Questa capacità si può sviluppare kaizenianamente attuando strategie aziendali come la pianificazione di formazione ed esperienze dei lavoratori, la gestione della conoscenza intraziendale (inclusa quella che altrimenti si disperderebbe con l’uscita di personale), la ricerca dell’aumento di redditività, la misurazione dei risultati e la revisione delle strategie.
Gli approcci che potevano funzionare in passato risentono però oggi fortemente dei mutamenti sociali ed economici: sono cambiate cultura e abitudini delle persone, sono cambiati gli scenari commerciali, è cambiato il modo in cui si comunica e ci si relaziona sia all’interno che all’esterno dell’azienda.
Purtroppo l’Italia in quanto a organizzazione del lavoro e a pratiche innovative non è andata di pari passo con questi cambiamenti, tanto che oggi in questa graduatoria risulta tra le ultime nazioni europee.
Una decina e passa di anni fa spiegavo come una gestione delle risorse umane efficiente e vantaggiosa sia per l’azienda che per il lavoratore passava per una corretta strategia di valutazione delle risorse umane per obiettivi.
Questa prevedeva, tra le altre cose, un incontro verso inizio anno tra il singolo lavoratore e il suo diretto superiore, al fine di individuare e condividere obiettivi ragionevolmente raggiungibili entro la fine dell’anno, momento in cui ci si ritroverà per verificare gli effettivi risultati ottenuti e trarne le opportune considerazioni.
In particolare, i contenuti di questa riflessione congiunta dovevano includere la descrizione dell’AS-IS (competenze acquisite, valore aggiunto ai processi aziendali) e del TO-BE (lacune da colmare, nuove opportunità) relativi alla risorsa umana.
L’altro giorno un amico mi ha mostrato un documento simile, presentatogli come forma innovativa di gestione delle HR. L’impressione che invece ne ho avuto io è stata quella di un intervento tardivo, incompleto e, probabilmente, anche obsoleto.
Tardivo, perché non sono pensieri nuovi (men che meno innovativi) che non portano vantaggi competitivi nei confronti di chi già li applica da anni (ammesso e non concesso che sia pratica diffusa). Incompleto, perché il modulo da compilare era privo dell’ultimo tassello, quello più importante: quello che dice cosa succede se l’obiettivo viene raggiunto del tutto, in parte o per niente. Un riconoscimento? Un cambiamento di mansione? Senza questo, gli obiettivi non servono a niente.
Obsoleto, perché sarebbero da rivedere in ottica ecosistemica sia il ciclo PDCA che il rapporto gerarchico tra responsabile e subalterno che pianificano degli obiettivi.
La crescita del singolo dipende spesso dal contesto del reparto a cui appartiene e da ogni soggetto con cui si interagisce (non necessariamente in relazione alla propria mansione), indipendentemente dal fatto che sia un collega, un cliente o un fornitore.
Questi soggetti sono anche gli stessi che possono integrare la valutazione del responsabile in modo che diventi completa, oggettiva, trasparente, collaborativa e contestualizzata. Possono emergere per esempio attitudini poco note, scarse abilità comunicative, spiccate capacità di trasferimento della conoscenza all’interno dell’azienda, di abilitazione a strumenti e metodi più efficaci, di contagio o leadership, persino la reputazione personale.
Qualcosa di simile è la recente introduzione in Linkedin della possibilità di confermare competenze ed esperienze della nostra rete di contatti. Tutto alla luce del sole, tutto verificabile: la base di partenza per la successiva discussione privata sugli obiettivi da raggiungere.
Significa perdita di parte del controllo da parte dei manager (o l’accettazione formale del fatto che l’hanno persa già da tempo), ma anche ottenere risultati migliori, che sono quelli sui quali i manager vengono a loro volta valutati a fine anno.
“Faccio tre brevi riflessioni sull’argomento da te ben inquadrato:
- Inizio sottolineando che promuovevi questo approccio già 10 anni fa, e in effetti oggi non si tratta certo di una innovazione fra le politiche HR. Va detto che solo aziende di una qualche dimensione hanno importato sistematicamente alcuni di questi modelli, ma quello che osservo è la degradazione di questo approccio ad una pratica burocratica che alimenta se stessa. Il cuore della pratica starebbe nel patto generantesi fra il capo e il collaboratore. Proprio questo processo da senso all’effort promosso per il raggiungimento dell’obiettivo, di cui il premio è un suggello simbolico ancorante, ma questo passaggio cruciale di patto, è stato subito derubricato a momento formale di rispetto di un ciclo documentale con pochissimo impatto reale sui risultati. In effetti nella mia esperienza quando guardi da vicino gli obiettivi fissati e calati dall’alto sono spesso irraggiungibili, in quanto molte azioni sono fuori dal “cono di potenza” della persona. Oppure un semplice passaggio anno dopo anno degli stessi obiettivi: in qualche modo un premio dato a priori. L’altra deviazione che osservo è l’acquisizione di questi modelli da parte di medie aziende nel senso burocratico che ho descritto, spesso scalzando modalità informali preesistenti di per se anche funzionali
- La seconda riflessione si aggancia alla prima ed è forse l’aspetto che più di altri ne ha decretato la mutazione da patto psicologico a procedura burocratica: le competenze soft dei valutatori/capi. Questi non sono stati stimolati ad acquisire reali capacità empatiche, assertive, negoziali, necessarie a supportare proprio la fase di patto da una parte, e di accompagnamento e facilitazione della persona durante la fase di effort verso l’obiettivo dall’altra. Questo ha accelerato la “cartificazione” dei sistemi di premio per obiettivi, e la recessione del ruolo del valutatore (capiamo anche bene la portata che ha la valutazione su sistemi, persone, business) a quello di mero funzionario del processo
- Ultimo tema è quello degli obiettivi. Le organizzazioni oggi hanno sempre meno esigenza (o comunque è fattore meno critico) di capacità di raggiungimento di risultati quantitativi. Aumenta, invece, la necessità di risoluzione di problemi sempre nuovi, di stimolo all’innovazione continua, di generazione di opportunità. In questo quadro gli obiettivi qualitativi diventano cruciali e dovrebbero essere sostenuti da un sistema di premio coerente. Il lavoro in team (fuori dalla retorica però), lo scambio di sapere, la collaborazione emergente, solo per indicarne alcuni, sono i nuovi fattori da perseguire e la valutazione deve saper cogliere bene questi aspetti là dove si generano. Pensa ad un sistema di premio (magari gamificato) nel quale si da merito a tutti coloro che hanno supportato i propri colleghi con qualche spunto innovativo o abbiano promosso qualche idea poi risultata perseguibile dall’azienda, o ancora chi con la sua azione quotidiana genera opportunità formativi per colleghi.”
Roberto Favini | @postoditacco
The evaluation by goals in 2.0 HR divisions
The recent cases of multinationals fallen into disgrace and the more than 104 thousand Italian companies that have stepped into the crisis in 2012 or have ceased their activity teach us that in a scenario as the current one, characterized by changes that are as deep as they are sudden, the biggest perspectives of survival don't depend on having larger shoulders, but on a bigger ability to adapt to change.
This ability can be developed in a kaizenian way by implementing company strategies such as planning of formation and experiences of workers, the management of company knowledge (including the one that would otherwise be disperded with the exit of personnel), researching an increase of income, measurement of results and revision of strategies.
The approaches that could work in the past however, suffer today because of the changed social and economical scenarios: the culture and habits of people have changed, the commercial scenarios have changed, the way we communicate and relate to one another has changed, both inside and outside the company.
Unfortunately Italy as for organization of labor and innovative practices hasn't been up to the pace of these changes, and now it is among the last of the European countries in the charts.
About ten years ago I used to explain how an efficient and advantageous management of HR would have to go through a correct strategy of evaluation of human resources by goals.
This meant, among other things, a meeting at the beginning of the year between the single worker and his direct superior, with the goal to find and share goals that were reasonably reachable before the end of the year, when they would meet again to verify the results that have really been reached and get the conclusions.
In particular, the contents of this joined reflexion should include the description of the AS IS (acquired competences, added value to company processes) and the TO BE (problems to solve, new opportunities) regarding the resource.
A few days ago a friend showed me a similar document, which was presented as an innovative form of HR management. The impression I had was of an intervention that was late, incomplete and probably already obsolete.
Late because there aren't any new thoughts (and certainly not innovative), and they don't bring competitive advantages compared to those who have already been applying them for years (admitting that this is indeed a diffuse practice). Incomplete, because the module they had to fill in lacked the last part, the most impotant: the one where they say what happens whether the goal is reached fully, partially or not at all. A prize? A change in role? Without this, goals are useless. And obsolete, because we should reconsider in an ecosystem logic, both the PDCA cycle and the hierarchical relationship between responsible and employee who plan the goals.
The growth of the single often depends on the context of the division which he belongs to, and on every single person he interacts with (and not necessarily regarding his mansion), independently from the fact that it's a colleague, a client or a supplier.
These subject are the same who can integrate the evaluation of the responsible in a way that can become complete, objective, transparent, collaborative and contextualized. For example unknown attitudes can emerge, or scarce communication abilities, good capacities of transfering knowledge inside the company, abilitation to tools and methods which are more effective, contagion or leadership, even personal reputation.
Something similar is the recent introduction in Linkedin of the possibility of conferming competences and experiences for our web of contacts. Everything public, everything verifiable: it's the starting point for the private discussion about the goals to reach. It means to lose part of the control for managers (or formally accepting that they've already lost it long ago), but also obtaining better results, which are the ones managers themselves are evaluated on at the end of the year.
Roberto Favini | @postoditacco