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La vera storia di Orfeo ed Euridice

Creato il 01 agosto 2012 da Cultura Salentina
La vera storia di Orfeo ed Euridice

Federico Cervelli: Orfeo Euridice (olio su tela)

Una doverosa premessa alla storia che sto per narrarvi. Le testimonianze qui riportate sono ruspanti, d’origine dotta, non controllata, ma garantite, al di sopra di ogni sospetto; infatti, sebbene la storia in oggetto si sia svolta ben prima dell’avvento di Gesù, esiste ancora, vivente, un testimone diretto della vicenda: Oreste.

A questo punto, mi chiederete: “Ma chi mai sarà questo misterioso Oreste, che oggi dovrebbe avere oltre 2.000 anni? Quale arcano mistero si cela dietro questa misteriosa premessa?”.

Bene, chiarisco subito le cose. Oreste è un ulivo, un grande e più che millenario ulivo salentino, di lontane origini elleniche, nel cui maestoso tronco, contorto fino all’inverosimile, alberga l’anima d’un grande uomo vissuto molti secoli or sono: in altre parole, Oreste è un fantasma, uno spirito… uno spirito… molto spiritoso, in verità, essendo dotato di una grande carica di umorismo: è stato lui e proprio lui a raccontarmi questa “vera” storia dei mitici innamorati, che mi accingo a trascrivere.

Oreste mi ha raccontato di aver conosciuto personalmente il grande musico, figlio forse di Apollo, ma più probabilmente di Eagro, re della Tracia, e della dolce musa Calliope. In verità, nonostante l’ascendente materno (anche la genetica ha le sue eccezioni, dunque!), la leggendaria vena artistica attribuita ad Orfeo fu solo una leggenda, il frutto della fantasia di qualche storiografo buontempone o avvinazzato… La verità è che Orfeo era stonato come una campana, se non peggio, con la voce strepitante come un rospo in amore; inoltre, torturava la povere corde della sua mitica lira (donata al padre da Ermes in persona) quasi fosse il nemico sul quale infierire, più che un delicato strumento musicale da accarezzare o, al massimo, da solleticare dolcemente con i polpastrelli…

Oreste mi fece morir dal ridere quando mi disse che fu proprio l’orrenda musica di Orfeo a ridurlo con il tronco così contorto e martoriato, avendogli provocato una gravissima forma di occlusione intestinale, dalla quale si salvò per puro miracolo, mediante intercessione di una provvida divinità dell’Olimpo (probabilmente Artemide), che volle poi mantenere l’anonimato…

Quindi, oltre che il prode Enea, anche il nostro buon Orfeo sbarcò a Porto Badisco, nel Salento: ciò accadde nel corso dell’avventuroso viaggio degli Argonauti alla ricerca del vello d’oro… ma credo sia meglio andar per gradi o non riuscirete a capire nulla…

Bene, allora occorre premettere che Orfeo era, anche se, come me, un po’ babbarabbà (babbeo), un uomo di gran bell’aspetto, forte e muscoloso, ma miope come una talpa, oltre che – torno a ripetere – stonato come una campana; tuttavia, queste sue “capacità” canore all’incontrario (si può dire… “incapacità” canore?) furono la fortuna del regno di Tracia prima e di Giasone poi, perché i suoi terrificanti “concerti” si rivelarono armi davvero letali per i nemici dei Traci prima e per gli spiriti del mare poi; costoro, infatti, alla sola notizia del probabile passaggio della nave Argo (e con Orfeo imbarcato in essa), si inabissarono con l’intero continente Atlantide, tuttora sommerso, mentre gli Argonauti continuavano beati la loro navigazione, forti della protezione assicurata da robusti tappi di cera (NdR: la storia spesso si ripete; ricordate i marinai d’Ulisse al canto delle sirene?)…

Euridice, da par suo, pur dotata d’una voce davvero melodiosa, era donna dall’aspetto orripilante, oltre ad essere assai dura d’orecchio… Il casuale incontro con Orfeo nell’agorà di Sparta fu fatale: pregi e difetti dei nostri due eroi erano (per così dire) magicamente “complementari”…

Le loro nozze furono oggetto di orgiastici festeggiamenti, organizzati, in onore di Dioniso, da parte delle di lei sorelle (qualcuno le definiva donne di Tracia dai facili costumi), che, pur ninfe del libero amore, giammai avrebbero sperato di veder un giorno impalmata anche l’orribile sorella…

Dopo poche settimane di travolgente passione, giunse per Orfeo il fatidico giorno della partenza con gli Argonauti, alla ricerca del vello d’oro…

La povera Euridice restò di nuovo sola, ma, ormai assuefatta ai piaceri della carne (anche lei, in fondo, era una ninfa del libero amore, come le sorelle), cercò disperatamente un altro uomo con il quale condividere il talamo rimasto desolatamente vuoto… Ovviamente, tutti gli uomini giravano alla larga da quella specie di virago, per cui, trascorsi invano alcuni giorni, Euridice decise di passare alle vie di fatto e tentò di catturare al laccio, nella foresta, il bell’Aristeo; costui, tuttavia, forte delle tante esperienze maturate in battaglia, riuscì a sfuggire miracolosamente all’agguato, lanciandosi in una corsa disperata nel fitto del bosco… La nostra eroina, ormai in piena esaltazione orgiastica, non si diede per vinta e lo rincorse, fidando nella conoscenza diretta di centinaia di sentieri nascosti e scorciatoie ignote ai più… ma, per sua sventura, s’imbatte in una vipera, la quale, dopo aver rischiato l’infarto nel trovarsi al cospetto, così, all’improvviso, dell’orribile volto della donna, si fece forza e le inferse il morso letale (come dire? Mors tua, vita mea, no?)…

Nel frattempo, la missione degli Argonauti aveva avuto pieno successo e Giasone volle concedere a tutti i suoi uomini un dono, in modo particolare a Orfeo che, con la sua sola presenza, aveva saputo tenere lontani gli spiriti del mare… Ebbene, Orfeo aveva sentito parlare degli esperimenti di rifrazione ottica di un tal Archimede di Siracusa, il quale, dopo aver fatto un gran bel casino incendiando decine di gozzi da pesca e lance trireme della Guardia di Finanza, pare avesse trovato il modo di  utilizzare quelle sue micidiali lenti per migliorare la vista; pertanto, il nostro eroe chiese al suo nocchiero solo un paio di lenti: <<Per poter meglio rimirare lo sguardo della mia Euridice>>, ignaro del fatto che la sua diletta sposa fosse ormai divenuta una stabile abitante degli Inferi.

Ad ogni modo, Giasone non esitò a mantenere la promessa fatta al suo prode musico e fu così che Orfeo se ne tornò in Tracia tutto contento, con un bel paio di spesse lenti, che gli permettevano di vedere, finalmente, quanto fino a quel punto aveva potuto solo intuire…

La ferale notizia della morte di Euridice lo tramortì, facendolo stramazzare per terra, ma dietro le pressanti sollecitazioni delle cognate e spinto dal grande amore per la sua dolce sposa, decise di andare a riprendersela scendendo giù negli Inferi, potendo contare sulla conoscenza di Ermete…

Giunto al cospetto della divinità, Orfeo gli spiegò il motivo di quel suo lungo e temerario viaggio nel ventre della terra, suscitando un moto di meraviglia nel fiero custode degli Inferi:

<<Intendi davvero riportare Euridice sulla terra?>> – gli chiese sbigottito, in realtà convinto di trovarsi al cospetto di un buontempone.

<<Certo che sì: non attendo altro che poterla vedere per la prima volta in viso, con queste mie nuove preziose lenti!>>.

Risolto il mistero, il buon Ermete, che in più di una circostanza aveva rischiato di rimanere secco, trovandosi all’improvviso Euridice di fronte, ebbe un’idea davvero geniale: concedere a Orfeo di riportarsi la diletta sposa sulla terra, a patto di non voltarsi mai indietro a guardarla, durante la risalita… Non voleva e non poteva rischiare, infatti, che Orfeo, voltandosi, la vedesse per la prima volta, conoscendone il vero aspetto, e se ne fuggisse via inorridito, lasciandola definitivamente laggiù… Quando mai, per il povero Ermete, si sarebbe potuta ripetere una simile fortuna?

Orfeo davanti ed Euridice alle sue spalle iniziarono la lenta e faticosa risalita verso la superficie, ma a un certo punto la donna, per troppo tempo rimasta “a secco”, non ce la fece più e chiese al marito:

<<Su, Orfeo, dai dai, fermiamoci per una “sveltina”!>>.

Orfeo cercò in tutti i modi di evitare, di restare fermo e fedele al comando di Ermete, ma il richiamo di Euridice si fece sempre più dolce e intenso, fino a diventare irresistibile…

Fu così che Orfeo disobbedì agli ordini di Ermete e fu così che lo stesso nostro eroe stabilì il record mondiale di risalita in superficie, mai più nemmeno sfiorato.

Allo stesso modo, il povero Ermete dovette ricorrere alle cure di uno psicologo, cosa che pare stia facendo ancor oggi.

Euridice, che nel frattempo si è fatta trasferire nel girone dei lussuriosi, continua ad insidiare gli spiriti più trasgressivi (NdR: voci attendibili ci informano che, per soddisfare le voglie della donna, i poveri lussuriosi siano dovuti ricorrere all’acquisto via Internet di certe pillole azzurre: anche negli Inferi, perciò, imperversano gli integratori!)…

Orfeo, dal canto suo, ritornato in Tracia, non è vero che sia stato sbranato dalle cognate, ma anzi da costoro accolto come un pascià…

Questa è, secondo il buon Oreste, la vera storia di Orfeo ed Euridice. Sarà vera? Sarà falsa? Chi può dirlo? Personalmente però ritengo che sia vera, perché la fine non è quella di una fiaba: ricordate come finiscono, le fiabe?… E vissero, tutti, felici e contenti. E allora? Per qualcuno la vicenda ebbe un lieto fine, ma vi sembra che sia finita così anche per Oreste e per il povero Ermete?…


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