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La vendetta del Negro (parte 1 di 2)

Creato il 27 febbraio 2012 da Davide

Ricordo che ogni tanto mia madre canticchiava una sciocca canzoncina dal filmone Anna di Lattuada (1951) dove a un certo punto Silvana Mangano, inneggia al mambo, un ballo cubano, e al ‘negro Zumbòn che balla allegro il baion’. Così il soprannome Il Negro, derivato da quella canzoncina, venne affettuosamente affibbiato al professore di greco e latino, che noi studenti amammo alla pazzia, perché era un siciliano stravagante al Lido di Venezia e l’estate se ne veniva a scuola tutto abbronzato, grassoccio e basso, con l’eterna sigaretta tra le dita gialle di nicotina, vestito con un completo di lino color panna e un cappello panama di paglia bianca in testa, quasi un ballerino di mambo!
A quell’epoca la parola ‘negro’ non aveva alcuna intenzione offensiva e, almeno a Venezia, da poco sostituiva, anche grazie ai film americani e ai soldati di colore a Vicenza e Aviano, il termine veneziano ‘moro’. Moro è un aggettivo a largo spettro, che va da bruno, abbronzato, scuro di capelli, al colore, ed è usato in espressioni tipo: ‘ti ga el moro/moreto?’ Quando uno non chiude la porta o non si prende la sedia da solo gli si chiede se ha un servo moro o moretto che lo fa al suo posto, come ai tempi dei nobili della Serenissima. Moro risente anche dei rapporti con l’Impero ottomano, per cui l’aggettivo copriva tutto, da un turco a un africano. Si sente ancora in esclamazioni come ‘ciò, moro!’ un avvertimento, che può essere bonario oppure no a seconda del contesto, a non fare il furbo, a prestare attenzione, ecc. Esistevano poi le eccellenti caramelle Moro, di torroncino ricoperte di cioccolato fondente, incartate in carta lucida bianca o gialla con una faccia di ‘moro’ con un turbante in testa.
Comunque sia, avevamo appena imparato a usare la parola ‘negro, che faceva esotico, quando ci dissero che non si poteva più dire, che si doveva dire ‘nero’ oppure, per i sofisticati, ‘black’. Cos’era successo? Era scoppiato il fenomeno Angela Davis, una attivista del movimento delle Pantere Nere, militante del Partito Comunista degli Stati Uniti fino al 1991, che venne messa in carcere per un’accusa da cui fu in seguito assolta. Ma proprio dal carcere la Davis scriverà alcune delle pagine più famose della contestazione statunitense, tanto da meritare tre canzoni in suo onore: Angela del Quartetto Cetra (la prima in assoluto, scritta nel 1971), Angela di John Lennon e Yoko Ono, e Sweet Black Angel dei Rolling Stones. In Francia, la sua liberazione fu sostenuta fra gli altri da Jean-Paul Sartre, Gerty Archimède, Pierre Perret, ed in Italia da Antonio Virgilio Savona del Quartetto Cetra, che passò dei guai con la RAI per questo. Angela Davis promosse il concetto che ‘Black is Beautiful’, Nero è Bello, anche come canone estetico, sfoggiando vistose capigliature ricce e rifiutando l’abitudine di cercare di farsi fare i capelli lisci dal parrucchiere. Così una parola, ‘negro’ che significava ‘nero’ in spagnolo e portoghese, lingue da cui era passata in italiano e in inglese, cominciò a diventare un tabù linguistico, a favore di una parola inglese, ‘black’, che significava ‘nero’! I francesi fecero resistenza con notevole successo, grazie alla scoperta della Négritude, la negritudine, un movimento letterario, culturale e politico sviluppatosi nel XX secolo nelle colonie francofone e che coinvolse scrittori africani e afroamericani, fra cui Léopold Sédar Senghor, Aimé Césaire, e Guy Tirolien, che si proponevano di affrancare i propri popoli dal complesso di inferiorità imposto dai colonizzatori attraverso l’orgogliosa rivendicazione delle qualità peculiari proprie degli africani (la loro negritudine).
Ma non era finita qui: nasceva il politically correct, che mostrava tutta la sua ipocrisia e razzismo strisciante, proprio chiamando black un negro. Un volta presoci gusto, cominciò il processo alle parole e la caccia al ‘razzismo’, con conseguente purga dalle biblioteche scolastiche. Grazie anche alla saga televisiva e al romanzo ‘Radici’, iniziarono viaggi in Africa e prese ad avere successo l’etichetta Afro-Americano e quella che prima era solo una parte di popolazione che aspirava all’eguaglianza con il resto della popolazione americana cominciò ad etnicizzarsi grazie al trattino tra Afro e Americano. Si creava così un allontanamento sostanziale dalle aspirazioni e dalla lezione di Frederick Douglass (1818-1895), una delle figure più importanti della storia afroamericana e dell’intera storia degli Stati Uniti. Nel 1872 Douglass, un ex schiavo, fu il primo afroamericano ad essere candidato vicepresidente degli Stati Uniti per il Partito per l’eguaglianza dei diritti, in coppia con Victoria Woodhull, la prima donna ad essere candidata per la presidenza. Fu un fermo sostenitore dell’eguaglianza di tutti gli uomini, neri, donne, nativi americani o immigrati di recente arrivo.
Infine si arrivò al tentativo di mettere all’indice i libri in cui appariva un termine inglese che traduce ‘negro’ e che era in uso comune senza alcuna speciale implicazione offensiva: la parola che è diventata tabù assoluto è nigger, che è solo la riproduzione di una pronuncia inglese di una parola di origine spagnola. Negro entra nell’inglese nel 1555, insieme a potato (patata) e tomato (pomodoro) e segnala grammaticalmente questo fatto con il plurale in –oes. Se oggi uno la guarda su un dizionario viene avvisato che la parola è altamente offensiva. Eppure viene usata comunemente dai rapper e dagli ‘afroamericani’ tra di loro. Nessun altro la può usare, o rischia grosso. Come dicevo, si è arrivati durante gli ultimi trent’anni a cupi abissi di politicamente corretto: ci sono stati tentativi di mettere all’indice Huckleberry Finn di Mark Twain da varie biblioteche a causa dell’uso di termini popolari nel XIX secolo. Quando non è stato escluso, ed è forse peggio, è stato purgato e riscritto! Twain era contro il razzismo e l’imperialismo, come emerge non solo dalla sua aderenza alla lega anti-imperialista, ma anche da molti passaggi del suo Following the Equator, dai suoi commenti sprezzanti su Cecil Rhodes (che diede il nome alla Rhodesia coloniale), dalla sua denuncia senza mezzi termini della conquista americana delle Filippine. Per le sue posizioni antirazziste e antimperialiste, Mark Twain subì una vera e propria emarginazione negli ultimi anni di vita, tanto che molti suoi scritti antimperialisti rimasero del tutto ignorati e non furono ripubblicati dopo la sua morte. Ora viene accusato di razzismo proprio da quelli che vogliono mettere al bando anche Shakespeare per via di Otello, il Moro di Venezia, perché Otello, interpretato come ‘africano’, e non come ‘moro’, più probabilmente di origine anatolica o magrebina, visto il contesto, aveva spostato una bianca (questi censori afroamericani sono contrari ai matrimoni misti). -continua


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