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La vecchia Italia non dà spazio ai giovani

Creato il 11 giugno 2013 da Propostalavoro @propostalavoro

L'innalzamento dell'età media ha prodotto qualche effetto sulla disoccupazione giovanile? Uno studio sociologico ci aiuterà a rispondere a questa domanda.

L'Italia è un paese senescente. Gli anziani sono in continuo aumento e lo Stato sta facendo fatica a sostenere i crescenti oneri previdenziali che l'aumento dell'età media comporta.

Allo stesso tempo, si ha la sensazione che la classe dirigente non sia cambiata negli ultimi anni, relegando lavoratori “marginali” (come donne e giovani) in posizioni sempre meno ambite.

Per verificare o smentire questa ipotesi, possiamo confrontare i dati raccolti ed analizzati da EURISPES, in collaborazione con Who's Who in Italy 2012 Edition sulle “personalita piu importanti, note o influenti in Italia, i (…) personaggi piu importanti del mondo della politica, dell'economia, della cultura, dello sport e della societa piu in generale.”

Secondo questa indagine, un dirigente italiano su 4 ha più di 50 anni; tra questi, 2 su 5 superano persino i 65 anni. Solo il 17,5% delle personalità di rilievo ha tra i 36 ed i 50 anni, mentre i giovani (fino a 35 anni) costituiscono uno scarso 3%.

 

La vecchia Italia non dà spazio ai giovani

 

Ecco il dato più interessante: l'anzianità della classe dirigente aumenta più che proporzionalmente rispetto all'anzianità demografica generale e molto di più rispetto all'aumento della durata di vita. Nel 1990 l'età media dell'élite era di 51 anni, nel 2005
di circa 62. Un aumento di 11 anni a fronte di una crescita della speranza di vita di circa 4 anni.
Confrontando poi i dati con quelli monitorati nel 1992, i rappresentanti della classe dirigente di età inferiore ai 50 anni sono sempre una minoranza, anzi, la quota è persino calata da uno su 4 ad uno su 5. I giovani fino ai 35 anni costituivano una percentuale esigua nel 1992 (2,3%) come oggi (3%).

Il risultato di questo processo di invecchiamento è stato che le generazioni anagraficamente più portate all'innovazione e all'adattamento a processi globali di cambiamento sempre più rapidi sono del tutto escluse dai circuiti decisionali più importanti, circuiti che, oltre all'esperienza del potere “maturo”, hanno un bisogno vitale di quelle capacità di adattamento e di innovazione portate dai più giovani.

Quale spazio per i giovani italiani nel futuro? Difficile pensare ad un cambiamento positivo: da un lato le istituzioni mostrano una scarsissima propensione al rinnovamento (basti pensare alla rielezione del già anzianissimo presidente Giorgio Napolitano), mentre dall'altro il sistema produttivo non fa nulla per promuovere la crescita e lo sviluppo di giovani talenti.

Come leggere altrimenti il fenomeno, altamente preoccupante, dei “cervelli in fuga”?

Urgono contromisure rapide, ma, vista la scarsa volontà del Paese negli ultimi 20 anni, si dubita fortemente che queste possano arrivare.


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