anche i rapporti turco-armeni: ancora in attesa di normalizzazione, visto che il protocollo di Zurigo dell’ottobre 2009 non è mai stato ratificato e che la frontiera rimane inesorabilmente chiusa. Già nel 2001 il Parlamento parigino aveva creato malumori e ostilità ad Ankara – poi rapidamente riassorbiti – con il riconoscimento formale come genocidio degli eventi di cui sono stati vittime durante la Prima guerra mondiale gli armeni cittadini ottomani: il primo genocidio della storia; la legge in via di perfezionamento – col sostegno sia dei socialisti all’opposizione, sia dei gollisti al governo – ne è il logico ma politicamente destabilizzante completamento, visto che introduce le sanzioni allora non previste: nei confronti dei cittadini francesi, nei confronti dei cittadini di qualsiasi altro paese – anche turchi, quindi – per dichiarazioni o attività pubblicistiche svolte in Francia. Analoghi tentativi, tutti falliti, sono stati fatti tra il 2005 e il 2006 e da ultimo – al Senato – alla fine del 2010.
Fu vero genocidio? La Turchia ha costantemente risposto no; e considera la legge francese un’indebita ingerenza nella propria storia e nei propri affari interni: un atto poco diplomatico, un gesto arrogante. La Turchia ha sempre sostenuto che i tragici eventi del 1915-1922 – le deportazioni di massa, le centinaia di migliaia di morti o forse più – non presuppongono una volontà distruttiva e sono la tragica conseguenza delle esigenze belliche, l’Impero ottomano insidiato da quello russo col sostegno degli armeni come quinta colonna; inoltre, il famigerato articolo 301 del codice penale turco è stato spesso utilizzato per criminalizzare – anche in modo strumentale – intellettuali che hanno invece accolto in tutto o in parte la tesi del genocidio: il giornalista armeno Hrant Dink poi ucciso dagli ultra-nazionalisti, la scrittrice Elif Şafak, il premio Nobel Ohran Pamuk. Ma l’evoluzione in senso democratico e liberale del sistema politico assicurata dall’Akp del premier Recep Tayyip Erdoğan ha permesso – negli ultimissimi anni – un deciso e promettente cambiamento di rotta: il genocidio armeno non è più un tema tabù e viene apertamente dibattuto, vengono pubblicamente organizzate mostre e commemorazioni, nel 2008 alcune organizzazioni non governative hanno avviato una petizione per scusarsi – al di là delle definizioni e delle interpretazioni – di quanto accaduto nel 1915 (“condividendo il loro dolore e sentimento, chiedo scusa ai miei fratelli armeni”), l’articolo 301 – già modificato – potrebbe essere presto abolito; in più, le autorità di Ankara hanno promesso l’apertura degli archivi e promosso la costituzione di una commissione mista di storici turchi e armeni – soluzione però rigettata con estrema rigidità dall’Armenia.
Le reazioni all’iniziativa francese – in tutto e per tutto sostenuta da Sarkozy, che l’aveva preannunciata durante la sua visita a Yerevan ad ottobre – sono state ferme, condivise, eclatanti. L’ambasciatore a Parigi è stato richiamato al ministero per consultazioni, i rapporti bilaterali ufficiali sono stati congelati, il gruppo parlamentare d’amicizia franco-turco non ha più membri, a Istanbul sono spuntati ovunque volantini e striscioni – anche giganteschi – che incitano al boicottaggio dei prodotti francesi, i talk-show sono stati invasi dalle recriminazioni. Il giorno dopo la pronuncia del Palais Bourbon, nel contesto di una conferenza internazionale sulle donne, Erdoğan ha fatto ampio e teatrale uso delle sue abilità oratorie: ha invitato Sarkozy a consultare suo padre – legionario per un breve periodo – per avere informazioni sul genocidio commesso dalla Francia in Algeria (Pál István Ernő Sárközy de Nagy-Bócsa ha però sempre negato di aver messo piede – da membro della legione straniera – nella ex colonia) e a non dimenticare l’accoglienza offerta a suo nonno materno Aaron Mallah, ebreo e cittadino ottomano di Salonicco poi diventato Bénédict con la conversione al cristianesimo. E ha scatenato l’ilarità generale esibendo una lettera incorniciata spedita dal sultano Solimano – nel 1526 – per promettere aiuto a Francesco I di Valois prigioniero di Carlo V dopo la battaglia di Pavia, l’uno dotato di una sfilza interminabile di titoli – da “ombra di Dio” a scendere – e l’altro chiamato “re di Francia” senza null’altro aggiungere. Come dire: “ma chi vi credete di essere?”
Anche gli armeni di Turchia, o il corpo docente dei prestigiosi licei francofoni della capitale ottomana, hanno duramente contestato l’iniziativa francese: soprattutto perché ritengono che non sia d’aiuto – sotto forma d’imposizione – nel facilitare tutta una nazione a fare i conti col passato. I turchi si sentono infatti oltraggiati, vittime di una sfacciata speculazione elettoralistica. Ad aprile, in Francia si vota per le presidenziali: e a Sarkozy – l’opinione è pressoché unanime – fanno gola i voti della diaspora armena (circa mezzo milione, particolarmente influenti) e degli islamofobi con non vogliono la Turchia in Europa in quanto paese musulmano. In effetti, la “legge Boyer” (dal nome della sua prima firmataria, il deputato dell’Ump Valérie Boyer) è manifestamente in contraddizione con l’opposizione di Sarkozy – oltre che di una componente sostanziosa e autorevole degli ambienti accademici e intellettuali, a partire dal celebre storico della memoria Pierre Nora – alla “deriva memoriale e commemorativa” dell’era Chirac.
E “leggi memoriali” sono stati infatti definite tutte le norme – a partire dalla legge Gayssot del 1990, introdotta per colpire il negazionismo della Shoah – che hanno posto l’obbligo di rispettare versioni prefissate della storia, di celebrare col massimo della solennità eventi e ricorrenze per la maggior parte legate alle rivendicazioni di minoranze o comunità ristrette. Da una parte, il tema del “pentimento”: la legge Taubira del 2001 che riconosce la schiavitù come crimine contro l’umanità, la giornata in cui si commemora l’abolizione della schiavitù, la giornata della memoria dedicata alle vittime dei crimini razzisti e antisemiti del governo di Vichy; dall’altra, la proliferazione delle giornate – tutte non festive – in ricordo dei morti “per la Francia” in Indocina, degli harkis (i combattenti della guerra d’Algeria nell’esercito francese), di tutte le vittime – militari e civili – delle guerre d’indipendenza in Algeria, Marocco e Tunisia. Mentre è naufragato tra polemiche e proteste, grazie all’intervento risolutore proprio di Chirac, il tentativo – attraverso la legge del 23 febbraio del 2005 – di inserire direttamente nei programmi scolastici “il riconoscimento del ruolo positivo della presenza francese d’Oltremare”.
Sarkozy ha detto stop. Subito dopo due passi falsi duramente contestati – la decisione di far leggere nelle scuole la lettera del giovane resistente comunista Guy Môquet ucciso nel 1941 e l’invito agli studenti ad “adottare” ognuno una vittima coetanea delle deportazioni naziste – già a fine 2007 il presidente francese ha infatti incaricato una commissione presieduta dallo storico André Kaspi di riflettere sulla possibile riorganizzazione delle commemorazioni pubbliche: di studiare, cioè, delle contromisure all’inflazione memoriale. Nel rapporto stilato dopo ampie consultazioni – e reso pubblico nel novembre 2008 – vengono evidenziati i rischi di banalizzazione e di perdita del significato storico degli eventi commemorati, soprattutto quando coinvolgono gruppi specifici e non la totalità della popolazione.“Non è ammissibile” – sostiene la commissione Kaspi – “che la nazione ceda agli interessi comunitaristi e che si moltiplichino le giornate ‘del pentimento’ per soddisfare un gruppo di vittime, perché si indebolirebbe la coscienza nazionale, si darebbe vita ad altre richieste e si diluirebbe l’importanza delle commemorazioni”. La soluzione è stata individuata nella riduzione del loro numero, accorpandole in 3 giornate solenni e festive: l’8 maggio, in cui ricordare tutti gli accadimenti legati alla Seconda guerra mondiale, alla vittoria sul nazismo e sulla barbarie; il 14 luglio, nell’esaltazione irrinunciabile dei valori della Francia repubblicana; l’11 novembre, in cui ricordare tutti i morti del passato e del presente nel giorno dell’armistizio franco-tedesco della Grande guerra. Sarkozy, l’11 novembre 2011 – dopo aver commemorato quello del 2009 insieme ad Angela Merkel – ha pubblicamente accolto il suggerimento della commissione Kaspi: anche se poi del progetto di legge depositato in Parlamento si sono perse le tracce.
Un’altra commissione, istituita autonomamente e coordinata dal presidente dell’Assemblea nazionale Bernard Accoyer, ha esplicitamente criticato nel suo rapporto finale l’invadente imposizione del “dovere di memoria”, l’enfasi eccessiva sulla “sofferenza” di singoli gruppi di pressione, i limiti che ne derivano alla ricerca degli storici come denunciato soprattutto dal comitato “Liberté pour l’histoire” presieduto da Pierre Nora: e ha consigliato la rinuncia – da parte sia del potere legislativo, sia di quello esecutivo – a iniziative normative in materia memoriale. Accoyer, coerentemente, ha preso posizione contro la legge che introduce sanzioni – ammenda e reclusione – contro la “negazione e la banalizzazione” del genocidio armeno. La legge potrebbe non essere approvata o dichiarata successivamente incostituzionale: in caso di adozione definitiva, la risposta turca – ufficiale e spontanea – sarà durissima e difficilmente reversibile.