La Turchia e le rotte energetiche dal Caucaso 03 (di Enrico Satta)
E’ l’estate del 2008 quando scoppia la crisi del Caucaso. La Georgia invade l’Ossezia, propria regione autonoma con mire indipendentiste, dando il pretesto alla Russia per intervenire in grande stile a difesa di un territorio ex sovietico con etnie russe. I telegiornali ci coprono di notizie di cronaca, colonne blindate di qua, truppe di là. Al centro delle nostre preoccupazioni ci veicolano la crisi umanitaria determinata da una Russia tornata cattiva a cui si contrappone, è certo, l’occidente buono.
I bollettini sono tutti pedanti e monotoni ma uno stona; un giornalista del tg2 parla di petrolio. Due piccole regioni nel Caucaso, terre lontane, ai margini di ogni possibile cronaca, industria inesistente e allora? Territori in fondo di poco conto, buttati via alla caduta dell’impero sovietico che costrinsero la Russia ad un intervento militare così massiccio da sembrare a tutti sproporzionato, esponendosi infine a riconoscerne l’indipendenza contro la “legalità internazionale”. Appare sorprendente l’allora durissima reazione dell’occidente, dichiarazioni di fuoco e la flotta Nato (cioè USA) che si dirigeva nel Mar Nero passando dal Bosforo. Insomma una situazione da accantonare per noi comuni mortali ma che rischiò di compromettere l’equilibrio mondiale.
E fu quasi per caso, che ricordai di aver letto dell’inaugurazione nel 2006 di un nuovo grandioso oleodotto. Un oleodotto che provenendo dal Mar Caspio e attraversando la Georgia bypassava la Russia e finiva nel mediterraneo turco al porto di Ceyhan . L’allora dichiarazione del presidente georgiano Saakashvili, sottolineava come l’oleodotto rappresentasse “la vera indipendenza per la Georgia”, e la sua fondamentale importanza per i paesi dell’UE.
Provo a collegare gli eventi. Sono stato tante volte in Turchia e durante le mie permanenze mi ero spesso domandato come mai fosse così strategica per l’occidente tanto da fare dichiarare a politici di peso europeo la necessità di accelerarne il processo di integrazione in Europa.
Certo, paese stupendo la Turchia, concentrato di storia e di paesaggi e atmosfere suggestive ma pur sempre piacevolmente diverse. Con piacere mi immergevo tra la sua folla; colori, odori, suoni mi avvolgevano in un turbinio di emozioni che mi arricchiva. E poi le nebbie sul Bosforo, la luminosità del suo mare che con il passare del tempo mi sono tornate familiari come la religione, diversa sì, ma mai lontana, con il richiamo alla preghiera del muezzin, e la notte i tamburi che rullavano nei vicoli per ricordati che eri nel Ramadan e infine il Bayran, la festa in cui mi immergevo incuriosito.
Sì certo, Paese collocato quasi interamente in Asia Minore con religione e tradizioni lontane da noi europei ma dove coesistono anche forti radici europee. Basti pensare al ruolo che storicamente ha rivestito Bisanzio nella penisola anatolica nel collegare e mantenere rapporti con due mondi diversi ma entrambi nevralgici per l’Impero, la Chiesa di Roma e le popolazioni turche. Eppure oggi pochi in Europa si scandalizzerebbero più di tanto se la Grecia con magari al seguito qualche altro paese Pigs venisse espulso dalla UE e discutere delle radici greche nella formazione della identità europea sarebbe lezioso.. E allora? perché è tanto importante la Turchia per la politica occidentale? Sarà per la sua posizione strategica, paese dell’Asia Minore confinante con stati a noi ostili come l’Iran, la Siria, un tempo l’Iraq; il confine con il deserto dei tartari… Certo è anche un’area all’interno del MEC che consente alle industrie europee di delocalizzare approfittando di bassi costi della manodopera. Eppure, forse non basta a capire tutta questa generosità da parte dell’Europa che continuava ad incuriosirmi. Era pur vero, d’altronde che il Paese nel passaggio al II millennio era in dissesto economico e gli analisti economici parlavano di un’economia stremata, con un’inflazione galoppante e talmente in rosso da fare presagire una crisi anche peggiore di quella finanziaria argentina, paese che certo non ci siamo sbracciati nel salvarlo. Intanto però in Turchia la borsa e il “mattone” volavano e flussi di denaro venivano investiti in ogni genere di affari.
Provo a ricollegare il tutto. Apro il pc e attivo una ricerca sulle “rotte” energetiche del petrolio; comprendo che questo potrebbe essere il bandolo della matassa.
L’acronimo dell’oleodotto è BTC che non sta per british company o chissà quali altri diavolerie, ma per Baku-Tblisi-Ceyhan.; prende il petrolio dai giacimenti dell’Azerbajan, passa per la Georgia e continua in Turchia dalle cui sponde mediterranee viene imbarcato sulle petroliere con rotta in occidente. Non solo, parte di queste risorse vengono dirette in Israele, dove poi seguono le rotte verso l’India e la Cina. Ma il BTC non è solo una nuova fonte di approvvigionamento energetico per l’occidente, riveste un ruolo fondamentalmente strategico perché esporta il petrolio dell’Azerbaijan fuori dall’influenza russa e dell’Iran attraversando la Georgia e poi per la Turchia fino nel cuore del Mediterraneo al porto turco di Ceyhan con un percorso di 1.670 chilometri fuori dall’influenza della Russia e dell’Iran sia per l’approvvigionamento che per il percorso. Ceyhan si trova a poca distanza dalla base aerea americana di Incirlik.
[continua]
40.980141 29.082270