La statua greca fu trafugata negli anni settanta da alcuni tombaroli, segata in tre parti, fu portata prima in Svizzera, poi in Inghilterra, finì negli Usa, al museo Paul Getty.
L’Italia e gli Usa, per diversi anni, si misurarono in una logorante “guerra dell’arte” che si concluse nel 2007 con un’intesa fra il ministero dei Beni Culturali, la Regione Sicilia e i quattro più importanti musei americani, che accettarono la restituzione di 67 capolavori tra i quali la Venere di Morgantina.
La statua della dea greca è ora ospitata nel suo habitat originario, dove fu trovata, in una zona ricca di storia, tradizioni e bellezze artistiche.
Raggiungere Aidone da Enna non è agevole. Ci si avventura nella Sicilia centrale, in un territorio ricco di boschi e la strada è piena di tornanti, per questo si era sostenuto che era meglio metterla in un museo più accessibile.
Ma è più giusto che la statua sia collocata nel suo posto originario.
La provincia di Enna, infatti, ospita le importanti rovine archeologiche di Morgantina e la preziosissima Villa del Casale di Piazza Armerina, che riaprirà definitivamente al pubblico nel prossimo autunno, mentre è già possibile visitare la restaurata Basilica laica.
Questa Venere è priva del piede e del braccio sinistro e della parte posteriore della testa. Sul corpo si scorgono le tre fratture, fatte dai tombaroli per facilitarne il trasporto, anche se i restauratori del museo Paul Getty hanno fatto il possibile attraverso un sistema funzionale di fissaggio, per nasconderle.
E’ alta 2,20 metri e raffigura una divinità femminile, Venere. Per il corpo è stato utilizzato il calcare, mentre per la testa e gli arti, il marmo.
Il panneggio è contraddistinto del cosiddetto “effetto bagnato”, lo stile che richiama quello delle sculture del Partenone, realizzate da Fidia e dalla sua bottega ateniese del V secolo avanti Cristo.
La figura era completata da decorazioni policrome per conferire all’immagine un aspetto di vitalità impressionante. Le tracce di rosa, azzurro e rosso nel panneggio ne sono la prova.
Nella versione originaria la dea aveva in mano probabilmente una fiaccola ed era arricchita da un’elaborata acconciatura.
(la notizia)
Come dice Philippe Daverio: non importa quanti sono i visitatori di un museo, non si misura l’audience, ciò che conta è che si preservi la delicata trasmissione della poesia di ieri.