So esattamente che tipo di vecchia voglio diventare.
Voglio essere una vecchina con gli occhi cerulei e vispi e una rete di rughe sulle guance.
Voglio essere minuscola, ossuta e anche un po’ curva.
Voglio uno sguardo accigliato, un bastone alto come me e delle belle scarpette di velluto borgogna con il tacco rumoroso.
Voglio lunghissimi capelli grigi, da appuntare in uno chignon basso con un milione di forcine.
Voglio indossare gonne lunghe, giacche a coste dai colori improbabili, vistose piume di struzzo e volgari pendagli, strati e strati di tessuto polveroso a dare sostanza agli ossicini sporgenti.
E cappelli. Cappelli con velette di ogni foggia. Di borsa me ne occorre una sola, ma che sia grande e sgualcita.
Voglio muovermi al buio nella mia casa grande e scricchiolante, con un milione di gatti neri, a cui distribuirò in maniera equa il mio odio imperituro. Voglio fare colazione tutte le mattine con uova a la coque, e nutrirmi con olive e aperitivi.
Voglio una vocina roca e inquietante, di quelle che strisciano e mettono i brividi. Sì, voglio incutere profondo terrore, voglio che il garzone del salumiere si rifiuti di consegnarmi a domicilio. “Quella è pazza” lo sentirò sussurrare dallo spioncino mentre lascia scivolare le buste della spesa sul pianerottolo davanti alla mia porta. Sì perché io coltiverò la mia misantropia con cura, meritandomi così a pieno titolo l’appellativo di bipolare.
Sarò una vecchia scostumata, di quelle che ciccano le sigarettine sui pavimenti in parquet e dicono tutto quello che balena loro in testa.
Con la punta del mio bastone darò sapienti colpi agli stinchi di chi rallenterà il mio incedere.
Chiamerò le suore cape di pezza e il parroco si rifiuterà di venirmi a benedire casa il giorno di Pasqua. Terrorizzerò i bambini che lasciano cadere il pallone sul mio balconcino e avrò una sterminata distesa di ortiche ornamentali.
Sarò indulgente solo con figlie e nipoti che lascerò giocare nei bauli dei miei ricordi.
E avrò tante storie da raccontare a chi avrà il coraggio di ascoltarle.