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La tv al tempo della Renzinomics attese e rischi per Rai e Mediaset (Repubblica)
Creato il 17 febbraio 2014 da Nicoladki @NicolaRaianoL’incognita si chiama “banda larga e agenda digitale”. Temi che dovrebbero essere i punti di forza del “cambio di passo” del nuovo governo ma che andranno a loro volta a pesare su due tavoli ben precisi: i rapporti con Telefonica e il destino della frequenze oggi occupate dalla tv. Rischi? Si, ma stavolta non solo. Rischia di più Mediaset come azienda perché gli incroci pericolosi avvengono sulle strategie. Rischia più Rai in termini di persone, perché l’attuale vertice, da Annamaria Tarantola al dg Gubitosi al resto del Cda si troverebbero ormai a tre governi di distanza da quello che li ha nominati, ossia il governo Monti nell’ormai lontanissimo 2012. Ma sia per Rai che per Mediaset il nuovo corso di Palazzo Chigi - se manterrà le premesse e le promesse - potrebbe anche costituire un’occasione per costruire nuove relazioni con reciproci vantaggi. Insomma, una Rai più concentrata sul servizio pubblico e una Mediaset più attenta ai ricavi della pay-tv (tanto più dopo l’offerta monstre con cui si è aggiudicata il triennio di Champions League a partire dal 2015) potrebbero trovare nuovi punti di contatto, specie parlando di tv on demand su Internet. Non sarebbe però una riedizione della vecchia RaiSet, caratterizzata dalla resa incondizionata della Sipra, la concessionaria Rai, di fronte a Publitalia, ma qualcosa di nuovo. Di fatto il mondo è cambiato e guardare al solo mercato italiano e nella vecchia maniera, in termini di share e canali sarebbe ormai anacronistico. Giovedì scorso è stata annunciata la nuova megafusione da 45 miliardi di dollari tra Comcast e Time Warner Cable. Di più, tutti gli analisti prevedono che il leit motiv dei prossimi 5 anni almeno sul mercato mondiale della pubblicità sarà l’assalto delle Internet Company - Google, Amazon, Facebook - alla quota della pubblicità tv. E tanto più questo riguarderà l’Italia dove lo share della tv è ancora superiore al 50%, cosa che non accade negli altri grandi mercati europei. Mediaset.
Dal punto di vista del Biscione il vero rischio in questa fase per le prossime scelte di Palazzo Chigi si chiama Telefonica. Altre partite al momento non sono aperte. C’è la trasformazione della frequenza assegnata a Mediaset per il Dvbh, la tv sui telefonini, che è stata trasformata nel quinto multiplex suscitando qualche polemica, ma è difficilmente una decisione su cui il nuovo governo tornerà indietro. E poi perché? Non c’è motivo di aprire un fronte polemico in modo così gratuito mentre l’asta per le frequenze ex beauty contest ha forti possibilità di andare deserta e, anche nel caso non fosse così, non porterà certo in cassa grandi cifre. Tanto più che il tema andrà invece affrontato più globalmente nell’ambito dell’agenda digitale europea che prevede il progressivo passaggio alla telefonia mobile di tutta la banda 700 megaherz. Fuori dai termini tecnici: entro il 2016 ci si dovrà porre il problema di spostare Mediaset dai canali 52 e 56. Sono due multiplex su cui passano i canali pay di Premium, mentre i tre canali maggiori (Canale5, ItaliaUno e Rete4) e gli altri in chiaro sono “al sicuro” nella banda 600. Il tema c’è tutto ma se ne parlerà dopo il 2015. Di impatto più immediato è invece la questione dei rapporti con Telefonica. Qui tutto nasce da considerazioni di ordine strategico. In questo 2014 e nel 2015 la pubblicità sulla tv in chiaro dovrebbe recuperare parte del terreno perduto nel 2012 e nel 2013. Ma non recupererà tutto. La ragione è che molti dei big spender del largo consumo (tipicamente le grandi multinazionali dei prodotti per la persona, per la casa e dell’alimentare) potrebbero non ritornare a investire massicciamente in Italia. Causa la crisi dei consumi che non ripartono. E poi stanno anche tentando nuove strade: sono sempre meno diffidenti rispetto alla pubblicità online. Nelle settimane subito prima di Natale una grande multinazionale della detergenza ha realizzato una campagna in Italia basata su Facebook e senza un solo investimento in tv. Sembra sia andata molto bene in termini di ritorni sulle vendite. Ed è un campanello di allarme per le televisioni. E’ per questo che Cologno sta ricentrando le sue strategie. Più pay-tv e più Internet. Nel giro di poche settimane, tra subito prima e subito dopo lo scorso Natale, ha lanciato Infinity, la sua tv on demand con 5 mila titoli e alcune “prime visioni online” visibili solo sui nuovi televisori connessi; poi ha annunciato il progetto di mettere tutte le sue attività pay in un’unica società, infine, la scorsa settimana, la conquista per 700 milioni in tre anni, dei diritti per le partite della Champions. Si può discutere allo sfinimento se questa mossa e questo esborso vogliano o meno significare che c’è già un partner pronto per sostenere i costi della sfida (a partire dal 2015). Ma la mossa vuol dire senza dubbio che Mediaset punta ora molto di più sulla pay-tv. Del resto il vecchio sistema dei canali in chiaro è in crisi. Perché se da una parte regge l’audience di Canale 5, dall’altra quelle di ItaliaUno e Rete4 a volte precipitano ai livelli di Iris. Insomma, il sistema di offerta basato sui tre canali mostra la corda. Si può stare sopra il 20% con un solo canale, e i costi delle programmazioni degli altri due “storici” iniziano a essere proibiltivi (e d’altra parte lo stesso problema ha la Rai) . Ecco che la pay diventa una necessità. E qui la strategie possibile si incrocia con Telefonica. La newco specializzata in pay tv a cui Mediaset va pensando è per ora formata dal 100% di Premium e dal 22% di Digital Plus, pay tv spagnola controllata al 56% da Prisa e con l’ultimo 22% di Telefonica. Prisa ha messo in vendita la sua quota e Telefonica ha fatto un’offerta ritenuta però bassa. La società di Cesar Alierta può essere quindi uno snodo strategico rilevante. C’è addirittura chi ipotizza un asse preferenziale tra i due gruppi che dal mercato spagnolo potrebbe facilmente estendersi all’Italia e - perché no? - perfino al Sud America, continente di lingua prevalentemente ispanica ma anche con forti comunità di origini italiane. E di questi tempi, si sa, l’audience bisogna andarsela a prendere un po’ dappertutto. Con Alierta l’ex premier Enrico Letta ha avuto rapporti ottimi. Lo si può se non altro dedurre dal fatto che per esempio Letta non ha mai sostenuto il suo viceministro alle Comunicazioni Antonio Catricalà nel chiedere lo scorporo della rete Telecom, che Telefonica vede come il fumo negli occhi. Al punto che, presentando i risultati del rapporto Caio, le scorse settimane, Letta si è affrettato ha chiosare che il tema dello scorporo non è più una priorità. E ora? Si vedrà. Rai.
Sul fronte di Viale Mazzini il tema sono le poltrone. Del direttore generale Luigi Gubitosi si dice che sia in corsa per nomine pesanti, il che può voler dire solo Eni, Enel o Terna. Ma a Gubitosi l’idea di restare a Viale Mazzini a terminare il mandato che scade a luglio 2015 potrebbe anche non spiacere. Tanto più che si starebbe preparando a presentare un bilancio 2013 a tinte se non proprio rosa, quasi. Il fatto è che la nuova Rai Pubblicità, la vecchia Sipra, nelle mani di Francesco Piscopo sta iniziando a dare i risultati sperati. Da settembre in poi la raccolta Rai è tornata a crescere sull’anno prima e avrebbe chiuso l’anno con un vistoso più 5,7% a dicembre. E il trend non si sarebbe interrotto a gennaio. In più, buona notizia per i conti di Viale Mazzini, il portafoglio clienti di Rai Pubblicità si sarebbe incrementato di una cinquantina di nomi più del 2012: non è un dato piccolo perché gli investitori in spot tv sono soprattutto grandi aziende. Nel bilancio che Luigi Gubitosi presenterà al cda ci dovrebbe infine essere un miglioramento sensibile rispetto alle previsioni di perdite per 32 milioni e debiti a quota 550 milioni. Se ciò varrà confermato vuol dire che Gubitosi potrà mettere sul tavolo del cda e quindi del governo un bilancio con perdite quasi azzerate. E poiché i ricavi non sono certo aumentati vuol dire che il miglioramento dopo i 244 milioni di perdite 2012 è arrivato dal taglio dei costi. Tagli derivanti intanto da circa 700 unità di personale in meno sugli oltre 11 mila dipendenti ma anche sulla razionalizzazione delle strutture. Dei 12 Cantieri a cui Gubitosi, sulla scorta di analisi condotte da McKinsey e da Kpmg, ha affidato il ridisegno del gruppo, solo uno ha finora prodotto risultati tangibili, quello sul canale all news, con la discesa del numero delle testate giornalistiche da 14 a 8 e soprattutto con la scomparsa delle testate online separate per ogni singolo Tg (l’ultimo a capitolare è stato il Tg1). Ma anche gli altri Cantieri dovrebbero dare in tempi non lunghi notizie di sé. Sullo sfondo restano il contratto di servizio 2013-2015, che è in rinnovo in queste settimane, e soprattutto la convenzione Stato-Rai, che scadrà nel 2016 e in cui si dovrà ridisegnare l’intero concetto di Servizio Pubblico Tv: come farlo, con quali risorse, quali contenuti e quanti canali.
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