Magazine Diario personale

La vera Africa: un'introduzione al Congo

Da El3naliv

Ho i capelli puliti. Acqua a volontà dalla doccia. Posso scegliere se averla calda o fredda. Il lavandino funziona, lo sciacquone pure. Respiro aria pulita (più o meno). Sono in terrazza con un bicchiere di vino bianco. Di fronte a me un circolo di tennis privato con ragazzi in tenuta sportiva, sani e sorridenti. Sono qui dopo 10 ore di aereo e ripenso al Congo. Non è facile raccontarvi questa esperienza, i nostri occhi e la nostra mente si sono riempiti di mille ricordi e sensazioni diverse. Dovrò riservare diversi post sull'argomento e sui progetti solidali portati a termine ma per il momento un'introduzione mi sembra doverosa per capire il contesto generale del Paese. Sono atterrata a Brazzaville, il 26 luglio all'ora di pranzo. In aereo non riuscivo a vedere la città nonostante fossi a bassa quota e in fase di atterraggio.
"Strana la nebbia in pieno giorno..."
Non era nebbia.. è smog. Una cappa di smog che sovrasta l'intera città. Una volta atterrata comincio a respirare i fumi dei falò della spazzatura e delle macchine alimentate con benzina rossa (da noi vietata ormai da tempo). Rimango senza parole e sbarro gli occhi di fronte a tutto ciò che vedo dal pick-up di Don Jean Michel. Fogne a cielo aperto scavate al lato del marciapiede, uomini che pisciano indisturbati contro i muri, bambini che scavano nelle fogne a mani nude: povertà ma anche tante persone al lavoroMeccanici, donne sorridenti con le loro piccole bancarelle o tovaglie colorate stese a terra, ragazzi che trasportano carretti con carichi impensabili, taxisti
Taxi in riparazione
Donne al lavoro al mercato
Un popolo lavoratore e ingegnoso nel crearsi attività e guadagni. Tutto ciò che i Paesi più ricchi normalmente scartano qui è considerato una risorsa, materiale di lavoro. I vecchi motori delle macchine vengono fusi e l'acciaio viene utilizzato per creare utensili da cucina; molti dei container che arrivano a Pointe Noire (città portuale e capitale economica del Paese) non vengono gettati o rimandati indietro ma riutilizzati come negozi. Si, avete letto bene. Il container arriva con i camion a Brazzaville, lo aprono, lo murano, dipingono un'insegna et voilà. Un negozio. 
Negozi a Brazzaville
Il numero dei taxi in Congo è inestimabile. Ci sono due mezzi di trasporto pubblico principali: il taxi e il Cent Cent. Il Cent Cent è un piccolo furgone con posti per sedersi. Il nome significa "Cento-Cento" e indica l'economicità del mezzo. Fate conto che con meno di due euro siamo riusciti a montare in sei persone per un tragitto lungo 30 minuti.Salire su uno di questi mezzi è un'avventura: il sudore, il caldo, tutto viene condiviso con il proprio vicino di posto. Non c'è un tot di posti, il Cent Cent si riempie quasi sempre oltre il limite. Si viaggia accanto a donne bellissime con bambini al seguito legati in vita, ragazzi, bambine di 7-8 anni con in braccio il proprio fratellino che tornano dal fare la spesa. Si assapora la vita locale avanzando a grandi balzi sulle strade. Le fermate non esistono, se una persona vuole scendere batte dei colpi sul soffitto e l'autista ferma il mezzo nel primo punto libero. I taxi sfrecciano impazziti, montano sul marciapiede, sorpassano da destra e pur di passare quasi ti vengono addosso per poi sterzare all'ultimo minuto. Tutti hanno fretta. I cartelli stradali sono un optional, abbelliscono gli incroci. Avanza chi passa per primo. Gli occhi godono di un tripudio di colori. I vestiti tradizionali femminili, i mercati con ombrelloni a spicchi arcobaleno, negozi con muri dai colori sgargianti. Tutto è colorato. 
Il quartiere di Kinsoundi e un Cent-Cent
A bordo del Cent Cent - Congo
"Per visitare la città sarete sempre accompagnati da mio nipote. E' una città tranquilla se te sei tranquillo... è parte del Congo, per capire il mio Paese dovete visitare anche lei"
Il motivo di questa risposta lo capiamo ben presto. Brazzaville non è pericolosa a prescindere, ma c'è una sostanziale differenza fra la città e i villaggi. Villaggi come Kinkala e Linzolo sono fuori mano, hanno meno servizi ma i bianchi (in congolese: mundele) sono più liberi in questi ultimi. C'è più tranquillità, si è meno esposti a rischi. A Brazzaville, Ulriel (nipote di Don Jean Michel) ci ha dovuto accompagnare dappertutto e la sera, persino per percorrere un tragitto di un minuto da casa sua al nostro seminario non sentiva ragioni: doveva farci da scorta. Le strade di notte sono completamente al buio, l'illuminazione dei lampioni è riservata ai quartieri più ricchi e in alcune case si nascondono gli spacciatori per vendere la droga. Siamo a Kinsoundi, una zona considerata come "il ghetto" della capitale. Il nostro alloggio è all'interno di un seminario posto al centro del quartiere. Entriamo col pick up, il cancello si richiude alle nostre spalle e arriviamo alla nostra camera: il lavandino non funziona, il water non funziona, la doccia neppure. L'acqua calda? Figuriamoci, non è nemmeno presa in considerazione. Per lavarsi c'è soltanto una piccola cannella posta sotto il soffione della doccia, con la quale si riempiono due secchi in bambù. L'acqua raccolta deve servire per doccia, lavandino e water per tre persone. E se per qualche giorno l'acqua non arriva non importa, ci si lava con le salviette rinfrescanti. 
"Perchè in questa parte d'Africa devi ringraziare che ci sia acqua  dove dormi" afferma Jean Michel.
 Il giorno dopo a colazione un seminarista nota i nostri sguardi un pò disorientati, alza le spalle e, come per scusarsi, si avvicina e ci confida a bassa voce "ça c'est l'Afrique (questa è l'Africa)". Nonostante le difficoltà sorrido. E' proprio questa l'Africa che volevo vedere.
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