foto:flickr
La vendemmia ormai è finita da tempo. Passavo ieri di fianco ai filari ormai spogli, dove le foglie morte hanno fatto un tappeto scivoloso e marcescente a preparare nuova vita dopo la pausa del gelo. I tralci ormai induriti e neri, si allungano sui fili di metallo dove con disperazione avevano cercato di aggrapparsi, forse per sfuggire al ciclo della vita, un opporsi inutile prima di lasciarsi andare quietamente al ritmo imposto dalla ruota del tempo. Quanta chiacchiera inutile. Mi piace parlarmi addosso. Forse è nata lontano nel tempo questa mia disposizione ad allungare la parola, mentre ero così in difficoltà a riempire le tre paginette dei temini che la professoressa Grosso, alle medie, mi quotava sempre con un tristanzuolo dal 5 al 6. Chissà quando scattò il trip. Un bel giorno, si era già al Liceo, col mio amico A. decidemmo di guadagnare qualche soldino, più per bramosia capitalistica che per reale necessità, in quanto i ragazzi, allora, non spendevano soldi per divertirsi.
A Bruno, un paese delle vicinanze, cercavano braccia giovani per la vendemmia. Dato che allora non c'erano a disposizione né Moldavi, né Africani e gli Italiani facevano ancora finta di meravigliarsi per i razzisti americani, commuovendosi per Indovina chi viene a cena, ci demmo disponibili. La scuola cominciava ad Ottobre allora, così nell'ultima settimana di settembre, io e A. grazie al suo Galletto Guzzi, ci presentammo al vignaiolo che, dopo averci squadrati, studentelli di città, quindi faticatori poco credibili, ci mise in mano un paio di cesoie e una cesta e ci indicò i filari dove cominciare il taglio. Era una vendemmia umida e la nebbiolina gelida mi penetrò subito i vestiti da città e la spessa camicia di flanella che la mamma mi aveva amorevolmente fatto indossare. Il filare era in salita e arrancare pianta dopo pianta nelle zolle fangose che parevano imprigionarti il piede senza restituirti la scarpa ad ogni passo, sembrava impresa impossibile. La sinistra prendeva il grappolo già marcescente e la destra recideva maldestramente il tralcio, prima di deporlo nella cesta, cercando di eliminare le foglie, strappandolo in maniera inesperta ed ergonomicamente sbagliata dalla pianta, cosa che raddoppiava inutilmente la fatica. Dopo un'oretta avevo tutte le dita tagliuzzate, la schiena in pezzi; gelavo ed ero tutto sudato allo stesso tempo. L'ansimare continuo e inabituale mi illustrarono con molta chiarezza, fin dalle prime ore del mio primo giorno di lavoro, quanto fosse bassa la terra.
Al termine della settimana, non apprezzai più di tanto, quel sabato sera, la cena offerta di fine vendemmia, che era computata per contratto assieme alle 30.000 Lire pattuite, per i sei giorni di duro lavoro e che non erano neanche poco, per la verità. Diciamo che non me le godetti un gran ché. Niente soddisfazione per il soldo guadagnato col sudore della fronte, niente gioia per il giusto compenso dell'onesta fatica. Solo stanchezza, e voglia di tornarmene a casa. Chissà se fu allora che le mie aspettative di futuro, presero la strada di dedicarmi alla chiacchiera e di farmi guardare con sospetto tutti quelli che magnificano la gioia del lavoro, generalmente quello degli altri. Anche piantare un chiodo, mi da un sottile senso di fastidio. Lo so, son fatto male, noi fancazzisti, siamo un tarlo della società calvinistica, bachi grassi e inutili che infestano le gioiose mele del giardino promesso, che le guastano irrimediabilmente, resistenti ad ogni antiparassitario (biologico naturalmente) e guardati con un certo disprezzo da un mondo che ha innalzato il lavoro (degli altri) a valore unico e supremo. Come diceva Bertrand Russel (e sottilinea l'amico Simone da Hong Kong):
Il concetto di dovere, storicamente parlando, è stato usato da chi deteneva il potere per indurre gli altri a vivere per l’interesse dei propri padroni piuttosto che per il proprio...Il tempo libero è necessario alla civiltà, e in tempi passati lo si garantiva a pochissimi grazie al lavoro dei tanti. Ma gli sforzi dei tanti erano preziosi, non perché il lavoro è bene, ma perché il tempo libero è bene. E con la tecnologia moderna sarebbe possibile distribuire il tempo libero in maniera equa e senza danno per la civiltà.
Lo so anch'io che è utopia, sono un pigro, mica uno stupido. Però ogni tanto ho voglia di sognare. Scusatemi.
Se ti è piaciuto questo post, ti potrebbero anche interessare:
La vita è un casino.Gioventù bruciata.Due ruote.