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la tutela dei risparmiatori

Creato il 28 dicembre 2015 da Gaia

All’incirca un anno fa, scoppiò in Carnia un scandalo legato a un buco nel bilancio della CoopCa (Società Cooperativa Carnica di Consumo) e conseguente potenziale perdita dei risparmi di migliaia di soci. I media si scatenarono nel descrivere quella che appariva come una catastrofe economica e persino sociale per una regione già considerata in difficoltà (il che è tutto dire). La mia reazione, taciuta in mezzo a tanto inveire sul futuro scippato della Carnia e tanto vittimismo e rancore, fu piuttosto fastidio: mi pareva che ci fossero persone pronte a mobilitarsi quando venivano toccati i loro risparmi, e molto meno in difesa dei beni comuni.

Cose del genere continuano a succedere: è di poche settimane fa la notizia di un pensionato che si sarebbe suicidato dopo aver perso i risparmi di una vita. Si è accusato il governo di aver salvato le banche anziché tutelare i risparmiatori. Anche questa volta ho fatto fatica a parteggiare per gli investitori derubati – men che meno, è ovvio, parteggerei per i manager che gesticono i soldi degli altri in maniera avventata per massimizzare i propri guadagni e poi scappano con il malloppo. Eppure c’era, nelle descrizioni delle vittime apparenti – “risparmiatore”, “pensionato”… – qualcosa che mi rendeva difficile solidarizzare. Ho deciso quindi di tentare una riflessione profonda, e presentarvi le mie considerazioni per quanto ancora incomplete e barcolanti.

Partiamo con il concetto di base: l’idea di mettere da parte dei soldi.

La necessità di immagazzinare la produzione attuale in vista del futuro nasce, stando a quanto ho letto per lo meno, con l’agricoltura. Le società di cacciatori e raccoglitori semplicemente si spostano (ciclicamente) seguendo le loro fonti di cibo. Se non ne prelevano eccessivamente, c’è qualcosa da mangiare anche per l’anno dopo. L’investimento, quindi, non consiste nell’accumulo, ma nello sforzo di contenere collettivamente il proprio prelievo. Si investe in un ambiente sano e in una popolazione stabile, e ci sarà sempre abbastanza per tutti.

Le società agricole, invece, sono per definizione sedentarie. Inoltre sono in grado di generare un surplus, un eccesso di cibo rispetto a quello che serve in una data annata, e di immagazzinarlo nell’eventualità di un periodo di crisi futuro. Secondo alcuni (Jared Diamond è l’esempio più famoso), le diseguaglianze nascono proprio da qui: una volta che vi è un surplus, servirà qualcuno che lo controlli, lo difenda e lo distribuisca. Da qui nascono gerarchie, burocrazie, stati, diseguaglianze economiche e sociali.

Infatti, la gestione del surplus non necessariamente è sempre stata una questione individuale. Nel famoso episodio biblico delle vacche grasse e vacche magre, Giuseppe consiglia al faraone di trovare un uomo saggio che amministri la sovrapproduzione imminente in vista della carestia futura predetta dal suo sogno. La nostra società preferisce invece il sistema del risparmio diffuso e personale; l’articolo 47 della Costituzione recita: “La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito. Favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese.”

Si tratta di una logica basata su un principio decentralizzante e individual-familiaristico (la proprietà della casa e della terra, il risparmio), e uno centralizzante (la grande industria, il controllo e coordinamento del credito). Adesso che ci troviamo davanti al risultato dell’investimento senza freni nel cosiddetto “mattone”, cioè la cementificazione del paese, oltre che ai danni ambientali e alle complicazioni sociali causate dai “grandi complessi produttivi del Paese”, mi chiedo se questo articolo non sia, come tanti altri, da superare.

Ammetto comunque che nella nostra società è considerato necessario poter accantonare del denaro che ci può servire nei momenti di emergenza. Dico che è considerato necessario, e non che è necessario, perché ci sarebbero altre possibilità: queste emergenze potrebbero essere affrontate con l’aiuto della collettività, che ad esempio potrebbe finanziare spese mediche improvvise, aiutare a ricostruire una casa bruciata, prestare del denaro senza interessi per costruire un’abitazione, e così via. Forse questo sistema si presterebbe ad abusi, ma anche, evidentemente ed enormemente, quello attuale.

C’è un’altra cosa da sottolineare. Un conto è accantonare grano, un altro accantonare soldi. Il grano, o qualsiasi altro bene materiale, è concreto, non si moltiplica se non con grande fatica e lavoro, e può esistere in ogni dato momento solo in quantità limitate – c’è infatti un limite a quanto grano si può produrre, immagazzinare e conservare.

I soldi, invece, sono una pura convenzione e non conoscono limiti (ancor di più oggi che non sono legati all’oro). Sono i meccanismi di una società e le decisioni di chi comanda a stabilire che moneta si deve usare, che valore ha, come il suo valore cambia nel tempo e come deve essere distribuita. I soldi hanno un legame molto tenue, che si va sempre più affievolendo, con il mondo materiale e delle cose reali. La distribuzione del denaro ha conseguenze enormi su questo mondo materiale, ma questa distribuzione segue leggi umane arbitrarie e contingenti, a differenza di quelle della fisica. Infatti, mentre un uomo che lavori tantissimo e sia bravissimo non può ottenere dal suo lavoro un prodotto che superi quello del vicino più pigro di cento o mille volte, è normale e accettato nella nostra società e a livello globale che due persone che lavorano lo stesso numero di ore percepiscano l’uno uno stipendio anche cento o mille volte superiore a quello dell’altro.

Essendo i soldi un construtto, permetterne l’accumulazione e l’accantonamento senza affrontare il problema del legame tra questi soldi e il mondo reale crea quello a cui stiamo assistento adesso – comitati in rivolta per i motivi sbagliati, un popolo viziato e irresponsabile.

I soldi non valgono niente se non c’è un’economia reale funzionante – se, cioè, la collettività che dovrebbe garantire quel denaro non è in grado di garantire anche dei beni e dei servizi da comprare con esso; ma l’iperfinanziarizzazione, la complicatezza e l’astrazione estrema della nostra economia rendono questo fatto invisibile, così come rendono invisibile la dipendenza dell’economia dallo stato delle risorse materiali. Per cui siamo abituati a pretendere una pensione, uno stipendio, una rendita, non acqua pulita, cibo, spazio… siamo convinti che da qualche parte “i soldi ci sono”, anche se attorno a noi tutto è degrado. Abbiamo staccato l’economia e il lavoro dalla materia, e il risultato è che così saremo sempre di più risparmiatori frustrati, perché non capiremo che fine hanno fatto i nostri soldi né che i soldi, di per sé, non significano nulla. Inoltre, crediamo di aver diritto a dei soldi senza porci il problema di contribuire allo sforzo collettivo che mantiene un’economia in cui quei soldi abbiano un senso.

Dal mio punto di vista, quindi, è discutibile l’accumulo, è discutibile l’accumulo individuale, è discutibile il concetto di denaro, e non abbiamo ancora finito.

In tutti i casi che i media ci riportano tra psicodrammi e piagnistei non si parla di persone che hanno semplicemente accantonato del denaro e lo hanno perduto. Se così fosse, la questione sarebbe leggermente più semplice. Rimane il fatto che non si può pretendere di essere gli unici a salvarsi su una barca che affonda, ma garantire che i centomila euro nominalmente depositati in banca siano almeno in parte e almeno nominalmente ancora lì è comunque meno impegnativo per una collettività che garantire dei soldi investiti.

Solitamente il denaro perde progressivamente di valore, perché c’è l’inflazione. Anche il grano lasciato nel deposito troppo a lungo si deteriora, ma non per questo ci si aspetta di vederlo aumentare. Semmai si cerca di conservarlo bene e di garantire che l’agricoltura continui a funzionare anno dopo anno, per tutti. Si potrebbe fare lo stesso con il denaro: se dopo anni e anni ancora non hai avuto modo di spenderlo o di metterlo a disposizione di qualcun altro, forse non ti serviva così tanto. Ma la nostra società, anziché sulla sostenibilità a lungo termine, è fondata sulla crescita, e crescita significa avere sempre di più anche se questo, ovviamente, a lungo andare non è possibile. I risparmiatori, quindi, non si accontentano che il frutto del loro lavoro sia protetto: vogliono che cresca.

Qui, in realtà, potrebbero anche incontrarsi due interessi complementari con profitto di entrambi. L’idea dell’investimento non è male: chi ha soldi e non sa cosa farsene li dà a chi ha idee e non ha soldi.

Ci sono però alcuni problemi con questa pratica.

Innanzitutto, c’è sempre il rischio che l’idea che sembrava buona per qualche motivo non funzioni, e allora chi ha prestato soldi deve accettare di perderli. Altrimenti, se il debitore non è in grado di risarcire, questo significherebbe che il creditore si aspetta di essere risarcito dalla collettività, e questo non è giusto perché non è stata la collettività a decidere di finanziare un dato progetto. Al contempo, chi presta soldi accetta il rischio di perderli e in cambio dell’accettazione di questo rischio pretende che i suoi soldi gli vengano restituiti con gli interessi. Detta così non ha completamente senso, ma la nostra società si è assestata su questa pratica (un’alternativa potrebbe essere prestare senza interessi perché ci si aspetta che tutti traggano beneficio da un buon investimento, ma raramente questo accade).

Passiamo al secondo problema con questo sistema: che i soldi creano soldi. Siccome l’incremento è percentuale, ma quello che conta ai fini pratici è l’assoluto, a parità di rendimento chi più presta guadagnerà di più, e sarà incrementalmente sempre più ricco rispetto a chi presta meno soldi perché ne ha di meno. Questo sembra essere uno dei meccanismi alla base della tendenza generale all’aumento delle diseguaglianze.

Tra l’altro, permettere ai soldi di crescere senza che la persona che li possiede debba fare fatica significa permettere alla gente di non lavorare anche se sarebbe in grado di farlo, e di essere pure ricca. Bastano pochi anni di lavoro molto redditizio, o addirittura un’eredità, e chi ha non deve muovere un dito mentre chi non ha si spacca la schiena. Questo, semplicemente, non mi sembra giusto, anche perché, per l’appunto, è la società e non il singolo a stabilire quale lavoro è redditizio e quale no, e quindi chi ha avuto dalla società il permesso di guadagnare di più e di fatto il suo reddito non dovrebbe approfittarsene così tanto a spese della società stessa.

Il terzo problema è che un aumento di denaro nel tempo premia inevitabilmente chi è più vecchio e ha investito i propri soldi da più anni. Si potrebbe vedere questo fattore come un elemento di riequilibrio tra generazioni, dato che chi è più vecchio è meno in grado di lavorare, ma allora a cosa servono le pensioni? È vero che le pensioni stesse si finanziano con gli investimenti, ma perché questo meccanismo di finanziamento funzioni bene serve un’economia in costante crescita. Se l’economia non cresce più, o i vecchi rinunciano ai profitti garantiti dai loro investimenti, o i giovani devono risarcirli a spese proprie, e a me sembra che sia questo quello che succede.

Un ulteriore problema è che la possibilità di vedere un investimento crescere nel tempo incoraggia l’estrazione del massimo delle risorse subito, a spese di chi verrà dopo. Se io voglio che ci siano abbastanza caprioli da cacciare anche l’anno prossimo, quest’anno ne ammazzo pochi. Se invece io so che più caprioli prendo adesso più ce ne saranno in futuro, sono incoraggiato ad ammazzarli anche tutti. Una delle cause della catastrofe ambientale in corso, nonché delle diseguaglianze generazionali, è che si è premiato chi prelevava e non chi lasciava, chi teneva per sé e non chi condivideva con tutti. Certo, in questo modo si è anche generata ricchezza, ma siccome la ricchezza umana distrugge la ricchezza ambientale, massimizzare la ricchezza umana incoraggiando meccanismi accumulativi e distruttivi ha finito per distruggere anche le basi materiali su cui si basava. Chi ha messo da parte i soldi guadagnati costruendo una fabbrica adesso dovrebbe restituirli a suo nipote che non può mangiare perché quella fabbrica ha ucciso tutti i pesci.

C’è poi un quinto problema, che è quello che si sta manifestando più esplicitamente in questi giorni. Si tratta del problema degli intermediari.

La maggior parte delle persone non ha il tempo, le competenze e il talento per riconoscere con sicurezza un buon investimento. A questo punto può fare due cose: comprare una casa o affidarsi a un intermediario. Lasciamo stare la casa, l’investimento sicuro per eccellenza, che tanti danni ha fatto al nostro paese proprio per questo motivo, e passiamo alla questione degli intermediari. Anche questo, da un certo punto di vista, potrebbe sembrare giusto: io pago qualcuno perché mi offre un servizio, e ci guadagnamo in tre: io, lui, e la persona o l’azienda a cui diamo i soldi.

La delega è sempre un problema nelle società umane, perché deresponsabilizza: ci si aspetta un risultato con fatica minima. Tutti adesso ce l’hanno con le banche e i politici, ma quanti di quelli che si lamentano hanno fatto la fatica di scegliere bene a chi affidavano i loro soldi e la gestione della cosa pubblica? Una gestione più diretta è più responsabilizzante e dovrebbe generare meno abusi, perché ognuno dovrebbe prendersi personalmente la responsabilità delle scelte che fa e della fatica di portarle avanti. La protesta dei risparmiatori non ruota attorno al fatto che i loro soldi sono stati spesi male nel senso di poco eticamente, o per progetti dannosi per l’ambiente o altri esseri umani: protestano semplicemente perché non ce li hanno più. Per quanto li riguarda, quindi, sarebbe forse stato meglio guadagnarne in modo immorale che perderli. Esistono, in effetti, movimenti di disinvestimento da industrie dannose, come il carbone, e pare che abbiano anche un certo impatto. È uno dei casi in cui la pratica dell’investimento può essere più positiva che negativa, ma anche qui c’è un problema: chi ha più soldi influisce più di altri, che sia benintenzionato o no. Non è più “una persona un voto” ma: “un euro un voto”.

Torno al problema della delega in quanto tale. Negli articoli che ho letto a difesa dei risparmiatori c’è un tema ricorrente: questi poveri vecchietti / pensionati / lavoratori sono stati truffati perché non potevano capire cosa stava succedendo ai loro soldi. Ma allora, penso io, il problema è a monte, non nel singolo caso: perché la società incoraggia un sistema per il quale una persona dovrebbe guadagnare senza nemmeno sapere come? Il fatto che non capissero cosa stavano facendo, eppure lo facessero lo stesso, a me non sembra deporre a favore dei risparmiatori ma contro il sistema.

Questo sistema, riassumendo, incoraggia le persone ad aspettarsi che i loro soldi crescano senza che loro facciano la minima fatica o si informino, premia chi è già ricco e, come abbiamo visto, premia anche non chi garantisce un investimento sicuro ma chi è più bravo a intortare persone disinformate. La soluzione proposta più frequentemente è: puniamo chi frega ma non chi è stato fregato. Ma chi è stato fregato è stato avido e pigro. E non mi sembra sia facile dimostrare che chi ha fregato era in mala fede, anche se adesso, forse sperando in un qualche sconto di pena, tutti si affrettano a dire che sì, loro erano in malafede, ma solo perché il loro superiore era ancora più in malafede di loro.

Inoltre, se il rendimento è una ricompensa del rischio, chi ha rischiato e perso non può pretendere un risarcimento tanto quanto non lo può pretendere chi ha giocato alle slot machine. Non si può volere la botte piena e la moglie ubriaca: siccome il risparmio è già garantito, chi non si accontenta del risparmio e prendende l’investimento deve accettare che vada male.

È possibile che il sistema sia riformabile, ma io mi chiedo se valga la pena salvarlo e riformarlo, dato che anche se funzionasse meglio presenterebbe lo stesso tutti i problemi che ho elencato finora.

E io quindi non riesco a solidarizzare con i risparmiatori truffati non perché non abbiano subito, secondo i valori correnti della società, un torto, ma perché io non riconosco i valori secondo i quali questo torto è distinto dalla ragione. Per me sono sbagliate le premesse.

Qual è, allora, l’alternativa all’investimento e al risparmio? Accettiamo che il nostro sistema economico generi un surplus. Come ho detto, non bisogna esagerare con il surplus, perché quello che hai preso oggi dall’ecosistema non ce lo avrai domani e sì, dipendiamo ancora dagli ecosistemi. Ma un po’ di surplus ci rende sicuri. Che farne?

Il risparmio e l’investimento sono atti individuali che chiedono di essere tutelati dalla collettività. Un risparmiatore pensa per sé, al massimo per la famiglia. E, in fondo, cosa vuole? Leggete gli articoli in cui i giornalisti raccolgono con evidente solidarietà le lamentele delle vittime dei casi del momento. I risparmiatori-investitori vogliono consumare senza lavorare i soldi per cui hanno lavorato prima più i soldi per cui hanno lavorato gli altri. Se avessero voluto solo i propri, e già questo è tanto in un mondo in crisi per colpa di tutti, allora non avrebbero investito ma solo accantonato.

Ma c’è un’alternativa: mi è venuta in mente pensando ai cacciatori-raccoglitori, alla mia totale indifferenza verso la mia futura pensione, al dare addirittura per scontato che non ce l’avrò. Anziché investire per il proprio futuro, bisognerebbe investire nel futuro della collettività. La società dev’essere sana, l’ambiente dev’essere sano, le risorse abbondanti: allora a nessuno mancherà niente. Vi sembra ingenuo? Forse è molto più ingenuo affidare i propri soldi a delle persone il cui successo dipende dal non far capire agli altri cosa ci stanno facendo.

L’unica risposta che io consideri giusta e conveniente alla crisi dell’investimento individuale è l’investimento collettivo. Possiamo ancora mettere da parte qualcosa per le spese impreviste o un po’ più grosse, ma non dovrebbe essere questa la nostra preoccupazione principale. La nostra preoccupazione principale dovrebbe essere mantenere i presupposti della nostra sopravvivenza e di quella di tutti. Se paghiamo le pensioni degli altri, qualcuno pagherà le nostre; se curiamo chi sta male, verremo curati anche noi. Se abbiamo una buona idea, possiamo investire i nostri soldi nel nostro stesso lavoro. Se non ce l’abbiamo, possiamo trovarla nel lavoro altrui e sostenerla senza aspettarci di diventare ricchi per questo. Se scegliamo l’idea migliore per tutti anziché la più redditizia per noi, nessun intermediario disonesto potrà truffarci, nessun problema imprevisto ci lascerà pieni di rabbia e di amarezza e senza nulla in mano.

Vorrei farvi degli esempi concreti, ma preferisco che questi esempi derivino dalle mie stesse scelte di vita. Finora ho investito nei miei libri, in questo blog, nell’orto e nelle galline, e ho fatto donazioni a progetti meritevoli come wikipedia. Soprattutto, sto cercando di contribuire alla costruzione di un mondo in cui tutti fanno la loro parte perché nessuno non abbia il minimo indispensabile per vivere o non possa godere dei frutti del proprio lavoro.


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